mercoledì 13 aprile 2011

E INTANTO IL SOLE SI NASCONDE


Si chiude un’altra giornata, ancora una volta il sole si nasconde dietro gli ultimi palazzi di questa città di provincia. Cala la sera, io, in mezzo alla stanza, ripenso a quello che oggi è accaduto, un altro mattone, uno dietro l’altro, nella costruzione di un poco probabile futuro. Anche oggi l’incontro con persone superficiali, pressappochiste, sciatte, ottuse, non fa che accrescere il mio naturale disgusto. Ma più di tutto, fa male scoprire, una volta di più, che la persona che non dico ti dovrebbe amare, ma almeno volere bene, non ti vuole per niente bene, vuole bene solo a se stessa e alla sgangherata famiglia che si ritrova. Ancora una volta debbo giungere alla conclusione che la più grave iattura che possa capitare ad un essere umano è quella di aver bisogno degli altri. E’ un momento difficile, ma se ne uscirò, in qualche modo, cercherò di rafforzare sempre di più il mio grado di autonomia dagli altri. Tutto il resto, quello che arriva, è da considerarsi una grazia divina, un dono inaspettato. E’ difficile per tutti amare, essere riamati, trovare la persona giusta con la quale condividere le stesse passioni, con la quale trovare quella complicità indispensabile per andare avanti. Ebbene, io, a 51 anni non l’ho ancora trovata. Ma non si tratta solo di questo. Quante volte ci imbattiamo, come dicevo poc’anzi, in professionisti (medici, avvocati, commercialisti, notai ecc) che mostrano una raggelante insensibilità, una preoccupante impreparazione, una imperdonabile avidità di denaro? Spesso, molto spesso. Noi dobbiamo considerare l’altrui interessamento nei nostri confronti come una eccezione, una pausa nel nulla che ci precede e nel nulla che ci segue: cerchiamo di fortificarci, di consolidare le doti, che ognuno di noi possiede, magari solo potenzialmente, di emancipazione dall’aiuto degli altri. Cominciamo a prenderci cura di noi stessi, come solo noi possiamo fare, solo a queste condizioni non andremo incontro ad inevitabili delusioni e saremo in condizione di fare qualcosa per gli altri. C’è sempre un parte infantile di noi che ha bisogno di essere protetta ed accudita, facciamo in modo che non le manchi mai il nostro amore e la nostra considerazione. E non si pensi che si tratta di semplice egoismo: se dentro di noi non arriva a maturazione questo processo di autotutela saremo sempre in balia degli amori e degli affetti degli altri, sempre mutevoli e capricciosi, continueremo sempre a correre il rischio dell’abbandono e della delusione. Impariamo a volerci bene, ad accudirci ad essere tutori di noi stessi, il bene degli altri, che arriva sempre a capriccio, a corrente alternata, o quando meno te lo aspetti (quasi mai quando serve veramente) sarà da noi salutato come un dono insperato. Tanto meglio se arriva, tanto peggio se non arriva. Dopo questo primo processo di autotuela, però, cerchiamo sempre di far qualcosa per gli altri, non per un sentimento di religioso timor di Dio, ma semplicemente perché è una cosa buona e giusta, come norma universale d comportamento, che vale per noi come per i confuciani o gli induisti. Il bene così fatto agli altri, si badi bene, non ci comporta alcun merito al cospetto di Dio, che non giudica le nostre opere, ma le fede che le muove, ma farà di noi degli “esseri umani”, piuttosto che dei semplici uomini e donne. E poi, l’amore, l’amore…Ma l’amore è un’altra cosa. Si può vivere senza amore per un’altra persona, si può e si deve in determinati casi. Poi l’incontro della vita può sempre avvenire, ma, insomma…non ci mettiamo sopra i cuore. Guardiamoci allora intorno, attentamente, scopriremo molte volte che la tale persona o la tal’altra meritavano qualcosa in più che un semplice saluto distratto, una stretta di mano e via, forse celano, dietro una apparenza anonima e confondibile, una ricchezza interiore, uno splendore d’animo che non si manifesta per la strada o nel chiuso di un ufficio. Come ho già scritto, superata la boa dei cinquant’anni, per una e più motivazioni, (troppo personali per essere qui espresse), sono pervenuto a qualche risoluzione che, mi auguro, assuma il carattere della permanenza: non ricevere più ordini da nessuno, l’ho fatto per troppo tempo, ora è venuto il momento di decidere da solo quello che devo e non devo fare, non permettere a nessuno di ferirmi oltre una certa misura, un giorno e via, come oggi. Cercare di dedicarmi alle cose, magari le piccole cose, che mi piacciono o che incontrano il mio favore. La vita è troppo breve per essere interamente sprecata a fare quello che ti impongono gli altri. La data indefinita della propria morte ci agevola non poco il compito: potrei vivere un mese come trent’ anni, ma, nel dubbio, non posso e non devo buttare altro tempo in occupazioni sterili, aride, prive di un reale significato. Mi è capitato di scrivere, tre volte dalle pagine di questo blog, una volta direttamente all’interessata, alcuni articoli a metà strada tra la prosa e la poesia, ma, ritengo, sufficientemente chiari da non essere fraintesi. Purtroppo, in nessuno di questi casi sono stato capito. Si direbbe che l’ottundimento dei media abbia sistematicamente disabituato la nostra mente alla lirica, alla poesia. Il “grande fratello” e l’”isola dei famosi” ci hanno reso prosaici, materiali, attenti solo alla concretezza delle cose, alla mortificazione della quotidianità. E allora, quando qualcuno apre il mio blog e comincia a leggere un pezzo lirico, pensa: “o mamma mia, un’altra poesia, ma questo non trova di meglio da scrivere?”. Questo, vale, ovviamente, solo per qualcuno, ma guarda caso ha riguardato le donne interessate da questi post. Che magari hanno pensato: “Aho!, Ma questo ce sta a provà?”. No, non ci volevo provare, esiste una dimensione dello spirito che siamo sistematicamente abituai ad oscurare, perché è molto bella ma non serve a niente, di concreto. E allora pensiamo che dietro una poesia in forma di prosa si possa celare una insidia, una avance, un provarci. E invece ci sono persone che scrivono d’amore per l’amore, non perché ti vogliano portare a letto, ma solo per comunicarti qualcosa di metafisico, di astratto, che in molti casi è molto più reale della realtà che ci circonda. Bene, non farò più post “ad personam”, considerato il pieno insuccesso, scriverò d’affetto e d’amore, certo, ma per tutti coloro che si riconoscono in quello che scrivo, e magari non sono d’accordo, ma comprendono dove voglio arrivare, e dove sta il mio messaggio. Questo basta e avanza. Agli altri vada il mio compianto, e la mia compassione: se non sanno pensare per astrazioni vuol dire che qualcosa si è irrimediabilmente seccato nel loro cuore, qualcosa che una volta sepolto sotto milioni di incombenze quotidiane, di gesti fasulli, di ipocrisie rassicuranti, non vivrà mai più. Ho pietà di loro. E a quelli che mi vogliono un po’ di bene, che vuole anche dire comprendere quello che scrivo, dico che tutto questo non fa che rafforzare, paradossalmente la mia fede. Il nostro essere uomini è talmente imperfetto che deve esistere da qualche parte in qualche dimensione ultraterrena, la perfezione di cui ognuno di noi ha la definizione innata. Non possiamo anelare, protenderci verso qualcosa che, sebbene non esista in questo mondo, non assuma la consistenza della realtà di Dio. Persino i personaggi in cui mi sono imbattuto oggi, in un’altra vita, porteranno a perfezione quello che, da questa parte, hanno lasciato insoluto, mal fatto, o neppure degnato di uno sguardo. Se c’è speranza per simili personaggi, come possiamo non sperare noi che possediamo il senso delle nostre miserie e delle nostre debolezze: non ci sarà in fondo al cammino un tenero Padre che sciolga tra le sue braccia tutto quello che ci ha fatto soffrire, patire, piangere e morire?