sabato 9 aprile 2011

MACCHERONI IN SALSA BERBERA

C’è una vistosa ipocrisia nel trattare, di questi tempi, il tema dell’immigrazione dal nord Africa. Prima di tutto perché la stragrande maggioranza dei cosiddetti “disperati” che arrivano sulle coste italiane sono tunisini: si tratta in questo caso di “emigrazione economica”, i pochi libici, eritrei o somali che arrivano hanno il pieno diritto di essere considerati dei rifugiati politici. Allora, occorre distinguere. I tunisini, che hanno tollerato per trent’anni la dittatura di Ben Alì, non lo hanno fatto per puro spirito di sopportazione o per amore smisurato nutrito nei confronti del dittatore, ma per il semplice fatto che, tutto sommato, per molti anni, Ben Alì ha ben governato, cercando di perseguire, oltre al naturale arricchimento personale, anche una certa equidistribuzione della ricchezza. Il sistema ha funzionato per molti anni, e la Tunisia non era certo tra i paesi più arretrati dell’Africa. Solo negli ultimi tempi, complici, probabilmente, l’avidità e la cupidigia sempre crescente del suo clan familiare, il dittatore tunisino ha forzato la mano, ha esagerato nel nepotismo, ha cominciato ad affamare la popolazione. A questo punto la sua destituzione si può considerare più che lecita. Ma, non avendo lasciato un paese nell’anarchia più assoluta, nel dissesto economico, in una crisi irreversibile, un governo di transizione, lecitamente, avrebbe potuto e dovuto prendere il controllo delle strutture dello stato e gestire la transizione verso nuove elezioni presidenziali. Invece, un governo transitorio inesistente, imbelle, inetto, ha abbandonato il paese nel più assoluto caos, un paese dove non si sa chi governa e chi prende le decisioni, con un esercito che, incredibilmente, non ha preso il controllo di un paese allo sbando. In questo scenario, migliaia di giovani tunisini arrivano in Italia e in Europa pensando di trovare il paese del Bengodi, una legislazione tollerante e umanitaria, lauta di concessioni e privilegi per il povero immigrato che arriva in cerca di una vita migliore. E allora istruzione e sanità gratuita anzitutto, e una vita da clandestino assicurata, quantomeno in un paese sbracato e mollaccione come il nostro. Con il nostro complesso del razzismo e del politicamente corretto, ci siamo trasformati nell’approdo migliore per questa moltitudine di sfaccendati in cerca di fortuna, che hanno perfettamente compreso che razza di paese sia il nostro. Un paese che non conosce minimamente la xenofobia, che non possiede un partito politico a sfondo razzista (la Lega ha solo in mente una cosa e solo quella: la secessione) e allora perché emigrare in paesi come la Francia, la Germania o il Regno Unito, che con gli immigrati clandestini hanno , loro sì, la mano pesante? E’ vero che lo spettacolo offerto dall’Europa, ancora una volta, è semplicemente deprimente: la Francia non accetta il permesso di soggiorno temporaneo (un vero paradosso giuridico) che l’Italia ha stabilito, la Germania meno che mai. Ma il permesso di soggiorno si può concedere ai rifugiati politici, non agli emigranti economici, in cerca di una facile fortuna,che non passi attraverso un onesto lavoro, ma attraverso una vita di espedienti, di spaccio di stupefacenti, di sfruttamento della prostituzione, di organizzazione di racket che richiedono il pizzo ai commercianti, una vita spesa nella malavita. E questo, i tunisini, hanno ben chiaro nella loro testa: l’Italia è il paese del bunga bunga, è il paese di Berlusconi, una specie di cabarettista che fa anche il premier, un plurindagato che è presidente del consiglio, il paese dei mandolini e dei maccheroni, dove nessuno fa sul serio, dove nessuno si prende sul serio, un paese dove, se hai intelligenza e intraprendenza, con il crimine puoi arricchire. Questo è il messaggio che passa agli immigrati tunisini. Lo dico con cognizione di causa, conoscendo molto bene sia la Tunisia, che la comunità tunisina della mia città. Non prendiamocela, allora troppo  con l’Europa ingrata che non collabora con un paese colabrodo che non ha la statura morale e giuridica sufficiente a scoraggiare le scorribande di qualsiasi pirata o bucaniere che arrivi dalle coste nord africane. Noi, come sentinella dell’Europa, francamente, facciamo ridere. E già che siamo in argomento: per favore non veniamo a raccontarci la storia che siamo stati anche noi un popolo di emigranti. Per favore. I nostri emigranti, quando arrivavano negli Stati Uniti, erano sottoposti ad una quarantena e a dei controlli sanitari  da riservare a degli animali, dovevamo rigare diritto, eccome, perché allora, negli USA, non esisteva la cultura della “società multietnica” esisteva la cultura del “o ti integri o te ne torni a casa”. Non parliamo dell’emigrazione in Australia, ancora più severa e brutale, o a quella nei paesi europei coma la Svizzera o la Germania. Fatevi raccontare da chi è emigrato in questi paesi il trattamento che era loro riservato. Consiglio, a questo proposito la visione del film di Franco Brusati “Pane e cioccolata”. Un paese serio, una nazione, non si comporta come noi: possiede rigore morale, non avrebbe mai eletto presidente del consiglio un uomo come Silvio Berlusconi, conserverebbe una linea coerente di preservazione della propria identità culturale, aprirebbe le porte all’emigrazione, ovviamente, ma a determinate condizioni, non derogabili, l’integrazione, quella vera, non la retorica della società multietnica, che esiste solo nella fantasia dei radical schic, che abitano le zone residenziali lontane dagli immigrati, loro non accettano come vicini di casa una tribù di magrebini, ma pontificano sulla civiltà dell’”accoglienza”. In questo benedetto paese le cose vanno così: le discariche vanno bene, purchè lontano da casa nostra. Il nucleare si può accettare, ma non a casa nostra, gli immigrati sono una risorsa, basta che vivano lontano da casa nostra. Non prendiamocela allora con gli altri paesi europei come la Francia o la Germania, cerchiamo di guardarci dentro e di comprendere che un popolo come il nostro non merita la considerazione degli altri membri UE. Se siamo entrati nella moneta unica e nella stessa Unione Europea, duole dirlo, lo dobbiamo unicamente ai nostri economisti , ai nostri banchieri, ai nostri imprenditori, che hanno dimostrato una intelligenza, una lungimiranza, delle capacità e abilità che sono completamente sconosciute alla nostra sciagurata classe politica.

A mò di chiosa, riporto di seguito il parere sul “multiculturalismo” del premier britannico David Cameron. Come è noto Cameron non è un estremista, e si è semmai distinto per equilibrio e moderazione. Ma se le sue parole fossero state riprese da un politico di casa nostra, sarebbero state immediatamente tacciate di “nazifascismo”. Così vanno le cose da noi.
LONDRA - Il multiculturalismo? E' fallito. La sentenza è del premier britannico, David Cameron. Ed è destinata a sollevare più d'una polemica e più d'una riflessione sui modelli di integrazione con i quali tutta Europa, e non soltanto la Gran Bretagna, ha affrontato il problema dell'immigrazione e dell'integrazione. Con riferimenti specifico all'Islam e in una situazione nella quale ciò che sta avvenendo in Medio Oriente pone nuovi e ulteriori rischi.
VALORI COMUNI PER TUTTI- Secondo Cameron il ««multiculturalismo di stato» ha fallito e ha lasciato i giovani musulmani vulnerabili al radicalismo, ha affermato il primo ministro britannico nell'intervento alla conferenza sulla sicurezza a Monaco di Baviera. «È tempo di voltare pagina sulle politiche fallite del Paese. Per prima cosa, invece di ignorare questa ideologia estremista, noi dovremo affrontarla, in tutte le sue forme». E ancora: «Sotto la dottrina del multiculturalismo di stato, abbiamo incoraggiato culture differenti a vivere vite separate, staccate l'una dall'altra e da quella principale. Non siamo riusciti a fornire una visione della società, alla quale sentissero di voler appartenere. Tutto questo permette che alcuni giovani musulmani si sentano sradicati».
Per Cameron è il momento di lasciare da parte la «tolleranza passiva» del Regno Unito con un «liberalismo attivo, muscolare», per trasmettere il messaggio che la vita in Gran Bretagna ruota intorno a certi valori chiave come la libertà di parola, l'uguaglianza dei diritti e il primato della legge. «Una società passivamente tollerante rimane neutrale tra valori differenti. Un paese davvero liberale fa molto di più. Esso crede in certi valori e li promuove attivamente» (fonte Ansa)