venerdì 15 aprile 2011

L'ITALIA, PROBABILMENTE

Purtroppo, ancora una volta, ci tocca tornare ad affrontare un argomento non esaltante, poco interessante, ma di drammatica attualità. Sappiamo da almeno tre anni (grosso modo dall’inizio della cosiddetta “crisi”) che la perdita delle certezze è una delle caratteristiche fondamentali di questa svolta storica, ma, fermo restando che non si può prevedere l’imprevedibile, e non si possono gestire questioni fuori dal nostro controllo (è il caso dei dati macroeconomici), ritengo sia giusto formulare alcune puntualizzazioni, correndo anche il rischio di apparire monotono. Una delle ultime novità che i mercati ci fanno pervenire è la possibile bancarotta dello stato greco. Lo spread dei tutoli di stato greci rispetto ai bund tedeschi ha superato la barriera dei 1.000 punti (1.038 per la precisione), un numero impressionante, basti pensare che lo spread dei titoli italiani si aggira intorno ai 140 punti. Il rating della Grecia è stato ulteriormente tagliato da tutte le agenzie del settore, gli analisti  hanno stabilito nel 63% l’eventualità del fallimento dello stato greco da qui a cinque anni. Si tratta di un evento non solo possibile, ma, considerato il livello della classe politica greca – non dissimile dalla nostra – addirittura probabile. Lo stato ellenico dovrebbe operare ulteriori tagli alla spesa, assai più pesanti di quelli già inferti, e privatizzare almeno il 50% delle società partecipate. E forse anche questo non basterebbe. Il dato allarmante, allora è che, nonostante gli aiuti generosi del F.M.I. e del fondo salva stati UE, il default greco sia inevitabile. Se si considera un altro evento, che può apparire marginale, ed assume invece un discreto rilievo, le elezioni politiche in Finlandia, che vedranno vincitore il partito degli euroscettici, assolutamente contrari ai salvataggi degli stati periferici dell’UE, bene, alla luce di questi avvenimenti, il crack dello stato greco provocherebbe la fuoriuscita della Grecia dalla zona Euro, ed il ritorno alla propria valuta nazionale, che si tradurrebbe, ovviamente, nella totale rovina della Grecia. Se a questi eventi aggiungiamo un altro particolare passato inosservato, ma di altrettanta gravità, il quadro si completa meglio. L’Islanda, il paese che si è rovinato con le proprie mani, un paese dall’economia nulla, inesistente, che ha accarezzato l’illusione di arricchirsi con la finanza creativa (come l’Irlanda, del resto, ) ha deciso, con un paradossale referendum, di non restituire i 5 miliardi di euro che banche inglesi ed olandesi hanno prestato a questa nazione, già in pieno crack bancario. E’ singolare che si indica un referendum per decidere se restituire o meno soldi prestati e richiesti per essere salvati. Eppure gli islandesi lo hanno fatto. Ora, il dato su cui dobbiamo riflettere è che tutte queste circostanze possiedono un potenziale di contagio nei confronti di altri paesi della zona euro. Se la Grecia fallisce non basta metterla fuori dall’Unione per evitarne le ricadute, se un paese come la Finlandia si batterà per lasciare gli stati più deboli al loro destino (che triste cosa è diventata l’Europa!), sarà lecito attendersi che paesi come la Germania cantino vittoria, dal momento che non aspettano altro che una sponda favorevole per portare allo scoperto quello che da tempo cova sotto la cenere: una gran voglia di edificare due Europe, a due velocità: l’Europa virtuosa, di seria A, e quella dei paesi  a rischio che si relegano dapprima in serie B, poi si mettono fuori completamente. Ecco perché le elezioni politiche finlandesi non sono un particolare trascurabile. Se a questo aggiungiamo il bizzarro comportamento di uno staterello che senza l’Europa, sarebbe poco più che una “espressione geografica” , il quale si rifiuta di restituire i denari prestati da banche europee, ebbene in questo caso arriviamo al surreale: cosa penserebbero gli amici islandesi se decidessimo un embargo e li lasciassimo congelare nella loro notte eterna? Anche in questo caso, l’effetto contagio potrebbe essere importante: che cosa accadrebbe se anche paesi come Grecia, Irlanda o Portogallo decidessero che non essendo in grado di far fronte ad una restituzioni dei miliardi di euro elargiti dalla UE, sulla base di un bel referendum popolare, uno dei pochi che raggiungerebbe sicuramente il quorum,  semplicemente non li restituissero? Sono solo ipotesi, ma non troppo lontane dalla realtà. Abbiamo tutti capito fin troppo bene che razza di agglomerato senza senso sa l’Unione europea, un insieme di nazioni che hanno una moneta in comune che li protegge dalle speculazioni internazionali, che, a cadenze fisse, mettono in scena l’inutile liturgia delle sessioni del parlamento europeo, un organismo grottesco, privo di poteri, che si incontra periodicamente per parlare di nulla, prendendo decisioni mai vincolanti per ciascuno stato aderente, decisioni che, nella pratica non hanno nessun o pochissimo valore. Ma allora, se lo stato delle cose è più o meno questo, perché noi italiani non prendiamo le giuste contromisure, perchè non facciamo il possibile per non dipendere dal continuo, serrato ricatto tedesco, olandese, britannico, finlandese? Non abbiamo ingoiato troppi rospi da queste nazioni che hanno saputo meglio amministrarsi, nel corso di questi anni di crisi, e adesso ci presentano il conto, sembra quasi che tollerino la nostra presenza nell’unione come una scomoda necessità. E dico necessità perché se è vero che dopo la Spagna il paese più a rischio siamo noi, è anche vero che siamo troppo grandi per fallire, che i nostri partners non ci possono fare fallire, tanto sono esposti con la nostra economia, il nostro tonfo (da 1.000 miliardi di euro) sarebbe tale da trascinarsi dietro anche il resto dell’Europa. Ma tutto questo non basta, occorre fare, ancora una volta una riflessione sulla nostra fragilità, sulle sue motivazioni. E allora cominciamo col dire che l’Italia potrebbe trovarsi al livello della Francia, fuori dalla zona retrocessione, ha tutte le potenzialità: una classe imprenditoriale attiva, intraprendente, decisa e oculata, un sistema bancario solido, fondato sulla propensione al risparmio delle famiglie italiane e poco esposto sul terreno dei finanziamenti facili. Ma il nostro tanto decantato sistema bancario comincia a scricchiolare perché le famiglie italiane, tanto propense al risparmio, adesso non riescono a risparmiare un euro, e l’aumento del tasso di sconto, se da un lato ha frenato la spirale inflattiva, non agevola certo la concessione di fidi e di prestiti da parte delle banche, a soggetti non del tutto solvibili. Se a questo accostiamo la necessità, richiesta tra l’altro anche dalla BCE, di una generale ricapitalizzazione delle banche, con le conseguenti sofferenze (sono denari sottratti agli investimenti, e accantonati per garantire ai detentori di bond e obbligazione il rimborso del capitale prestato) il quadro è completo. Quanto alle imprese, come non dare ragione alla Marcegaglia, che con dignità e fermezza ha denunciato l’abbandono da parte dello stato di politiche atte allo sviluppo economico. Come darle torto? Siamo il paese che cresce meno (intono all’1%, ma la percentuale realistica sarebbe lo 0%, cioè la stagnazione): se a questo rileviamo che siamo il paese con il maggior debito pubblico in rapporto al PIL, e che siamo il paese con la più elevata evasione fiscale d’Europa, appare chiaro che lo stato, il governo, la classe politica devono necessariamente intervenire. Posto che una reale lotta all’evasione fiscale è, per tante ragioni che non starò qui ad enumerare per amor di patria, pressocchè impossibile, allora è chiaro che si deve intervenire sul fronte dello sviluppo economico, sull’individuazione di strategie volte a stimolare la crescita, ad incrementare le opere pubbliche, quello insomma che paesi come la Francia, appunto, ha fatto e sta facendo, con la conseguenza che si colloca nella zona salvezza. E invece, invece…Dobbiamo ripetere ancora un volta la litania che tutti voi leggete quotidianamente: siamo un paese bloccato, congelato da un governo latitante e velleitario che non si capisce neppure bene cosa stia facendo. Si ha l’impressione di un girare a vuoto, senza bussola e senza meta. Il governo Berlusconi-Scilipoti-Bossi  tiene da anni ormai il Parlamento impegnato negli affari personali del premier, affari che, francamente, a questo punto, non interessano più nessuno, eccetto il TG3. Una volta considerato che Berlusconi non ha alcuna intenzione di dimettersi, che gode di una maggioranza più ampia del previsto, (il gesto di Scilipoti ha fatto scuola), che non esiste una maggioranza alternativa, visto che la sinistra continua a farneticare di primarie, di correnti, non ha una linea né politica né economica, è debole e divisa, schiacciata tra gli opposti estremismi di Di Pietro e di Vendola, a questo punto, credo sarebbe meglio amnistiare in toto Berlusconi, attribuirgli una immunità a vita, purchè si finisca di perdere tempo in queste vicende personali che fanno solo male al paese. Il ministero dello sviluppo economico, retto da un Romani sempre più in confusione, non sta facendo nulla, assolutamente nulla. Ricordiamo ancora una volta che se la politica non interviene, o interviene, come sostiene uno sempre più stranito Tremonti, ormai ostaggio completo della Lega, unicamente sul fronte dei tagli, il debito pubblico è destinato ad accrescersi senza misura, e rischiamo di fare la fine del Portogallo. Ma il problema è proprio questo: la nostra classe politica, del tutto paragonabile a quella greca, non possiede figure di spessore, di statisti, di uomini realmente impegnati per il bene del paese. Ministri come Tremonti, sempre più tramortito, che sa parlare solo di ulteriori tagli alla spesa pubblica (ma cosa vuole ancora tagliare?), come Maroni, che se ne torna a casa con le pive nel sacco dopo la riunione sull’emergenza profughi, come Alfano, troppo impegnato anche lui alla difesa del premier dalla congiura dei giudici comunisti, Come la Carfagna, come la Gelmini che non sa nulla di scuola, come la Melloni, che sa parlare bene solo in romanesco, come la Brambilla, più adatta a decorare un calendario, o la Prestigiacomo che si capisce benissimo non padroneggiare la materia che dovrebbe pilotare. Cari inprenditori, care banche, non potete chiedere aiuto ad una classe parassitaria che blocca il Parlamento per le questioni personali del premier, e che comunque non possiede le persone giuste per gestire la crisi.  E non potete aspettarvi nulla neppure dalle opposizioni, divise, rissose, ma soprattutto composte, come il PD, di “preti spretati” secondo una bella definizione del Prof. Sartori, persone che una volta abbandonata la fede comunista, si trova spretata, cioè smarrita, disorientata, senza una linea politica definita, espressa al massimo del suo grado dal famoso “maanchismo “ di Veltroni. “Sì, le cose, stanno così, però anche in quest’altro modo”. I dirigente del PD sono vecchi, sono superati, sono delle cariatidi ancorate ancora al passato, dovrebbero essere semplicemente spazzati via.
Se le cose stanno come ho illustrato, considerato che non ci si può attendere nulla, al momento, da questa classe politica, non ci resta che affidarci alla bravura e alla costanza della classe imprenditoriale, e all’abilità e all’intuizione dei nostri banchieri. Solo in loro possiamo riporre le nostre speranze, le speranze di non finire anche noi, in un futuro non troppo lontano, nel cono d’ombra delle nazioni fallite, abbandonate al loro destino, lasciate alla nuova povertà che incombe, incombe anche su nazioni che possedevano una volta un impero. Una sorta di contrappasso della storia, una nemesi che si abbatte su chi non ha voluto o saputo sollevarsi, se non altro per un moto d’orgoglio.