sabato 7 gennaio 2012

IL RITORNO ALLA LIRA? UNA POSSIBILITA'

I rimedi ai problemi finanziari proposti dalle parti sociali e dai partiti sono meri palliativi, inutili, perché servono solo a tirare avanti di qualche settimana. La manovra governativa, è iniqua e recessiva, sbilanciata sul lato delle entrate, e ha mobilitato resistenze insuperabili nel paese. Ora il governo, dopo che l’UE l’ha approvata, grazie alla perfetta immobilità delle istituzioni europee, ridotte alla paralisi dal Moloch tedesco, ne farà un’altra, non migliore, ma semplicemente congegnata in modo da evitare che si coalizzi un’efficace resistenza, sia civile, che interna alla partitocrazia, la quale vuole conservare i suoi canali di spesa. La manovra alternativa del PD, per quello che ci è dato sapere, è velleitaria e inconsistente, e dimostra che l’opposizione non vale nulla, non ha capacità, non ha idee, non ha uomini. Il sistema partitico è oramai solo una zavorra senza capacità di soluzioni e senza valore di rappresentanza. Quindi senza legittimazione.
Sono decenni che in Italia si fanno sacrifici e manovre di risanamento e di adeguamento ai parametri europei, e siamo messi sempre peggio. Nessuno vuole ammetterlo, ma è palese che non funzionano. Il debito pubblico ha sempre continuato a crescere. Il motore del disastroso processo di indebitamento, su scala mondiale è il monopolio privato e irresponsabile della creazione e distruzione di moneta e credito, in mano a un pugno di banchieri, (Monti compreso) che controlla le banche centrali, anche la BCE, e ricatta i governi con minacce di declassamento e di non acquisto dei loro titoli del debito pubblico. Essenzialmente, li ricatta a trasferire al settore finanziario crescenti quote di reddito e risparmio dei cittadini e delle imprese.
Recenti dati mostrano che i paesi che hanno dichiarato di non potere o volere pagare il debito pubblico, dopo il default si sono ripresi bene.
Piuttosto che continuare con manovre depressive e socialmente laceranti, che non risolvono niente da decenni, sarebbe preferibile, per l’Italia, il seguente programma:
1-Uscire dall’Euro ritornando alla Lira;
2-Ripudiare il debito pubblico;
3-Nazionalizzare la Banca d’Italia e sottoporla a una commissione parlamentare;
4-Ripristinare i vincoli di portafoglio e di acquisto dei titoli di stato, come prima del divorzio della Banca d’Italia dal Tesoro;
5-Porre un vincolo costituzionale di pareggio di bilancio (provvedimento, questo, già formalmente adottato) ;
6-Nazionalizzare le banche commerciali che, avendo nel portafoglio molti titoli del debito pubblico, entreranno in crisi .

In tal modo, si eviterebbe tagli depressivi e socialmente laceranti, si risparmierebbe il 22% della spesa pubblica, si azzererebbe il debito pubblico, si potrebbe svalutare e così rilanciare le esportazioni, gli investimenti, l’occupazione; non si avrebbe più bisogno di emettere titoli del debito pubblico, salvo il caso di emergenze; anche in tal caso, li comprerebbe la Banca d’Italia.
Ma continuare con gli inasprimenti fiscali, con la tassazione di redditi presunti, con i tagli allo stato sociale, ai diritti dei lavoratori – continuare con l’indebolimento del paese e l’incremento dell’insicurezza e della paura – tutto questo è utile a portare il paese e la gente in condizioni ottimali  per il capitale internazionale che aspira a rilevare dall’esterno l’economia e le risorse, compresi i lavoratori, di un paese in ginocchio, pronto a lavorare per bassi salari, senza garanzie e tutele, livellato al basso. Un paese dove la gente e le imprese devono svendere i propri beni per debiti, anche fiscali. A questo pare che mirino le politiche e i ricatti della c.d. Europa – BCE, UE –, del FMI, delle società di rating. Ma non è l’Europa, bensì la maschera della comunità finanziaria sovrannazionale. In questa ottica si inserisce ottimamente l’”anschluss” tedesco, l’obiettivo da parte di Berlino di creare una Europa egemonizzata dalla Germania.
Il processo integrativo europeo dell’Europa allargata a 27 membri è finito. La Commissione conta sempre meno. Le decisioni si prendono tra cancellerie di paesi forti, esclusi gli altri. Soprattutto quelle per decidere le mosse della BCE, in modo che salvaguardi innanzitutto la Germania. Questa, assieme ai suoi satelliti e alla sua imitatrice, la Francia, l’ha oramai detto e ripetuto: non accetterà mai di emettere gli eurobond, cioè di mettere in comune il debito pubblico proprio con quello italiano e degli altri paesi eurodeboli. I paesi euroforti (ma esistono ancora?) non accetteranno mai l’integrazione politica con l’Italia non solo per il suo debito pubblico, ma anche perché la classe politica e dirigente italiana è troppo corrotta e incompetente: all’estero hanno visto tutti abbastanza, oramai, dalla mafia, alle storie dei rifiuti di Napoli, al bunga bunga, alla giustizia a livelli di Africa Nera. Forse negli anni ’90 pensavano che l’Italia avrebbe eliminato questa classe dirigente e corretto i propri difetti grazie alla pressione dell’Euro, ma ciò non è avvenuto. All’estero sanno che l’Italia non riesce a riformarsi, a intervenire sui propri vizi strutturali, e che sta declinando da 20 anni incessantemente. Sanno che inevitabilmente uscirà dall’Euro. Sanno che integrarsi politicamente con un paese come l’Italia sarebbe come essere contagiati da una grave malattia.  Nessun paese o azienda efficiente ha interesse a integrarsi con un paese o un’azienda inefficiente. Ha per contro interesse a sfruttarlo/a assumendone il controllo dall’esterno.
La politica tedesca è quindi quella di tenere l’Italia sotto la BCE e gli organismi comunitari, che la Germania può dirigere, al fine di neutralizzarla come paese concorrente sui mercati internazionali, e di costringerla, prima che finisca per lasciare l’Euro, a pagare i propri debiti in Euro verso le banche tedesche anche al costo di dissanguarsi.
E questa linea politica si sta confermando e irrigidendo nel progredire della crisi. I tedeschi sembrano ottusamente non comprendere che una politica che comprime l’Italia, appiattendola sul suo debito e costringendola a provvedimenti depressivi causerà, prima o poi, l’uscita del nostro paese dall’Euro, con il conseguente terremoto globale, la fine della moneta unica e dell’Unione Europea, con una pesantissima ricaduta anche sull’economia teutonica. Ma ostinarsi nelle politiche solipsistiche è ciò che la Germania sta facendo da quando è nata, dal 1871. Non ha mai cambiato linea, nonostante due guerre rovinosamente perse. Il sistema-paese Germania capisce i fatti, non ragioni, moniti e minacce.
Il governo italiano impone al paese sacrifici durissimi e recessivi in nome dell’integrazione europea. Ma l’integrazione europea è finita, per noi. L’Italia non sarà mai integrata. Quindi sarebbe tempo di rovesciare il tavolo, prima che un governo di centro-destra adesso, e un governo di centro-sinistra domani, facciano qualche altra manovra di salasso, per poi annunciare che, inopinatamente, le manovre non sono sufficienti, e che bisogna alzare l’IVA, mettere l’imposta patrimoniale, tagliare le pensioni, marchionnizzare tutto il paese immediatamente e senza discutere per pagare gli interessi sui debiti – in ossequio alla curiosa inversione dei ruoli, oramai dilagata in tutto il mondo libero, in virtù della quale lavoratori, imprenditori e consumatori  producono la ricchezza che dà valore alla carta prodotta dal settore finanziario, però si ritrovano di esso eternamente debitori, anzi devono sottomettersi alle sue regole e alla sua morale.
Ripudiare il debito pubblico, dunque, e uscire dall’Euro. Immediatamente, finché non siamo ancora dissanguati.
Alle lamentale di chi ha comperato titoli del debito pubblico italiani e farà l’indignato quando l’Italia non li pagherà, si replicherebbe che li ha comperati sapendo che erano a rischio, che per il rischio ha avuto un premio di maggior rendimento, e che in ogni caso poteva venderli nei mesi scorsi, vista l’aria che tirava; quindi se la prenda con se stesso;
A chi (banche, perlopiù) li ha ricevuti in garanzia in epoca non sospetta, per l’apertura di una linea di credito non speculativa, si offrirebbe una garanzia sostitutiva;
A Germania e soci, si replicherebbe che i benefici dall’Euro, e ancor prima dallo SME, e prima ancora dalla politica agricola comune, li hanno avuti proprio loro, e a spese e danno dell’Italia, soprattutto in fatto di competitività, di quote di mercato, di occupazione;
Alla BCE si replicherebbe che il suo comportamento è inaccettabile, in quanto non rende nota la quantità di denaro prodotta e la quantità di crediti erogati;
A Bruxelles si replicherebbe che il SEBC viola l’art. 1 e 11 Cost.  L’art. 11, perché questo autorizza limitazioni e non trasferimenti della sovranità; li autorizza per fini di tutela della pace e della giustizia, non finanziari, come fatto per la BCE; li autorizza in favore di altri paesi, non in favore di un organismo sovrannazionale, esente da controllo democratico, come è  la BCE; li autorizza a condizioni di parità, mentre la presenza nella BCE delle banche centrali di Regno Unito, Danimarca e Svezia, che non sono soggette a Euro e BCE ma partecipano ai suoi utili e alla sua sovranità monetaria anche sull’Italia, viola tale condizione. Inoltre viola la norma fondamentale, l’art. 1, sia in quanto toglie al popolo la sovranità monetaria ed economica, che è la principale componente della sovranità e del governo; sia  in quanto il fine della BCE non è la tutela del lavoro, ma del potere d’acquisto della moneta. L’art. 1 afferma per contro i due principi fondamentali: la sovranità appartiene al popolo, e l’Italia è fondata sul lavoro. Questi principi fondamentali sono limiti assoluti, o controlimiti, a quanto possono disporre trattati internazionali come quello di Maastricht che costituisce il sistema della BCE. Un trattato, quindi, illegittimo ed eversivo dell’ordine costituzionale, come tutte le controparti dell’Italia dovevano sapere.
Ma che cosa si potrebbe spiegare a Washington e Londra? Potremmo dire loro che l’Italia ha oramai fatto quanto poteva fare, dall’interno dell’UE e dell’Euro, per ostacolare il costituirsi di una potenza europea concorrente degli USA, con una valuta concorrente al Dollaro. E che ora, per contrastare un’unificazione centro-europea sotto i Tedeschi, è indispensabile che riprenda una certa libertà di manovra.

Abbiamo sempre sottolineato quali svantaggi potrebbero derivare da una uscita dalla moneta unica. Una svalutazione inflattiva che vedrebbe andare in fumo una bella fetta dei nostri risparmi, la perdita di potere di acquisto dei salari, il probabile, seguente, spettro della deflazione che preluderebbe ad una lunga stagnazione economica, sul modello giapponese. Nonostante queste ed altre riserve, pensiamo sia chiaro per tutti che non possiamo continuare questo gioco al massacro quotidiano. Non passa giorno che la Borsa di piazza Affari non bruci miliardi di Euro, costantemente sotto i 15.000 punti, la soglia della sopravvivenza di una borsa valori, l’egocentrica paralisi tedesca costringe le nostre banche, pur essendo assai più virtuose di quelle germaniche, ad aumenti sanguinosi di capitale. Gli incagli e le sofferenze dei nostri gruppi bancari hanno ed avranno sempre di più la conseguenza della cessazione del mercato interbancario, una stretta creditizia sempre maggiore, il rischio di una bancarotta che è sempre dietro l’angolo. Non si può continuare a scivolare in eterno. Prima o poi si tocca il fondo. Non dotare la BCE di poteri maggiori, tra cui la possibilità di stampare moneta, il blocco di qualsiasi politica di bailout e di quantitative easing finiranno con inasprire la crisi dei debiti sovrani al punto da costringere al fallimento oggi Grecia e Ungheria, domani Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia. E’ giusto mettere sul piatto della bilancia i pro e i contro di una uscita dall’euro. Ma, al punto in cui siamo arrivati, se alla fine del mese di gennaio, al vertice di Bruxelles, la Merkel dovesse continuare a fare melina e annunciare provvedimenti vaghi e fumosi, non avremo altra scelta che uscire dall’euro. Monti e Sarkozy sono sostanzialmente d’accordo, sia sulla Tobin Tax che sull’allargamento del fondo di stabilità (ESM), ma certamente anche sull’emissione di eurobond e sulla concessione di un roll over del debito in pancia agli istituti bancari, i primi a crollare in caso di default. Se la Merkel vuole proseguire sulla strada del rigore degli altri, faccia pure, noi una seconda manovra di marzo o di aprile non la mandiamo giù, sia chiaro per tutti. Se a Monti dovesse balenare per il capo di fare una manovra cresci-Italia con alcuni provvedimenti di facciata, accompagnati da ulteriori tagli e imposizioni fiscali, il parlamento, come è giusto, gli farebbe probabilmente mancare la fiducia. Spiacerà, a quel punto, constatare che saranno proprio gli uomini di Berlusconi ad impedirgli di fare una sciocchezza madornale, che ci costringerebbe ad una depressione sicura e ci inchioderebbe al ruolo di paese satellite della Germania. Se si dovesse delineare un simile quadro, che la parola torni pure alla politica, anche se si tratta della politica di casa nostra. In definitiva, i propositi di Monti sono buoni, vedremo se sarà in grado o se vorrà far seguire alle dichiarazioni i fatti concreti. Dovrà fronteggiare le paralisi delle città messe in scena dai taxisti, le serrate delle farmacie, le rivolte di notai, avvocati e commercialisti. Se supererà questa dura prova, raggiungerà la statura di uno statista. A questo punto, se dall’Europa, cioè dalla Germania, non perverranno le risposte che ci attendiamo sarà sempre compito suo non farci percorrere il cammino infernale della Grecia. Abbiamo sotto gli occhi quello che accade a compiere manovre depressive in presenza di un PIL negativo. Se per disgrazia la Germania dovesse rispondere con i soliti vaghi differimenti sapremo come muoverci. L’uscita dall’Euro non sarebbe più evitabile.
Liberamente tratto da un articolo di Marco della Luna – disinformazione.it

 PRECISAZIONE
Il presente post , come dichiarato, è liberamente tratto da un articolo dell’avv. Marco della Luna, collaboratore del sito www.disinformazione.it. Condividiamo appieno il contenuto, convenendo tuttavia che la soluzione indicata dall’autore è del tutto inapplicabile nella realtà. L’Italia è vincolata all’UE dalle clausole dei trattati che ha firmato insieme agli altri paesi membri. A posteriori, come già sottolineato, l’entrata nella moneta unica è stata un errore, soprattutto in considerazione delle condizioni capestro cui i paesi del nord Europa ci hanno obbligati. Non si doveva considerare una entrata nell’Euro purchessia, ma a ben altre condizioni. Ora che il danno è fatto, è una mera utopia “ripudiare il debito” come più volte evocato dall’autore dell’articolo. Sarebbe bello, ma, realisticamente non è possibile. Può farlo un paese come l’Islanda, uno stato nel circolo polare artico, praticamente fuori dall’Europa, con una cittadinanza di 350.000 anime. L’uscita dall’euro, tuttavia, è da considerarsi possibile, anzi, obbligata nel caso in cui le politiche economico finanziarie della Germania ci costringessero ad una “ellenizzazione” del paese. A queste condizioni, l’alternativa all’uscita dalla moneta unica sarebbe il massacro economico della popolazione italiana. Monti stesso non lo accetterebbe mai. E’ vero che un paese non potrebbe unilateralmente uscire dalla moneta unica, ma tra la trasgressione di una clausola di un trattato e la macellazione del nostro paese, saremmo obbligati alla prima opzione.