martedì 3 novembre 2015

8 PER MILLE ALLA CHIESA: SOLO UN QUARTO VA IN BENEFICENZA, ASSOLUTA MANCANZA DI TRASPARENZA



La Chiesa italiana ha destinato meno di un quarto dei fondi raccolti con l'otto per mille, neanche 250 milioni di euro, a opere di assistenza.
Questo numero si rileva dall'ultima delibera della Corte dei conti sulla gestione della principale forma di finanziamento alle confessioni religiose italiane.
Uscita proprio nel giorno dell'ultimo caso di 'corvi' in Vaticano, con l'arresto di Francesca Immacolata Chaouqui e monsignor Lucio Angel Vallejo Balda.
BILANCIO NEGATIVO. E il bilancio è a dir poco negativo: troppi soldi, nessun controllo sull'uso dei fonti, totale assenza di trasparenza.
Dopo la querelle sull'Imu non pagata dagli istituti religiosi e i soldi alle scuole paritetiche, si rischia di aprire un nuovo fronte.
Perché i giudici contabili così finiscono per fare loro tutte le critiche espresse da tutte le confessioni minori.
Arrivando alla conclusione che con il sistema dell'otto per mille «si finisce per finanziare la Chiesa cattolica».
Quel miliardo finito Oltretevere: nemmeno un quarto per la beneficenza
Scrive la Corte dei conti nella sua relazione: «L’importo versato alla Cei nel 2014 è stato di 1 miliardo 54 milioni 310 mila e 702,18 euro.
Di questi, 388 milioni 251 mila 190 sono stati utilizzati per il sostentamento del clero, 433 milioni 321 mila 320,67 per le esigenze di culto e 245 milioni per «gli interventi caritativi».
Nemmeno un quarto di quanto devoluto dai contribuenti italiani, in modo consapevole e non, finisce a opere di beneficenza.
NIENTE POLITICA INFORMATIVA. I magistrati contabili sanno bene che lo Stato non può in alcuna maniera sindacare sulla finalità dei conti.
Ma implicitamente fa presente che, da un lato, lo status quo è garantito dall'assenza di un'adeguata politica informativa, e che, dall'altro, non si rispettano i diritti delle altre confessioni.
Il pluralismo religioso? Un'utopia
In forma molto burocratese, la Corte dei conti denuncia il rischio di vedere «l'affermazione di un pluralismo confessionale imperfetto».
Tradotto, lo strapotere della Chiesa cattolica sta limitando i diritti delle altre confessioni religiose, soprattutto quelle non firmatarie delle intese.
Secondo i magistrati i patti tra lo Stato e il Vaticano non rispecchiano l'attuale panorama religioso del Paese.
«In assenza di una legge sulla libertà religiosa, idonea a garantire, per tutte le confessioni, contributi economici, si assiste al ricorso all’intesa per ottenere il vantaggio dell’accesso ai fondi dell’otto per mille e ad alcune agevolazioni, in campo fiscale, finanziario e organizzativo».
CHIESA AVVANTAGGIATA. La Chiesa quindi può avvantaggiarsi di fondi e leggi ad hoc con il risultato di prevaricare i diritti di quelle comunità «che, nel corso degli anni, sono divenute numericamente consistenti: cosa che finisce per negare a numerose collettività religiose di partecipare al finanziamento pubblico».
CAMPAGNE AGGRESSIVE. Sotto questo versante è emblematico l'uso spregiudicato e aggressivo di campagne pubblicitarie «da parte delle confessioni religiose per ottenere una quota sempre più rilevante della contribuzione pubblica», che «rischia di creare la necessità di convogliare ingenti risorse a fini promozionali a discapito del loro utilizzo per le finalità proprie».
Come avviene con i partiti, chi ha i soldi, ha pure gli strumenti per accaparrarsi più risorse e più consensi.
Altro che spending review: in 35 anni passati da 290 milioni a 1 miliardo
In 35 anni il totale dell'otto per mille è passato da 290 milioni di euro a più di 1 miliardo.
E in una fase storica del Paese dove il concetto di spending review è diventato un mantra, lo Stato non ha avuto il coraggio di tagliare un centesimo.
Nonostante le non poche ripercussioni per l'Erario e le intese tra le parti prevedessero il contrario.
RAFFORZAMENTO ECONOMICO. Al riguardo la Corte accusa lo Stato «di non aver provveduto ad attivare le procedure di revisione di un sistema» che pure erano previste e che hanno «contribuito a un rafforzamento economico senza precedenti della Chiesa italiana».
In quest'ottica la magistratura contabile si attende «in sede della prossima verifica triennale, una revisione dell’aliquota del cosiddetto otto per mille».
REVISIONE NECESSARIA. Forte anche del fatto che «già nella relazione della Commissione paritetica Italia-Cei del 9 febbraio 1996 si legge che non si può disconoscere che la quota dell’otto per mille si sta avvicinando a valori, superati i quali, potrebbe rendersi opportuna una proposta di revisione».
Trasparenza zero: come è stato speso il denaro?
Nonostante elargizioni così ampie e cospicue «non c'è stata trasparenza sulle erogazioni da parte delle amministrazioni statali, benché i contribuenti siano direttamente coinvolti nelle scelte».
Mancano informazioni sul quantum, ma soprattutto non ci sono indicazioni su come il denaro è stato speso.
FALLE SUL SITO DEL GOVERNO. Non sorprende allora che «sul sito web della presidenza del Consiglio dei ministri, nella sezione dedicata, non sono state riportate le attribuzioni annuali alle varie confessioni né la destinazione che queste, nella loro discrezionalità, danno ai contributi ricevuti».
IL TESORO NON STA VIGILANDO. Nel mirino anche il ministero dell'Economia, quello che dovrebbe vigilare sui fondi e sulla loro erogazione.
Via XX settembre «per motivi tecnici, invece, non ritiene di dover riaggregare in unico dato le contribuzioni alla Chiesa cattolica, divise tra anticipo e conguaglio».
Di conseguenza la mancanza di trasparenza «rende impossibili scelte consapevoli e ragionate».
I controlli, questi sconosciuti: non esistono verifiche
Poco trasparente a monte il sistema che gestisce la spartizione del denaro, soprattutto nella parte dell'inoptato.
Ancora meno trasparente a valle il sistema che dovrebbe controllare l'utilizzo del miliardo e più girato dall'Erario alle confessioni religiose.
La Corte dei conti lamenta che «non esistono verifiche di natura amministrativa sull’utilizzo dei fondi erogati alle confessioni, nonostante i dubbi sollevati dalla Parte governativa della Commissione paritetica Italia-Cei su alcune poste e sulla ancora non soddisfacente quantità di risorse destinate agli interventi caritativi».
DUBBI SULLA RENDICONTAZIONE. Dubbi poi sul ruolo del ministero delle Finanze e sulle sue azioni di rendicontazione.
Il quale ammette che «nel redigere la relazione, rispetto agli anni precedenti, ci si è maggiormente soffermati sull’esame delle singole forme di utilizzazione dei fondi dell’otto per mille, tenendo presente che, per quanto riguarda la Chiesa cattolica, tutti i modi e le iniziative di utilizzazione dei fondi stessi devono essere riconducibili ai tre settori di intervento specificamente individuati dalla legge, ossia sostentamento del clero, esigenze di culto della popolazione, interventi caritativi in Italia e nei paesi del Terzo mondo».
Ma, accusa la Corte, «dall’analisi della relazione tale maggiore approfondimento non risulta».
Contributo obbligatorio: evolvi alla Chiesa anche se non vuoi
La Corte poi stigmatizza il fatto che, con il meccanismo di ripartizione, «il contributo è obbligatorio per tutti, a prescindere dall’intenzione manifestata».
Anche chi non vorrebbe sostenere una confessione religiosa, finisce per farlo.
Senza contare che «il riparto anche delle scelte non espresse avvantaggia, soprattutto, i maggiori beneficiari».
Cioè la Chiesa cattolica.
NON CÈ PROPORZIONALITÀ. Risultato? Non vengono rispettati «i principi di proporzionalità, di volontarietà e di uguaglianza».
In qust'ottica non aiuta «la scorsa informazione posta in essere dalle amministrazioni su tale peculiare modalità di attribuzione».
Lo Stato non chiarisce a sufficienza che «anche non scegliendo di destinare l'otto per mille si finisce per finanziare la Chiesa cattolica».
Allo Stato solo le briciole: cifra irrisoria di 400 mila euro
In teoria chi non vuole finanziare le comunità religiose, può invece aiutare lo Stato.
In pratica, fa sapere la Corte, «per gli anni 2011 e 2012, la quota è stata completamente azzerata; per il 2013, si è ridotta, da 170 milioni, alla cifra irrisoria di 400 mila euro».
Palazzo Chigi promette che le cose ben presto cambieranno.
«Sebbene i beneficiari aventi natura giuridica privata non siano assoggettati alla normativa sull’affidamento degli appalti pubblici», si legge la posizione del governo nella relazione della Corte dei conti, «tuttavia, ai fini dell’erogazione del contributo e in sede di monitoraggio dello stesso, è fatto obbligo (...) di produrre il certificato di collaudo o di regolare esecuzione, secondo le prescrizioni dettate dalle normative vigenti».
Ma questo varrà per il futuro. Per il passato e per il presente la 'condanna' dei giudici contabili al governo è senza appello.
DISINITERESSE STATALE. Per esempio viene stigmatizzata la tendenza che, «in violazione dei principi di buon andamento, efficienza ed efficacia della pubblica amministrazione, lo Stato mostra disinteresse per la quota di propria competenza, cosa che ha determinato, nel corso del tempo, la drastica riduzione dei contribuenti a suo favore, dando l’impressione che l’istituto sia finalizzato - più che a perseguire lo scopo dichiarato - a fare da apparente contrappeso al sistema di finanziamento diretto delle confessioni».
Al riguardo si nota l'assenza di campagne informative su questo versante, che pure non mancano in altri campi.