martedì 15 febbraio 2011

LA SANITA' AI TEMPI DELLA CRISI

Qualche tempo fa, un caro amico doveva subire un banale intervento, in uno dei tre ospedali genovesi, di rimozione di alcuni calcoli alla cistifellea. Si tratta di una operazione di routine, da eseguirsi in laparoscopia. Ma qualcosa andò storto, l’amico dovette essere rioperato, e tuttora, a distanza di due mesi, porta una cannula drenante inserita nel fianco. E’ uno dei tanti, innumerevoli casi di errore umano applicato alla salute. Si dirà: i medici sono uomini come gli altri, possono sbagliare. Verissimo, ma dal momento che la salute non è paragonabile alle scartoffie, il medico deve essere messo in condizione di operare con i mezzi adeguati e nelle strutture adeguate. Ora, è sufficiente fare un giro in uno qualsiasi dei tre nosocomi genovesi per capire che, con l’eccezione di rarissime eccellenze, la quotidianità delle corsie ospedaliere è fatta da sciatteria, pressappochismo, superficialità, menefreghismo, scarsa pulizia, macchinari obsoleti da sostituire e che abbisognano almeno di una costante manutenzione, turni stressanti sempre più prolungati, personale paramedico demotivato e in “burn out”, una sindrome aziendale che affligge il personale chiamato a compiti pesanti fisicamente e psicologicamente. In un altro caso, in seguito ad un incidente di moto occorso ad un mio conoscente, si procedeva ad una osteosintesi dell’intero omero, inserendo una barra lungo il percorso dell’osso, assicurato alle articolazioni della spalla e del gomito da viti fuori misura, che ora impediscono al soggetto di alzare il braccio oltre un certa misura, e, a livello del gomito, la vite è fuoriuscita dalla sede nella quale era stata inserita, invadendo i tessuti molli circostanti e i legamenti. Perchè si è verificato un simile madornale errore? Semplicemente perché al momento dell’intervento i medici presenti avevano a disposizione viti di quella misura e non altre. Se non fosse tragico verrebbe da ridere. Io stesso, al solo pensiero di essere obbligato ad un ricovero ospedaliero, sono colto da un attacco di panico: lo confesso, ho paura, paura di essere fatto a pezzi dai sanitari che dovrebbero aver cura della mia salute, e che invece, con un livello elevato di probabilità , potrebbero sbagliare la somministrazione di un farmaco come un intervento chirurgico e mettere così a repentaglio la mia vita. Ogni volta che si entra in un ospedale, da queste parti, è un po’ come giocare alla roulette: se vinci, non vinci niente, perché ottieni una cosa che ti spetta, se perdi, perdi tutto,  perdi la vita. Ma si può entrare in un ospedale con questo tipo di aspettative? Mio padre, 77 anni, alcune patologie tutte sotto controllo, è entrato in uno degli ospedale genovesi per una banale enterite. Ne uscirà quindici giorni dopo cadavere. Fu somministrato al paziente un tranquillante maggiore, per farlo stare buono, in modo che non rompesse troppo le scatole, un neurolettico, l’aloperidolo, potenzialmente pericolosissimo in un paziente anziano. Si scatenò la cosiddetta “sindrome neurolettica maligna” che avrebbe portato il paziente all’exitus in pochi giorni. Il primario, non sapendo cosa rispondere, dispose l’autopsia, che non rivelò niente di straordinario, se non l’enterite non riconosciuta e non curata. A mio padre, nonostante le mie raccomandazioni, tutti i farmaci che assumeva fino al ricovero all’ospedale furono sospesi. Perché? Non l’ho mai saputo. Fatto sta che se mio padre non fosse mai entrato in quell’ospedale forse sarebbe ancora vivo. Non ho potuto trascinare in tribunale i cosiddetti medici del reparto per il semplice fatto che, considerata l’età del paziente, avrei certamente perduto dinanzi alla lobby medicale. Questi pochi esempi ci fanno riflettere su di un aspetto quasi banale: in tempi di crisi il Sistema Sanitario Nazionale non può permettersi di continuare ad allargare la sanità gratuita a tutti, italiani, comunitari ed extracomunitari. Avere un sistema sanitario appiattito verso il basso, con l’unica motivazione (nobilissima, peraltro) di estendere lo stesso diritto di accesso alle prestazioni sanitarie a tutti, italiani, immigrati regolari ed irregolari ecc. produce il risultato di una Sanità che accoglie tutti, ma li cura in modo approssimativo, generico, maldestro, che finisce, inevitabilmente, con il curare male tutti. La sanità ai tempi della crisi non può essere garantita ai livelli dei tempi del bengodi. L’immigrato deve potersi rendere conto, prima di prendere la decisione di spostarsi nel nostro paese, che, per esigenze di spesa pubblica e di debito pubblico, non possiamo garantirgli istruzione e sanità gratuite, perché questi sono solo retaggi di un’epoca ormai lontani nel tempo; da due anni e mezzo il nostro paese e tutto il mondo, attraversano una crisi epocale che non ha paragoni nella storia recente. E’ amaro, è doloroso, dover innescare una triste marcia indietro secondo la quale i servizi minimi di assistenza devono essere garantiti anzitutto ai cittadini italiani; è triste, lo ammetto. Ma non abbiamo, molto evidentemente, altra scelta. Chi sostiene il contrario o è un demagogo o è in cattiva fede. Dobbiamo seriamente ripensare a tutto il sistema del welfare, non solo perché ce lo chiede ad ogni piè sospinto l’Unione Europea, ma perchè le riforme strutturali che dovranno essere applicate con la manovra correttiva di primavera, consistono nel mettere mano alle pensioni (con l’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni) e in una razionalizzazione (cioè ad un taglio) dello stato sociale, che non potrà e non dovrà più essere esteso indiscriminatamente a tutti, per il solo fatto che calcano il territorio italiano. Se non realizziamo queste riforme strutturali, come ci richiede anche il fondo Monetario Internazionale, saremo destinati a vedere crescere a dismisura il divario tra PIL e debito pubblico. Il fatto, infine, che il centro sinistra continui a cavalcare la tigre della società multietnica, continuando a decantarla come un arricchimento per il paese, che intenda mantenere gli stessi livelli di assistenza ai cittadini italiani e non, che l’unica misura seria che prenderebbe in economia sarebbe quella di aumentare la pressione fiscale, si condanna, nonostante il Cavaliere stia facendo di tutto per andare a viso aperto verso lo sfacelo, ad una sconfitta annunciata. La stragrande maggioranza degli italiani ha le tasche piene di crociate a favore della civiltà dell’accoglienza a tutti i costi, l’accoglienza che non facilita seriamente l’immigrato ad integrarsi, ma gli consente di mantenere costumi ed abitudini tipici del paese di provenienza e magari in contrasto stridente con i nostri usi, costumi e la nostra legislazione. Una sinistra divisa, rissosa, incapace persino di portare a termine delle primarie, vuota, inconsistente, paladina di cause perse in partenza, non può che continuare a collezionare sconfitte.