mercoledì 18 gennaio 2012

SGUARDO CORSARO (capitani coraggiosi)

Il “comandante” Schettino ci ha bruscamente, brutalmente ricordato, se ce lo fossimo dimenticati, di quale pasta siamo fatti noi italiani. Non ci addentreremo nella cronaca degli avvenimenti che hanno condotto al naufragio della Concordia. Ne hanno parlato, con tutti i dettagli, giornali e telegiornali. Ma non è questo che ci interessa. Il comandante Schettino rappresenta qualcosa che neppure lui immagina, qualcosa che scorre lento nelle nostre vene stanche, qualcosa che sa di decadenza e di inesorabile declino, qualcosa che ha a che fare con la corruzione del pensiero e dei costumi, qualcosa che non vorremmo mai vedere, che nascondiamo, anzi, al nostro sguardo, ma che, puntualmente, la storia e gli eventi che la rappresentano, gettano davanti ai nostri occhi, e non possiamo voltarci indietro o far finta di niente, siamo noi, siamo proprio noi, per quel poco di Schettino che alberga in ognuno di noi. Dopo il bunga bunga berlusconiano, che ci ha fatto diventare lo zimbello del mondo politico, con un premier più dedito ai suoi svaghi personali che alle condizioni del proprio paese, ecco l’incarnazione della codardia, la personificazione della vigliaccheria, della meschinità, dell’ignavia, la miseria della confusione mentale.

Il comandante Schettino sembra uscito da una delle più riuscite commedie all’italiana, di Dino Risi, di Monicelli, di Scola. Il suo personaggio potrebbe essere egregiamente interpretato da Alberto Sordi, o da Gassman, o Manfredi, o Tognazzi. La commedia all’italiana degli anni settanta era sì divertente, ma, pur con qualche forzatura, rappresentava degnamente e amaramente un archetipo italiano medio ben preciso, con delle connotazioni ben individuabili. L’arte di arrangiarsi, la vigliaccheria, la fantasia nel raggirare il prossimo, vissuto sempre come qualcuno da far fesso, la mediocrità accompagnata dalla pigra indolenza di quelli che vogliono cambiare tutto affinchè nulla cambi. Siamo il paese del Gattopardo. Finito il bunga bunga, arriva il comandante Schettino a dare una tragica rappresentazione delle italiche virtù. Un comandante che abbandona per primo la nave, dopo aver compiuto una manovra folle, urtando uno scoglio segnato da tutte le carte nautiche, a 150 metri dalla riva, una distanza che si può coprire a nuoto, che risponde alla Capitaneria di Porto in evidente stato confusionale, bofonchiando frasi incomprensibili, paralizzato dall’alcool o dalla paura. Il Comandante De Falco non è, ovviamente, stato un eroe. Altri sono stati eroi. Come lui stesso ammette, non ha fatto altro che il suo dovere, che dire a quella specie di comandante cosa doveva fare in una situazione di emergenza. Esiste un preciso protocollo da seguire in caso di incidente nautico, collisione o urto contro uno scoglio, questo protocollo era evidentemente del tutto sconosciuto al comandante Schettino, che non ne aveva letto neppure le prime righe. Ma chi c’è dietro a Schettino? In base a quale bislacca disavventura un simile personaggio è diventato comandante di un complesso residenziale galleggiante? Al comandante Schettino donava indubbiamente la divisa, gli stava bene, era belloccio, galante con le signore, come lo sanno essere i napoletani. Gigioneggiava, a bordo, sempre cortese con le belle donne, sempre disponibile con il gentil sesso. Si comportava come un Marajà che disponesse del personale femminile di bordo, una babele di filippini, indiani, romeni e cingalesi. Quali sono stati i criteri di selezione di Costa Crociere nella individuazione di un simile figuro? L’aspetto fisico? L’avvenenza? Il savoir faire con le belle dame? Le responsabilità di Costa sono enormi, non si affida una nave passeggeri, grande come una cittadina ad uno Schettino qualsiasi. Il danno all’immagine di Costa e di Carnival sua proprietaria è più che meritata. Ma anche questo ci insegna qualcosa del nostro essere italiani. Come sono selezionati i nostri politici? Con il famoso porcellum, i capibastone dei partiti scelgono i deputati sulla base non già di criteri oggettivi, ma di valutazioni personali, nella migliore delle ipotesi, sulla base delle doti fisiche nella peggiore. E’ di oggi la notizia che è stato rinnovato il contratto dei bancari. Si tratta di un aumento di stipendio medio di 170 euro diviso in tre tranche. Siamo felici per loro. Certo, suona un po’ strano che proprio il comparto che versa nella peggiore delle condizioni, non esente da responsabilità nella contrazione economica che stiamo vivendo, continuamente ad un passo dal fallimento, in perenne crisi di liquidità, così avaro nel concedere credito alle famiglie e alle imprese, si permetta il lusso, di questi tempi, di rinnovare un contratto economico. Quali altri comparti si sono visti rinnovare il contratto? Pochini. Con quale criterio le banche selezionano il loro personale? Sono banditi dei concorsi? No, il criterio del reclutamento adottato da molti anni dai nostri istituti di credito è la pura e semplice cooptazione, la chiamata individuale. Cioè, in parole molto più semplici, la raccomandazione. Con mezza Italia a spasso o con gli stipendi inchiodati, francamente, questo aumento di 170 euro è un po’ difficile da digerire.

Non è vero che tutti i popoli siano uguali o abbiano necessariamente qualcosa in comune. L’Italia non è l’Olanda, ma neppure la Spagna. Gli olandesi, qualche milione di anime, hanno strappato lembi di terra al mare, hanno colonizzato vaste aree dell’Asia e dell’Africa, sono divenuti una potenza mondiale, a tutt’oggi sono il paese con le migliori prerogative economico finanziarie, (altro che Germania, in condizioni ben peggiori rispetto al Paesi Bassi!) C’è qualcosa nel nostro popolo che ci rende diversi, atipici per l’Europa, tanto da farci rassomigliare al paese più settentrionale dell’Africa (con tutto il rispetto per l’Africa). Non è un discorso razziale, ma di storia e di cultura. L’Italia è stata forzosamente unita, lo sappiamo bene, il mezzogiorno ha una storia a parte, di derivazione borbonica, il nord ha una diversa estrazione culturale. Lo Stato Pontificio ha per troppo tempo impedito l’unità del paese, ritardandola di qualche secolo. E adesso, che ci siamo in qualche modo amalgamati, siamo riusciti a costituire uno stato, per quanto debole e pieno di problemi, mai una nazione. Non saremo mai una “nazione”, proprio perché nessuno di noi ha realmente il “senso dello stato”, il senso di appartenenza ad una sola collettività, ad un consorzio civile. Siamo il paese del “cà nisciuno è fesso”, cerchiamo di fare fessi gli altri, partendo dal presupposto che chi ci sta di fronte è un babbeo da raggirare. Qui ognuno pensa solo a se stesso, al proprio orticello, non si va la di là dei confini familiari. Lo dimostrano egregiamente le liberalizzazioni che sta tentando di attuare il governo Monti, l’unico governo, non politico, che abbia fatto un tentativo in tal senso. Stiamo vedendo quotidianamente la reazione agli attentati alle corporazioni. Le stesse liberalizzazioni, negli altri paesi europei, sono vigenti da molti anni, sono una cosa normale.

Il “subcomandante”  Schettino, in altre epoche e sotto altri cieli, sarebbe stato passato per le armi. In tempo di guerra una corte marziale (che non prevede tre gradi di giudizio) lo avrebbe messo davanti ad un plotone di esecuzione. Fare il comandante di una nave non significa solo percepire un lauto stipendio e bamboleggiarsi come ci si trovasse su “love boat”, in mezzo a belle donne, ottimi cibi e champagne. Fare il comandante è una cosa seria, chi accetta questa responsabilità deve accettare anche i rischi che si corrono e trovarsi nella condizione di affrontare tali rischi nel migliore dei modi. Diversamente si devono accogliere tutte le responsabilità e le conseguenze del caso, sino in fondo. Ma abbiamo veramente fiducia nella magistratura italiana? Come si dice in questi casi, la giustizia farà il suo corso, che sarà un corso benevolo, statene certi. Si considererà il pentimento, la contrizione profonda di quella povera anima, gli si darà qualche mese di reclusione e tanti saluti. Siamo italiani, non lo dimentichiamo, anche nella giustizia. Non possiamo criticare più di tanto gli altri paesi quando  ci giudicano secondo quelli che a nostro parere sono stereotipi ripetitivi. Non suoneremo il mandolino, non saremo dei santi, non mangeremo sempre pizza, non saremo grandi poeti (lasciamo perdere i navigatori), ma il confronto con lo straniero non lo reggiamo proprio. Chiunque,come me, abbia vissuto da muto e impotente spettatore la tragedia del naufragio davanti al porto di Genova, a pochi metri dalla salvezza, della London Valour, ricorda perfettamente l’eroico, commovente comportamento del capitano del mercantile inglese. Il comandante, nel disperato tentativo di salvare la moglie che stava scomparendo tra i  flutti, si gettò in quelle acque, ben conoscendo la sorte che gli sarebbe toccata. Perse la vita, con la moglie e diversi componenti dell’equipaggio. A ben guardare, ad essere onesti con noi stessi, noi, in quegli stereotipi, ci rientriamo perfettamente.