sabato 26 febbraio 2011

CRONACHE DA UN MASSACRO

Non aveva certo bisogno di distinguersi, il colonnello Gheddafi, da 41 anni al potere in Libia, dopo aver rovesciato un monarca con un colpo di stato ed essersi fatto monarca a vita egli stesso. Non aveva bisogno di distinguersi: tutto il mondo conosceva già da tempo le sue stravaganze, la sua ossessione anti italiana, il suo corpo di pretoriane tutte al femminile, le sue tende da piantare ovunque si trovasse. Eppure, questo tristissimo personaggio dal potere quarantennale, ha scelto di passare alla storia non per le sue bizzarrie, ma per la deliberata scelta di scatenare una guerra civile che civile non è, dal momento che a combattere per lui si sono schierati squallidi mercenari sanguinari capaci di tutto, e dall’altra parte, armato approssimativamente, il popolo sovrano e pezzi sempre più ampi dell’esercito regolare che non riconosce più l’autorità del monarca. Fanno riflettere, inevitabilmente, queste ore drammatiche di Tripoli. Una terra che è stata sì una colonia italiana (ma tutta l’Africa, con la sola eccezione della Liberia, è stata colonizzata da europei ben più avidi di noi italiani), una terra dove abbiamo lasciato, considerandola “uno scatolone di sabbia”, infrastrutture tuttora utilizzate dal regime: ponti, strade, acquedotti. Così, nel 1969, deposto il re Idris, si fa strada questo giovanotto neppure generale, con poche idee ma confuse. Scrive un Libro Verde della rivoluzione (ma si è trattato semplicemente di un golpe militare, il popolo non c’entra). In questo libro verde sono contenute le linee guida della rivoluzione di Gheddafi. Una accozzaglia di fondamentalismo islamico, vaghe idee di socialismo, un tenace e troglodita nazionalismo. In questo guazzabuglio, una solo cosa, dopo qualche anno, emerge chiaramente: si tratta della solita dittatura di un autocrate che si crede il padrone e il dominatore assoluto della propria terra. A forza di cercare di farlo credere agli altri, finisce col crederci egli stesso. Abolita la libertà di stampa, imprigionati i pochi oppositori politici, con la proclamazione di “custode eterno della rivoluzione” si garantisce potere e ricchezza assoluti. Ed ora, che sull’onda tunisina, è arrivato il suo momento, che la campana sta suonando per lui gli ultimi rintocchi, non fa come Ben Alì in Tunisia, o Mubarak in Egitto, che, presentendo la fine vicina, riparano alla chetichella all’estero. No, lui non è un codardo, lui non fugge dinanzi al nemico, senza capire che non si tratta di un nemico oggettivo, dai confini ben delineati, dall’identità precisa, è arrivato semplicemente l’appuntamento con la storia, la sua resistenza assomiglia tragicamente alla fuga del cavaliere dinanzi alla morte che sta per ghermirlo della “Samarcanda” di Vecchioni, o agli ultimi giorni di Adolf Hitler, chiuso nel bunker di Berlino mentre i primi carri armati russi stanno sferragliando per la città. Ci sono appuntamenti con la storia che non si possono mancare, sono ineludibili, sono fatali. Questo tragico clown, ridotto a caricatura di se stesso, cerca di trascinare in un bagno di sangue anche la sua nazione. Non ci sono parole per definire una simile stupida, ottusa, feroce resistenza. Stanno arrivando al capolinea anche gli altri regimi cosiddetti presidenziali, dittature mascherate da una patina sottile di democrazia, con periodici plebisciti elettorali simili a liturgie farsesche. Ricordiamo sempre che i regimi di Tunisia, Libia, Egitto, Algeria si sono retti fino ad oggi grazie al  freddo e interessato beneplacito dell’Europa e degli Stati Uniti. Venivano considerati i mali minori dinanzi al pericolo  di una edificazione di repubbliche islamiche sul modello dell’Iran. Le responsabilità dell’Europa non possono essere nascoste, sebbene abbiano una loro motivazione, difficile dire se fondata o meno. Ce lo dirà solo il futuro, al momento imperscrutabile. Non sappiamo ancora bene dove andranno a parare i prossimi governi di questi paesi in fiamme: se saranno i militari a prendere possesso del potere con la scusa della transizione democratica,  se sapranno darsi una forma Stato con istituzioni democratiche, seppure imperfette, o se cadranno preda del fanatismo islamico. E’ difficile cancellare dalla nostra memoria l’ultima  apparizione italiana di Gheddafi, a Roma, vestito come un domatore da circo, a piantare la sua tenda sul Campidoglio, una immagine grottesca e drammatica, come tragicomico è il suo nefando personaggio. In queste ore l’ONU deve decidere su eventuali sanzioni o embarghi che non si realizzeranno mai, sappiamo bene come il Palazzo di Vetro sia divenuto un ente inutile e costoso, paralizzato da veti incrociati, famoso solo per temporeggiamenti, tentennamenti, inconcludenza. Se la vedranno i libici, tra di loro e a casa loro. Ci auguriamo solo che questa amarissima agonia duri il meno possibile, che gli insorti abbiano al più presto la meglio, che questo dittatore da operetta termini i suoi giorni davanti ad un tribunale libico, processato dai suoi stessi compatrioti.