mercoledì 25 novembre 2015

GIUSTIZIA ALL’ITALIANA: RESTITUITO IL BOTTINO AI CRIMINALI ZINGARI



Hanno rubato, perciò restituiamo loro il maltolto. Con tanto di risarcimento. Del resto, poveri sinti di Asti, vorrete mica lasciarli senza la refurtiva? Con tutto quello che hanno faticato per accumularla?
Ma sì, dai: hanno messo su un’associazione per delinquere, che è roba seria. Poi hanno girato il nord Italia, da Genova all’Appennino tosco-emiliano, passando per mezza pianura padana, con una serie di colpi sfiancanti: furti in appartamenti, negozi svaligiati, case violate, anziani raggirati, razzie di gioielli, auto sportive, camper di lusso, forme di Parmigiano Reggiano e tanti soldi accumulati. Ma proprio tanti: un milione di euro. E allora: vi pare giusto privare i sinti di cotanto bendiddio indebitamente sottratto ai legittimi proprietari?

Non sia mai detto. E infatti per fortuna ci pensa lo Stato italiano. Ci abbiamo messo nove anni, ma grazie alla preziosa collaborazione della giustizia lumaca, ci siamo riusciti: abbiamo restituito alla banda di nomadi, condannati per associazione a delinquere, tutto quello che aveva accumulato: gioielli, auto, caravan, soldi e forse anche il Parmigiano Reggiano. Hanno riavuto tutto, fino all’ultimo centesimo, più qualche sommetta aggiuntiva per il doveroso risarcimento. Per i sinti è una specie di vincita al Superenalotto, per i contribuenti una doppia beffa.
Per la quale, ancora una volta, possono ringraziare la giustizia italiana. E la sua epica lentezza.
Questa storia, infatti, comincia nel 2006. Quando i carabinieri, dopo mesi di pedinamenti, arrestano una banda di sinti astigiani, dediti per l’appunto a razzie fra Piemonte e Liguria, con sconfinamenti in Emilia e Toscana. Il giudice dispone anche il “sequestro preventivo” dei beni che si considerano “provento dell attività criminale” e nel frattempo rinvia a giudizio i presunti ladri che vengono accusati di associazione per delinquere, furto e ricettazione. Che cosa succede però alla prima udienza preliminare? Grazie alla furbizia di un pool di avvocati specialisti nella difesa dei sinti, come ha raccontato Massimo Coppero sulla “Stampa”, il processo viene spezzettato in mille rivoli, a seconda dei reati: quello per associazione per delinquere va al tribunale di Asti, quelli per furto vengono mandati in tanti uffici giudiziari diversi, quello per ricettazione torna indietro al pm per questioni procedurali. Non vi pare un’idea geniale? Il processo sbrisolone. Pan grattato di legalità.
E qui viene il bello: il processo per associazione a delinquere, infatti, nel 2010 arriva alla sentenza di primo grado, con condanne fino a cinque anni di reclusione per ogni imputato. Dunque il giudice stabilisce che quelli avevano costituito una banda organizzata per rubare. Ma i processi per furti, divisi nei tribunali di dieci diverse città, non sono mai andati avanti. E, peggio ancora, non è mai andato avanti il processo per ricettazione: il fascicolo è stato un po’ a dormire sui tavoli della Procura, poi su quello del giudice onorario che è stato travolto dalle eccezioni procedurali. Risultato: il reato di ricettazione, nei giorni scorsi, è andato prescritto. E siccome il sequestro preventivo dei beni, ordinato nel 2006 dal giudice, era legato solo a questo reato, ecco combinato il pasticcio finale: il sequestro decade. Lo Stato deve restituire un milione ai sinti che pure ritiene colpevoli di associazione a delinquere. Condannati e rimborsati, per l’appunto.
Fateci caso: in questa storia di provincia c’è una piccola sintesi dei nostri guai.
Uno spaccato in miniatura dei mali che affliggono l’Italia. Ci sono i sinti che fanno razzie più o meno indisturbati, i carabinieri che si dannano l’anima per prenderli e poi scoprono che è inutile, i poveri vecchietti raggirati da chi poi tiene tesori in banca e auto sportive in garage, la giustizia che difende sempre i secondi più dei primi, gli avvocati troppo furbi che imperversano, i magistrati che si trastullano, i faldoni che si perdono, i processi che s’insabbiano, i cavilli che si inseguono e i paradossi che trionfano.
Quando il giudice ha dissequestrato la refurtiva, per dire, ha dovuto pure saldare il conto del deposito dove sono stati custoditi per nove anni i macchinoni e i caravan di lusso dei delinquenti. E chi paga? I contribuenti, ovviamente. Proprio così, cari lettori: avete pagato nove anni di deposito per i caravan di lusso di un’associazione di ladri. E non vi lamentate troppo perché, se per caso gli avvocati furbi ricorrono e il processo riprende, c’è il rischio che vi tocchi pure di peggio. Magari vi tocca pagare loro un vitalizio mensile. Con annessa medaglia al valor civile, sezione speciale delinquenti associati. (Mario Giordano)