Questa mattina, un sabato mattina
qualsiasi, mi trovavo in casa intorno alle 10,30, mi è arrivata una telefonata
che non mi sarei mai atteso. Un vecchio amico, una persona non comune che
conobbi 25 anni fa, un docente di informatica, si è ricordato di me, insieme al
gruppo di informatici che mi onoravano della loro amicizia, proprio io che
allora mi occupavo di teologia, un gruppo che, fortunatamente, il tempo non ha disperso,
non ha appannato, continuano a frequentarsi e a condividere le loro esperienze.
Io li persi di vista, a quel tempo avevo affrontato un’altra esperienza
lavorativa, il risultato fu che mi allontanai, per le alterne vicende della
vita, dalla loro compagnia. Oggi, dopo 25 anni, arriva una telefonata che mi riempie
di gioia. Sono rimasto solo, non ho più con me la persona con la quale ho condiviso un tempo lungo, mi
trovavo anzi in casa proprio per questo motivo: di solito il sabato mattina ero
fuori con questa persona, e per colui che mi ha telefonato l’unico numero reperibile
era quello del telefono fisso. Che strana impressione fa scoprire che, in un
modo o nell’altro, nel bene e nel male, c’è da qualche parte qualcuno (e
qualcuna) che si ricorda di te dopo tanti anni, che hai lasciato un segno, uno
qualsiasi magari, ma una piccola traccia deve essere rimasta nei cuori di
queste persone. Vuol dire che non sei proprio una persona comune, ed io, ancora
una volta nel bene, e molto nel male, non sono una persona qualsiasi. La
conversazione con lui mi ha riportato indietro di un terzo di vita, i primi
anni nella scuola, un’epoca di entusiasmi e di felicità piena, un decennio,
quello degli anni ottanta, nel quale ho
avuto il privilegio di essere molto amato (e molto odiato), ma è stato il
decennio aureo nel quale ero vivo, vitale, nel pieno senso della parola. Riuscivo
a conciliare diversi mestieri, tutti vissuti con una intensità mai più
riscontrata, i rapporti umani erano fertili e fervidi, al punto che avevo l’imbarazzo
della scelta. Non per stupida vanagloria, ma era così. Allora ho seminato
qualcosa del quale io stesso non ero pienamente cosciente, ma che deve aver
dato i suoi frutti se qualcuno, e non una persona qualsiasi, si è ricordato di
me. Fu grazie a quel gruppo di amici e colleghi che, nel corso di una cena,
conobbi quella che sarebbe stata la mia fidanzata per ben quattro anni. Anni
ancora una volta gioiosi, ho imparato molto da lei, e fu proprio lei a gettare
le basi delle mie modeste conoscenze informatiche. Fu lei a trasmettermi una
passione che non mi avrebbe più lasciato. La “joie de vivre” e l’”élan vital”
che mi possedevano allora, mi consentivano di sfiorare la multi scienza, pur
perdendo qualcosa in spessore: dalla letteratura, soprattutto quella romantica
tedesca, alla fisica quantistica, alla chimica farmaceutica, alla teleologia, all’informatica,
all’economia e finanza. E dovevo essere un brillante conversatore se queste
persone, apparentemente lontane dai miei interessi e dalla mia vita, mi
invitavano nella veste di “intrattenitore”
della serata. Si “chiude una porta e si apre un portone”, scrivevo in un
precedente post, quello dedicato a colei che non c’è più (almeno per me),
ironizzando sulla banalità di quel luogo comune. Eppure, qualcosa di vero ci
deve essere in quell’adagio popolare. Dopo 25 anni, all’indomani della
cessazione del mio rapporto sentimentale mi chiama un vecchio amico per
invitarmi ad uno di quei raduni conviviali: semplice coincidenza? Può darsi, me
ci deve essere qualcosa di più. Da vecchio protestante (la mia chiesa di riferimento
è quella riformata di tipo calvinista, quella zurighese per capirci) credo
nella predestinazione assoluta: esiste un “ordine naturale delle cose”
stabilito per sempre, dall’eternità, da Dio stesso, qualcosa come il Fato dei
greci che sta, in un certo senso, anche al di sopra di Zeus. Ora, non esiste un
destino sul quale Dio, nella sua immensa perfezione non possa intervenire, ma
ogni volta che, per un decreto imperscrutabile ai nostri occhi e per le nostre
menti limitate, Dio decide di modificare
quell’”ordine” del quale parlavo, lo deve fare miracolisticamente, compiendo
quello che le creature chiamano “miracolo”. E così, nel mio piccolo, era
scritto nella mia predestinazione che una volta esaurito un rapporto così
importante, si potesse aprire un piccolo spiraglio, d'accordo, ma, come spero, foriero
di novità o di ulteriorità. Non succederà niente di straordinario, non mi
attendo ovviamente di incontrare la persona della mia vita, ma lo leggo
ugualmente come un segno che deve essere raccolto, e che potrebbe dare qualche
buon frutto. Ci vedremo in modo informale, da qualche parte, tra qualche tempo,
ma non potrà che essere un incontro pieno di nostalgia dolcissima, di struggente
malinconia con retrogusto gioioso, un “come eravamo” dal quale potrebbero
rifiorire i sentimenti di riscoperte amicizie. E’ quello che spero, è quello
che auguro a me stesso e a questi amici di allora, mai dimenticati, riposti in
un angolo, neppure troppo segreto, del mio cuore lacerato.
A Roberto, che per me è sempre il ragazzo di allora.