martedì 24 gennaio 2012

BREVE ANALISI DEL DECRETO CRESCI ITALIA

Ospito volentieri l’articolo di Carlo Scalzotto, pur non essendo, nella sostanza, d’accordo con quanto afferma. Il fatto che il decreto sulle liberalizzazioni abbia conosciuto troppe retromarce, troppe esitazioni, qualche eccesso di zelo nei confronti di alcune corporazioni corrisponde purtroppo al vero. L’Italia è il paese ingessato dalle corporazioni che, grazie alle loro situazioni monopolistiche o oligopolistiche, hanno tratto vantaggi e prebende dalle loro rendite di posizione. Uno sviluppo economico in assenza di un mercato del lavoro e delle professioni veramente libero non è pensabile. Il solo fatto di impedire ad altri, ulteriori soggetti di fare ingresso nella competizione del mercato, costituisce un privilegio economicamente inaccettabile. Parliamo di notai, avvocati, farmacisti, taxisti, psichiatri e psicoananalisti ecc. Il problema delle banche è però diverso. Vero è che il decreto sfiora le banche con il guanto di velluto, ma occorre tenere presente che la sorte dei nostri istituti di credito è anche, alla fine, la nostra sorte. Il 2012 è l’anno delle grandi sofferenze bancarie. Se non capiamo questo non possiamo comprendere appieno l’attuale congiuntura. Dobbiamo fare in modo che le nostre banche siano assolutamente salvaguardate da qualsivoglia rischio di fallimento. Guai se ciò dovesse accadere! In quanto soggetti privati, le banche, i risparmiatori, gli investitori, insomma noi tutti, saremmo coinvolti nella ristrutturazione del debito, che significa un haircut dei nostri stessi risparmi di almeno un 25% di quanto da noi detenuto. La salvezza delle banche corrisponde, volenti o nolenti, alla nostra stessa salvezza. Pubblico l’articolo seguente semplicemente perché descrive molto bene e con professionalità un punto di vista, anche se non sempre condivisibile.
Il decreto di liberalizzazioni approvato dal Governo Monti è riuscito ad aprire settori della nostra economia finora difficili da toccare.
Tra i motivi del ritardo con cui l’Italia vara queste norme c’è stata senza dubbio la consistente presenza di rappresentanti delle professioni tra le sedie del Parlamento: in Camera e Senato abbiamo 341 tra avvocati, giornalisti, medici, ingegneri, commercialisti, architetti, notai e farmacisti. Si tratta del 36% dei nostri parlamentari, che saranno presto chiamati a sostenere un decreto che li riguarda personalmente, ma che soprattutto interviene su
attività che contribuiscono al PIL fino al 22%.
Le liberalizzazioni favoriranno la crescita, come dimostrato da numerosi studi. Proponiamo alcune letture riguardo la struttura di mercato e le performance del commercio al dettaglio. È stato dimostrato, sia nel caso della Francia che in quello dell’Italia, che restrizioni all’entrata per i grandi negozi non sembrano aiutare i piccoli commercianti, dal momento che le grandi catene di vendita al dettaglio rispondono alle restrizioni aprendo negozi di minori dimensioni, creando condizioni concorrenziali difficili da sostenere; inoltre, un’eccessiva regolamentazione fa diminuire la crescita occupazionale. Altri studi dimostrano come, nel caso inglese, le regolamentazioni restrittive all’ingresso riducano il numero di grandi supermercati e causino un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, con conseguente perdita di benessere per i consumatori.
Un ultimo studio sulle farmacie in Belgio mostra come le restrizioni all’ingresso abbiano avuto un impatto negativo sul benessere dei consumatori e che l’intensa regolamentazione non sia riuscita a garantire la disponibilità dell’offerta su tutto il territorio: con regole meno restrittive si potrebbero avere il doppio delle farmacie, più posti di lavoro ed una migliore copertura territoriale.
Tutte le liberalizzazioni decise dl governo Monti sono note e promettono di aumentare la concorrenza in molti settori: ma i cittadini si chiedono semplicemente quanto potranno ricavare in termini economici dal Decreto Cresci Italia. L’Osservatorio Nazionale della Federconsumatori ha provato a calcolare i possibili risparmi destinati ai consumatori, cercando di capire quali sono i potenziali benefici per ogni singola famiglia. I dati sono senza dubbio incoraggianti. In effetti, le agevolazioni destinate a ogni singolo nucleo familiare ammonta a 946 euro: ovviamente, si tratta della somma che si ottiene dai vari risparmi per le varie categorie professionali che sono coinvolti da questo pacchetto di misure. Anzitutto, bisogna ricordare che le famiglie italiane hanno ornai raggiunto i ventiquattro milioni complessivi, con 2,5 componenti in media e una spesa annua di oltre 29mila euro. I 946 euro appena menzionati non sono altro che il totale di tanti minori costi: si tratta, nello specifico, dei 116 euro dei carburanti, dei 184 relativi alle professioni (il riferimento non può che andare a notai e avvocati), dei 247 per quel che concerne il commercio, senza dimenticare le assicurazioni (114 euro), le farmacie (42 euro), i trasporti (48 euro), i taxi (86 euro) e la bolletta energetica (altri 109 euro). In aggiunta, non va dimenticato un altro risparmio fondamentale per il nostro paese, vale a dire quello del prodotto interno lordo (1,5 punti percentuali). La stessa Federconsumatori e l’Adusbef non potevano che giudicare in maniera positiva queste stime, riconoscendo, nonostante tutto, la possibilità di intervenire con maggiore coraggio per venire incontro alle necessità più urgenti delle famiglie importanti. Ora guardiamo nello specifico il comparto bancario e gli effetti sulle banche colpite di striscio, anzi, lambite a malapena, con una certa fatica le banche si accorgeranno del varo del pacchetto liberalizzazioni. Il governo aveva promesso la metamorfosi del Paese, a partire dall’erosione di tutte le rendite di posizione acquisite nel corso degli anni all’interno di ogni settore della vita pubblica ed economica del Paese (e può darsi che, in parte, abbia tenuto fede all’impegno); eppure, sul fronte dei privilegi di cui godono gli istituti di credito manifesta un atteggiamento schizofrenico. “Non mi sorprende che il governo dei banchieri non abbia toccato le banche”, commenta, raggiunto da ilSussidiario.net Gianni Dragoni, inviato de Il Sole 24 Ore, autore del recente “Capitani coraggiosi – I venti cavalieri che hanno salvato Alitalia e affondato il Paese” (ed. Chiarelettere). “Del resto, tra i ministri di spicco dell’esecutivo – continua  – vi è Corrado Passera, che difficilmente potrebbe scardinare il sistema di potere e reddito degli istituti di credito”. A parole, Monti si era impegnato, in parte, a farlo: “Quando il presidente del Consiglio annunciò 30 miliardi di nuove tasse, disse anche che avrebbe cercato di indurre le banche e le società di carte di credito a ridurre le commissioni; anche perché da lì a poco sarebbero aumentati i pagamenti per via elettronica, in virtù della misura che vieta quelle in contanti sopra i mille euro. Non mi pare che ci siano state iniziative in questa direzione”.
Secondo Dragoni, l’esecutivo avrebbe potuto agire anche su altri versanti. “Avrebbe potuto, ad esempio, chiedere maggiore trasparenza relativamente ai costi dei conti correnti, o stabilire dei tetti per quelli delle operazioni bancarie”. Il perché di una tale remissività è semplice: “Il governo nei confronti dei cittadini e degli elettori ha un atteggiamento paternalistico, ma sta dalla parte dei più forti”. Alla banche è stata data copertura per l’emissione di obbligazioni. Alcuni sostengono che avrebbe potuto fare altrettanto peri prestiti alle imprese. “Personalmente – dice Dragoni – credo che se tutta l’attività bancaria dovesse ottenere garanzie di copertura, si determinerebbero per l’amministrazione pubblica rischi enormi legati alla possibilità di insolvenza delle aziende”.  Secondo Dragoni, tuttavia, si è ancora in tempo per introdurre dei provvedimenti tali da facilitare lo sblocco del credito alla produzione. “Ad esempio, si potrebbe vincolare la copertura delle obbligazioni a una quota minima di credito erogato alle imprese”.
Del resto, il governo ha modo di intervenire, non necessariamente attraverso delle leggi. “Da più di un anno le banche italiane si riempiono le tasche di titoli di Stato, nonostante questo diminuisca il loro valore azionario. E’ evidente che qualcuno le ha spinte a farlo. Quel qualcuno – prevalentemente l’autorità politica – potrebbe anche invitarle ad aver maggior attenzione per il credito alle imprese.
Carlo Scalzotto – tradingnostop.finanza.com