giovedì 7 aprile 2011

ROBERTO, 35 ANNI DOPO


Oggi, nell’ora di pausa dal lavoro, in un bar qualsiasi della mia città, il mio sguardo si è incrociato con quello di una donna seduta ad un tavolino. Negli occhi di entrambi è balenato qualcosa. Siamo tornati, dopo un attimo a guardarci, e abbiamo capito. Quella donna non era una donna qualsiasi, era il mio primo amore. Sì, nella migliore tradizione della retorica sentimentale, mi ritrovo qui, trentacinque anni dopo, a scrivere di lei. Dietro il volto di quella donna, nell’attimo intercorso tra il primo sguardo e il secondo, si è rivelato, come in un’epifania joyciana, un mondo intero di sensazioni, emozioni, ricordi, tuffi al cuore. Si è trattato di una frazione di secondo, ma, come vado ripetendo sulle pagine di questo blog, nel tempo dilatato della mia coscienza, si sono spalancate le porte dei sentimenti e delle accorate nostalgie. Ho pensato di assaporare la “madeleine” proustiana, e nello stesso istante in cui il dolcetto attinto nel tè si scioglie nel palato, ho vissuto e rivissuto in un feed back all’indietro di vertiginosa velocità, come in un lunghissimo piano sequenza di un film di Antonioni o di Orson Welles, la marea inarrestabile delle possibilità, delle probabilità, delle parole pensate e non dette,  del tempo buttato via, del sapore soave e dolcissimo di chissà quali baci, dei progetti assurdi e delle fantasie di allora, la tenerezza languida e struggente di ogni incontro e di ogni addio, l’ebbrezza di vivere una esperienza unica e irripetibile, dove tutto è portato alle estreme conseguenze: la stagione della giovinezza, delle possibilità che ti si schiudono davanti, allineate, una dopo l’altra, si sono così aperte le finestre dell’ordine naturale delle cose, del cosa sarebbe accaduto se quell’ordine fosse stato sovvertito, restituendomi una impossibile possibilità. Tanto è accaduto nel breve attimo intercorso tra i due sguardi. Poi ci siamo riconosciuti, abbiamo parlato dicendo le cose inutili che si dicono sempre in questi casi, con un po’ di imbarazzo, lei era attesa da un collega, io stesso ero in compagnia, poche parole senza senso per riempire il nulla dei minuti successivi. Non so se la rivedrò, chissà. Ha una bella famiglia, un ottimo lavoro, dove eccelle, io, io invece non so nemmeno più di preciso quello che sto facendo, ho perduto tutti i miei cari, sono tornato alla casa avita, che mi ha visto bambino, un bambino infelice, mi trovo sulla soglia di una decisione importante, cambiare vita, cambiare aria, fare, finalmente, dopo tanto tempo, quello che mi piace veramente, quello che so fare meglio e non ho ancora potuto fare. Mi è accanto una persona  che mi vuole bene, cui voglio bene, ma la sera, quando rientro a casa sono solo. Mi tornano alla mente le parole della canzone, in quegli  anni assai nota, “Solo” di Baglioni:
“e se adesso suono le canzoni
quelle stesse che tu amavi tanto
lei si siede accanto a me sorride e pensa
che le abbia dedicate a lei...
e non sa di quando ti dicevo
"mangia un po' di più che sei tutt'ossa"
non sa delle nostre fantasie del primo giorno
e di come te ne andasti via...”
E allora nei suoi occhi rivedo ancora, ora come allora, le prime feste in casa di uno e dell’altro della compagnia, le prime sbronze tra amici, le notti tirate a far mattina,il primo abbozzo di attività politica, un marxismo immaginario poco capito ma molto amato, i primi cantautori, e poi l’incontro con lei. Aveva tredici anni. Tredici anni…Io ero un po’ più grande di lei, ma la mia stupida immaturità era disarmante. Eppure quella donna che ho incontrato oggi, dopo trentacinque anni, mi ha amato. Mi ha amato come si può amare a tredici anni, eppure mi ha voluto bene con tutta se stessa, con la maturità di una piccola donna che aveva intravisto in quell’idiota che ero allora, qualcosa che gli specchi non riflettevano ancora, che io stesso, confusamente non comprendevo. Poi mi sono comportato come un sedicenne fatuo e imbecille, e ci siamo perduti. Chissà se ricorda i baci di Villetta Di Negro, le passeggiate a Mura degli Angeli mano nella mano, la sua pazienza, quando avevo un po’ bevuto e dicevo un mucchio di sciocchezze, chissà se si ricorda… A volte mi sembra che tutto si confonda come in una nebbia, e che tutto non sia neppure veramente accaduto, ma si sia trattato solo di un sogno. Ripenso alle parole di “Morgana, luci di giorni passati” di Vecchioni :
“E come sempre arrivo al solito posto
a raccontarle quello che non ho visto
e come sempre questo giorno è passato
e non ricordo come e quando sia stato
lei nel fuoco si vede e non si vede
non conosco i suoi anni ma sorride:
e la sua mano come un velo sottile
lei mi piega il capo per farmi bene
e come tutte le altre volte nel letto
fa l'amore, mi addormenta sul petto
mi accarezza alla luce di una fiamma
e mi canta una strana ninna nanna.
Ho un solo tempo quando il cielo è già scuro
e sono un servo, un saltimbanco, un guerriero
ma non ricordo le figure del giorno
ed ogni volta è sera quando mi sveglio
oggi ho quasi vent'anni e sono biondo
l'altra volta quaranta e l'altra cento
e mi risveglio mentre sono a cavallo
e sfioro gli alberi aggrappato al suo collo
e le racconto sempre un'altra mia vita
e lei fa finta che non l'abbia inventata
ora è piena di luci la capanna
e lei canta una vecchia ninna nanna.”

Oppure dalla canzone, sempre di Vecchioni “Bei tempi”:
Era tanto tempo fa
poi è già poi
sul portone non c'è più lei
forse ho sognato
forse tutto si è già fermato
d'estate quando c'era il mare
e avevo voglia di guardare
Era tanto tempo fa
poi c'ero io
che pensavo vedrai domani
io che leggevo
e facevo discorsi strani
a Laura quando le dicevo
che il mondo è bello e ci credeva “

Ora tutto è passato, il mondo è cambiato, ci ha cambiato. Ma se io non sono più da molto tempo il ragazzino che credeva nei cantastorie e nei cattivi maestri, lei è ancora la ragazza ferma e risoluta di allora, il suo sguardo non può avermi ingannato. Io ho fatto molte cose, sono passato da una esperienza all’altra, cerco di capire di finanza, di fisica, di medicina, di chimica farmaceutica, di politica , di filosofia, di storia dell’arte e di teologia, mi sono perso in questo mare di sapere fasullo e superficiale, con il solo risultato che le cose che so sono belle ma inutili. E gli studi di Lettere, Filosofia e Teologia mia hanno reso alla fine solo più consapevole della mia, della nostra condizione, e quindi più infelice. Lei fa un lavoro bello e utile che, suppongo, le dia molte soddisfazioni, e la limpidezza del suo sguardo non tradiva tutte le mie complicazioni. Ora che mi ritrovo a cinquant’anni a rifondare la mia vita, ho aperto, o cerco di farlo, delle porte che mi erano finora precluse, e mi piacerebbe sentire il suo parere, sentire che ne pensa una donna che mi ha conosciuto trentacinque anni fa, ma aveva gettato uno sguardo nella mia anima e forse l’aveva capita. Non so se la rivedrò, ma le voglio dire ancora un’ultima cosa, che ancora non ho detto: è sempre bella, bella come allora, bella come l’ho tante volte immaginata ripensando a lei. Bella come la protagonista di una pubblicità di chissà quale liquore, che di questi tempi passa in TV: una donna cammina sulla battigia a piedi nudi, giunta dinanzi ad un locale, rimette le scarpe ai piedi, entra nel pub, camminando diritta verso un giovane che si volta e capisce. La musica suona un tango che i due ballano fissandosi negli occhi, senza dirsi una parola.
Ed io ripenso questa sera ad una ragazza dagli occhi chiari e profondi, che tiene per mano una ragazzo biondo, un pò goffo e un pò confuso, sul crinale della sera, lungo lo sterrato che costeggia la Porta degli Angeli.

N.d.A.: la persona cui è dedicato il presente post, mi ha risposto con molta garbatezza, ma ha mostrato di non aver capito nulla di quello che ho scritto. Me ne dispiace, lo dedico quindi a tutti coloro che hanno vissuto, e lo ricordano, un primo amore.  Le delusioni non mi scoraggiano, non scrivo per qualcuno in particolare, scrivo per me stesso e per quelle anime belle che trovano i miei scritti interessanti o comunque degni di essere letti.