Se la prima parte della nostra inchiesta era dedicata a ricostruire la storia della diffusione del virus dell’Hiv, la seconda ha invece lo scopo di aggiornare i dati sulla malattia, sulle nuove diagnosi d’infezione e sugli investimenti sostenuti per contrastarne la propagazione. Una mappatura che obbligatoriamente parte dagli Stati Uniti, primo donatore al mondo nella ricerca attraverso il Fondo Globale, grazie a un investimento pari a 4,3 miliardi di dollari, a fronte di risorse complessive del Global Fund equivalenti a circa 13 miliardi di dollari per il triennio 2017-19. Per questo motivo, quando si parla d’infezione Hiv un’attenzione particolare va rivolta al Paese sede dei principali studi e ricerche sulla malattia.
IL DIBATTITO SUL "PAZIENTE ZERO". Iniziamo con una piccola curiosità storica: secondo quanto riporta l’agenzia Ansa non è mai esistito il “paziente zero”. S’è trattato solo di un equivoco, si legge nella nota, «che ha accompagnato la storia dell’Aids e di altre epidemie recenti, come l'Ebola. Questa definizione nasce, infatti, da una serie di errori e fraintendimenti. Alcuni sono legati alla storia di Gaetan Dugas, giovane steward dell'Air Canada, morto nel 1984 e additato in un libro degli Anni 80 come il primo responsabile della diffusione del virus Hiv negli Stati Uniti». A chiarire il malinteso, dopo più di 30 anni, è stata la ricerca pubblicata sulla rivista Nature e coordinata da Michael Worobey, del dipartimento di Biologia evoluzionistica dell’università dell'Arizona a Tucson.
CASARI: «SBAGLIATO DIRE CHE NON ESISTE». Una notizia che non trova d’accordo Salvatore Casari, dirigente medico, responsabile dell'Unità per le Infezioni virali croniche Uo Malattie Infettive 2 dell’Asst degli Spedali Civili di Brescia. «È impreciso», spiega a Lettera43.it, «sostenere che non sia esistito “il paziente zero”, semplicemente non è stato riconosciuto. Lo studio dell’andamento dell’epidemia ipotizza che il primo paziente potrebbe risalire agli Anni 50. Una supposizione al momento non supportata scientificamente».
Alla fine
del 2014, si stima in 1,2 milioni il numero di persone negli Stati Uniti con
infezione da Hiv (fonte, Centers for Disease Control and Prevention; Hiv
Surveillance Report, 2014; vol. 26). Nello stesso anno sono state
registrate 44.073 nuove diagnosi di Hiv (una media di 15 ogni 100 mila
persone). I progressi ottenuti dalla medicina hanno garantito, dalla fine degli
Anni 90, una drastica diminuzione dei decessi tra le persone affette da Aids
come attestato dai dati riferiti al quinquennio 2009-14, in cui emerge che il
numero di nuovi casi di Aids è passato da 10,2 a 8,4 ogni 100 mila persone. Un
valore che si riflette positivamente anche sulle morti collegate alla malattia:
da 6,2 a 5,5 decessi ogni 100 mila persone. Certo, i numeri fanno ancora paura
se pensiamo che, solo nel 2013, 673.538 americani sono morti con una diagnosi
di Aids.
PIÙ CASI TRA
GLI AFROAMERICANI. Uno scrupolo
maggiore va rivolto ai dati relativi ad alcune minoranze etniche americane che
hanno sviluppato valori sproporzionatamente alti d’infezione. Nel 2014,
infatti, il tasso di nuove diagnosi è stato superiore alla media tra gli
afroamericani, gli ispanici e le coppie “miste”: rispettivamente circa 49, 18, e
15 infezioni ogni 100 mila persone (fonte, Centers for Disease Control and
Prevention; Hiv Surveillance Report, 2014; vol. 26). Le donne di colore
(non ispaniche) infettate sono 19 volte superiori rispetto alle donne bianche
(non ispaniche), mentre gli uomini di colore omosessuali hanno una probabilità
tre volte superiore di essere infettati rispetto ad altre etnie (fonte, Lancet;
Comparisons of disparities and risks of Hiv infection in black and other men
who have sex with men in Canada, UK, and USA: a metaanalysis, 2012).
36,7 MILIONI
VIVONO CON L'HIV/AIDS. Oggi l’espansione globale del fenomeno sembra essersi stabilizzata sia per
l’aumento della sopravvivenza degli infettati, sia per i risultati del
trattamento antiretrovirale, barriera molto efficace contro la progressione del
virus. Nel 2015 il computo di nuove infezioni da Hiv ha subito un calo del 38%
rispetto al 2001, quando si calcolavano 3,4 milioni di contagiati (fonte,
UnAids; Global Aids update, 2016). Le statistiche generali fornite da
UnAids (The Joint United Nations Programme on Hiv/Aids) sintetizzano la fredda
realtà dei numeri relativi al 2015, che evidenziano quanto, nel mondo,
l’impatto della malattia sia tutt’altro che marginale: 36,7 milioni di adulti e
bambini vivono con l’Hiv/Aids; 2,1 milioni di persone sono state contagiate
dall’Hiv; 1,1 milioni di persone sono morte dopo aver contratto l’Aids.
Nel 2015, a
più di 153 mila persone in Europa è stata diagnosticata la sieropositività
all’Hiv, il più alto numero di nuove infezioni riportate in un solo anno
Organizzazione mondiale della sanità
Avvicinandoci
alle nostre latitudini, l’infezione Hiv desta grande preoccupazione anche in
Europa, in particolare nella parte orientale come confermato
dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) attraverso il Surveillance
report- HIV/Aids surveillance in Europe 2015. Nel 2015, a più di 153 mila
persone è stata diagnosticata la sieropositività all’Hiv, il più alto numero di
nuove infezioni riportate in un solo anno. Di queste, il 79% è stato riscontrato
nell’Europa dell’Est, il resto nel cuore del Vecchio Continente. Preoccupano
soprattutto i dati concernenti la Russia, dove i nuovi contagi riconosciuti
rappresentano il 64% di tutti i casi accertati in Europa dall’Oms e addirittura
l’81% della sola zona orientale.
TENDENZA
PREOCCUPANTE A EST. I dati
presentati nel rapporto indicano incontrovertibilmente che, nonostante i
notevoli sforzi dedicati alla prevenzione e al controllo dell’infezione, il
numero di nuove diagnosi non è diminuito in modo sostanziale negli ultimi 10
anni nell’Europa occidentale ed è più che raddoppiato a Est. Nel “cuore” della
regione europea economicamente più sviluppata, pur rimanendo a un livello
complessivamente più basso, il numero di nuove prognosi è in leggero aumento.
IN ITALIA
5,7 CASI OGNI 100 MILA ABITANTI. Per quanto riguarda l’Italia, come riporta il Supplemento
del Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità - Coa (Centro Operativo Aids)
2016, con riferimento a dati raccolti nell’anno precedente, «sono state
segnalate 3.444 nuove diagnosi d’infezione da Hiv (questo numero potrebbe
aumentare a causa del ritardo di notifica) pari a un’incidenza di 5,7 nuovi
casi di infezione da Hiv ogni 100 mila residenti. Tra le nazioni dell’Unione
Europea l’Italia si colloca al 13esimo posto in termini d’incidenza delle nuove
diagnosi Hiv». I soggetti sieropositivi che hanno scoperto di essere contagiati
«erano maschi nel 77,4% dei casi. L’età media di 39 anni per i maschi e di 36
anni per le femmine. La fascia d’età che vede il più alto numero di persone
colpite è quella compresa fra i 25-29 anni (15,4 nuovi casi ogni 100 mila
residenti)».
La
maggioranza delle nuove diagnosi d’infezione da Hiv va attribuita a rapporti
sessuali non protetti, che costituiscono l’85,5% di tutte le segnalazioni
(eterosessuali 44,9%; Msm - men who have sex with men - 40,6%). I grandi
mutamenti sociali, l’incremento dell’ondata migratoria verso il nostro Paese,
con particolare riferimento all’Africa, hanno aumentato i casi di contagio. Il
rapporto dell’Iss evidenzia, infatti, che il 28,8% delle persone Hiv positive è
di nazionalità straniera.
«GLI
IMMIGRATI? SPESSO SI AMMALANO IN EUROPA». Ma al di là dell’aspetto statistico, Casari riconduce
la pericolosità sanitaria causata dall’immigrazione all’interno di un recinto
più corretto, teso a evitare ogni sorta di caccia all’untore di manzoniana
memoria: «Gli immigrati con infezione da Hiv», dichiara, «non sono certo la
maggior parte dei pazienti infetti. Nel Centro di Brescia la loro proporzione è
di circa il 15-20% ed è in riduzione. Inoltre, in molti casi, gli immigrati
contraggono l’infezione una volta giunti in Europa, a causa delle condizioni di
degrado in cui vivono».
PROGRESSI
DELLA MEDICINA ANCORA INSUFFICIENTI. «Dall’inizio dell’epidemia (1982) a oggi», prosegue
lo studio, «sono stati segnalati oltre 68 mila casi di pazienti affetti da Aids
di cui più di 43 mila sono deceduti». Nel 2015 sono stati diagnosticati 789
nuovi casi di Aids pari a un’incidenza di 1,4 nuovi casi per 100 mila
residenti. Si tratta di una lieve (ma costante) diminuzione rispetto agli
ultimi tre anni non sufficiente, però, a far dimenticare che senza le dovute
precauzioni il virus può colpire ognuno di noi. Una fotografia tutto sommato
positiva, se paragonata al passato, dove emergono i progressi fatti dalla
medicina, al momento, però, ancora insufficienti per debellare definitivamente
la malattia.
Ogni anno un
numero pressoché costante di persone s’infetta e di queste, circa la metà, non
ne sarà consapevole per anni
Salvatore Casari, Spedali Civili di
Brescia
«La messa a
punto di terapie molto potenti, che consentono alla persona infetta di star
bene per molti anni», dice Casari, «ha portato a far credere che il problema
fosse risolto. Non si vedono più immagini di persone sofferenti, devastate nel
fisico e nelle capacità cognitive. Superficialmente, quindi, si ritiene che
l’infezione non ci sia più o, al massimo, perfettamente sotto controllo». In
realtà, spiega, «ogni anno un numero pressoché costante di persone s’infetta e
di queste, circa la metà, non ne sarà consapevole per anni».
GLI EFFETTI
DELLA MANCATA INFORMAZIONE. Nel Centro di Malattie Infettive di Brescia «ogni anno
arrivano 100-150 nuovi pazienti, molti dei quali in uno stadio avanzato di
malattia. Ciò significa che da alcuni anni avevano contratto il virus e
inconsapevolmente hanno infettato altre persone». Questo, dice Casari, «è il
risultato della mancata informazione: non solo ci si contagia ancora ma, non
curandosi, da un lato i soggetti colpiti stanno male e dall’altro restano
contagiosi. Infatti, la terapia dell’infezione rende il paziente non più
contagioso e contribuisce a ridurre la circolazione del virus».
Infine, una parentesi va
dedicata ai costi e agli investimenti sostenuti dal nostro Paese per
contrastare e prevenire il contagio da Hiv. Le persone in terapia in Italia
sfondano il tetto delle 60 mila. L’UnAids ha testimoniato, ratificando le nuove
linee guida, l’urgenza di cominciare la terapia con farmaci antiretrovirali
all’inizio dell’infezione. Un nuovo approccio, rispetto al passato, che
comporterà un costo annuo per persona mediamente quantificato in 10 mila euro.LA PREP? SETTECENTO EURO PER 30 COMPRESSE. A tal proposito, Casari spiega che «la prevenzione è frutto di una scelta politica e richiede specifici investimenti. Un aspetto molto attuale di prevenzione è la PrEP (profilassi pre-esposizione), cioè l’assunzione di un farmaco attivo su Hiv (e impiegato anche in terapia) prima del rapporto sessuale. Vari studi ne hanno dimostrato l’efficacia nell’evitare la trasmissione». In Italia «il farmaco è da alcuni mesi disponibile a pagamento (il costo si aggira intorno ai 700 euro per una confezione da 30 compresse, ndr)».
IN AFRICA TERAPIE DA 100 MILA DOLLARI ALL'ANNO. Anche il nostro Paese farà la sua parte incrementando il contributo al Fondo Globale del 30% rispetto allo scorso triennio. Un investimento importante da 13 milioni di euro, compreso nel “pacchetto” della Commissione europea portato a 475 milioni per il triennio 2017-2019. L’Oms ha da poco diffuso un ambizioso piano strategico con l’obiettivo di porre fine all’epidemia nel 2030. Un risultato che potrà essere centrato solo considerando gli squilibri dei costi riguardanti il trattamento, considerando che mediamente la terapia per una persona malata negli Stati Uniti costa circa 20 mila dollari all’anno, mentre in Africa, per esempio, ammonta a cinque volte tanto.
Carlo
Cattaneo – Lettera 43