La domanda
che si pongono giuslavoristi, sindacalisti e amministratori pubblici è sempre
la stessa: il Jobs act creerà nuovi posti di lavoro, oppure avremmo soltanto
delle stabilizzazioni, la trasformazione di precari in assunti a tempo pieno?
Il governo chiaramente propende per la prima ipotesi. E fa di tutto per non
chiarire la questione. Infatti il 23 aprile, con un eccesso di enfasi, il
ministero del Lavoro ha fatto sapere che «a marzo le assunzioni a tempo
indeterminato sono state 162.498 con un aumento del 49,5 per cento rispetto
alle 108.647 di marzo 2014. Grazie alla decontribuzione (ma nel mese sono
anche entrate in vigore nel mese delle regole sul contratto a tutele crescenti)
le assunzioni “fisse” sono state il 25,3 per cento del totale delle attivazioni
a fronte del 17,5 per cento di un anno prima».
Filippo Taddei, uno dei padri del Jobs Act e responsabile economia del Partito democratico, ha subito twittato: «Da dati ministero Lavoro avanza il lavoro stabile nel privato tra marzo 2015 e 2014. Anche con il Jobs Act il paese si rimette in moto». Eppure né gli uffici di Giuliano Poletti né l’economista renziano risolvono l’arcano: nuovi posti o semplici stabilizzazioni.
Filippo Taddei, uno dei padri del Jobs Act e responsabile economia del Partito democratico, ha subito twittato: «Da dati ministero Lavoro avanza il lavoro stabile nel privato tra marzo 2015 e 2014. Anche con il Jobs Act il paese si rimette in moto». Eppure né gli uffici di Giuliano Poletti né l’economista renziano risolvono l’arcano: nuovi posti o semplici stabilizzazioni.
IL JOBS ACT
FAVORISCE L’USCITA DALLA PRECARIETA’. A ben guardare lo schema del pacchetto lavoro rende
più conveniente l’uscita dalla precarietà e dal sommerso. Infatti accanto ai
tre incentivi (il taglio dell’Irap sulla parte del lavoro, la mancata
contribuzione per 3 anni, il bonus se si pesca dalla graduatoria di Garanzia
giovani) si aggiunge anche un condono previdenziale, a favore dei datori che in
questi ultimi anni hanno tenuto in nero in lavoratore e che non hanno mai
pagato i contributi dovuti (quelli della gestione ordinaria).
Mentre per quanto riguarda la creazione di nuovi posti vale – più di ogni monitoraggio – la dichiarazione del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi: «Il Jobs act è sicuramente positivo per le imprese ma non è che gli imprenditori apprezzano il Jobs act e si mettono immediatamente ad assumere». Facendo intendere che più degli incentivi e delle leggi può la domanda: e con l’attività molta bassa – nel primo trimestre il fatturato è aumento dello 0,4 per cento mentre il Pil, secondo il Centro studi di Confindustria, dello 0,2 – è difficile attendersi una svolta. Non aiutano a chiarire le cose neppure l’ultimo dato della disoccupazione disponibile (per l’appunto quello di marzo), quando si sono registrati 67mila disoccupati in più rispetto al febbraio 2014.
SONO CRESCIUTI GLI ISCRITTI ALLE AGENZIE DI LAVORO. Gli esperti hanno fatto notare che questo numero è “inficiato” dall’aumento della forza lavoro: in estrema sintesi gente che proprio sull’onda del Jobs Act si è iscritto alla liste degli ex collocamento o delle agenzie del lavoro, dopo anni “nascosti” nel sommerso. Quelli che invece finiscono per smentire l’ottimismo del governo sono le rilevazioni sulle altre forme contrattuali. Nella nota del ministero del Lavoro si legge: «Scendono invece sia le attivazioni a tempo determinato (da 395.000 a 381.234), i contratti di apprendistato (da 21.037 a 16.844) e le collaborazioni (da 48.491 a 36.460)». Siccome il contratto a tutele crescenti – quello che può vantare anche l’assenza dell’articolo 18 e una periodo di prova di fatto lungo tre anni – costa in media circa diecimila in meno tra oneri fiscali e contributi in meno di questi contratti, viene da chiedersi se i datori di lavoro siano diventati masochisti. Forse, più semplicemente, non si fidano degli annunci della ripresa e continuano a non legare mani e piedi i loro destini a quelli dei lavoratori.
Mentre per quanto riguarda la creazione di nuovi posti vale – più di ogni monitoraggio – la dichiarazione del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi: «Il Jobs act è sicuramente positivo per le imprese ma non è che gli imprenditori apprezzano il Jobs act e si mettono immediatamente ad assumere». Facendo intendere che più degli incentivi e delle leggi può la domanda: e con l’attività molta bassa – nel primo trimestre il fatturato è aumento dello 0,4 per cento mentre il Pil, secondo il Centro studi di Confindustria, dello 0,2 – è difficile attendersi una svolta. Non aiutano a chiarire le cose neppure l’ultimo dato della disoccupazione disponibile (per l’appunto quello di marzo), quando si sono registrati 67mila disoccupati in più rispetto al febbraio 2014.
SONO CRESCIUTI GLI ISCRITTI ALLE AGENZIE DI LAVORO. Gli esperti hanno fatto notare che questo numero è “inficiato” dall’aumento della forza lavoro: in estrema sintesi gente che proprio sull’onda del Jobs Act si è iscritto alla liste degli ex collocamento o delle agenzie del lavoro, dopo anni “nascosti” nel sommerso. Quelli che invece finiscono per smentire l’ottimismo del governo sono le rilevazioni sulle altre forme contrattuali. Nella nota del ministero del Lavoro si legge: «Scendono invece sia le attivazioni a tempo determinato (da 395.000 a 381.234), i contratti di apprendistato (da 21.037 a 16.844) e le collaborazioni (da 48.491 a 36.460)». Siccome il contratto a tutele crescenti – quello che può vantare anche l’assenza dell’articolo 18 e una periodo di prova di fatto lungo tre anni – costa in media circa diecimila in meno tra oneri fiscali e contributi in meno di questi contratti, viene da chiedersi se i datori di lavoro siano diventati masochisti. Forse, più semplicemente, non si fidano degli annunci della ripresa e continuano a non legare mani e piedi i loro destini a quelli dei lavoratori.
SOLO UN
CONTRATTO SU TRE E’ FRUTTO DI NUOVA OCCUPAZIONE. In quest’ottica utile un’analisi
presentata qualche settimana fa da Unimpresa, secondo la quale soltanto un
contratto su tre con le nuove regole del Jobs Act sarebbe servito per creare
nuova occupazione. Il suo presidente, Paolo Longobardi, spiegò: «Dobbiamo
confidare nelle nuove regole che tuttavia non bastano a creare nuova
occupazione. Secondo il Centro studi dell’associazione, l’incremento dei
contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato previsti dalle nuove
norme sulle tutele crescenti sarà legato in parte alla stabilizzazione degli
attuali precari (tempo determinato, contratti a progetto, partite Iva), in
parte all’emersione di occupazione irregolare o cosiddetta “in nero”, in parte
a nuove assunzioni di disoccupati in senso stretto derivanti da incremento di
produzione e prospettive di crescita delle aziende italiane». Per profetizzare:
«Circa il 66 per cento delle assunzioni legate Jobs Act non potrà pertanto
essere considerata nuova occupazione». (source)