venerdì 16 marzo 2012

SABATO STELLE


Quando si parla di cantautori, o di canzone d’autore in genere, ci si riferisce a quella particolare canzone per la quale lo stesso esecutore scriveva sia il testo che la musica. Si tratta, ovviamente, di un grosso valore aggiunto: un cantante che fosse in grado di scriversi le canzoni autonomamente, componendo non solo le note sul pentagramma, ma scrivendo anche testi che, bene o male, dovevano suonare come poetici, non era cosa frequente. Il periodo dei cantautori italiani abbraccia circa un ventennio: gli anni settanta e ottanta, con qualche precursore, come Domenico Modugno, considerato a ragione il padre di tutti i cantautori, ed una penosa coda negli anni novanta e nel nuovo secolo, costituita per lo più da stanchi imitatori di maniera o dagli stessi autori dei due decenni precedenti che, invece di ritirarsi in buon ordine come ha fatto Francesco Guccini, continuano a cantare sempre la stessa canzone, avendo da tempo esaurito la vena artistica. In vent’anni si sono succeduti parecchi nomi, sarebbe difficile elencarli tutti, i più noti li conosciamo tutti: da Francesco Guccini stesso, a Francesco De Gregori, da Antonello Venditti a Fabrizio De Andrè, Eugenio Finardi, Ivan Graziani, Alberto Fortis ecc. Tutti hanno conosciuto un momento d’oro, durato in media tre album, un periodo che poteva racchiudere un quinquennio circa, nel quale hanno saputo esprimere il meglio del loro talento, la loro massima vena felice. Per tutti loro esiste un disco che ha costituito un vertice mai più toccato, un apogeo. Per Guccini l’album “Radici”, per Fortis l’album “Tra demonio e santità”, per Graziani “Agnese dolce Agnese, per DeGregori “Bufalo Bill”e via discorrendo. Ma c’è fra loro un autore da me particolarmente amato, almeno quanto lo detesto oggi, un autore che ha saputo esprime in musica sentimenti profondi e qualche volta persino nobili, che ha saputo trasfondere la propria vena letteraria adattandola perfettamente alla canzone cosiddetta “leggera”. Si tratta di Roberto Vecchioni. Ha cominciato giovanissimo, non erano ancora il 1970, cantilenando in modo stucchevole (i primi dischi non sono capolavori), migliorando però di album in album. Si arriva così al 1973, anno in cui esce il suo primo vero disco di qualità: “Il re non si diverte”. Ne seguiranno altri di grande successo, fino al suo capolavoro assoluto “Calabuig, stranamore e altri incidenti”. Ma tornando al primo disco che lo mise per la prima volta sotto i riflettori, “il re non si diverte”, mi piace ricordarlo perché contiene una canzone che resta una delle migliori in assoluto non solo del suo repertorio ma di quello dei cantautori tout court, una canzone addirittura profetica: “Sabato stelle”. A prescindere dal bellissimo titolo, la canzone, una melodia tristissima, contiene un testo che per la primissima volta affronta il problema della malattia mentale, del disagio psichico e dei manicomi. E lo fa da maestro, sposando poesia a causa civile. Ricordiamo che siamo nel 1973 e che la legge “Basaglia”, la famosa 180, quella concernente la chiusura dei manicomi è solo del 1978, cinque anni dopo. Si direbbe quasi che lo stesso Basaglia avesse ascoltato questa bellissima canzone. Altro che Simone Cristicchi che ripropone un melenso remake della canzone di Vecchioni. Uno dei pregi più evidenti di questo testo è l’assoluta mancanza di retorica: il sentimentalismo, sempre in agguato, è prosciugato dallo stile. Ho amato molto Vecchioni, come dicevo, e mi dispiace vederlo adesso, ormai anziano, cantare canzonette senza capo né coda, con musichette facili facili, e testi pieni di melassa. Dispiace, avrebbe, nonostante il successo, fatto meglio a ritirarsi come Guccini.  Riporto di seguito il testo e propongo il link al video di “youtube” reperibile qui.  Ecco il testo:
 
Il tempo di essere un equilibrista
per entrare e aprire una finestra
e mentre ho quattro piani sotto i piedi
tu dal tuo letto salti su e mi chiedi:
'Che cosa fai sul filo?'
'Io? Mi alleno,e invece a te ne danno di veleno'
'dai vieni dentro che vorrei toccarti
le senti, le ricordi le mie mani?
Domenica son libera di uscire
domenica, domenica è domani...'
'Domani faccio solo figli giusti
domani vado nelle due Sicilie'
'Ma dove vai ma dove vai senza di me?
Oh, certo, hai cose che non so e che non ti chiedo,
cosi sei tu: perdonerai, ti illuderai, ci morirai,
non ricorderai perchè, e brucerai tutte le stelle
non del sabato, soltanto dentro te
sarò felice sai,
pero tu mi hai amato
tu mi hai amato e non mi aspetterai
mancava cosi poco sai ,ero quasi guarita
eppure tu mi hai amato
tu mi hai amato e non mi aspetterai'
'Che vuoi? Qui dentro sei cosi tranquilla,
felice no ma in fondo chi è felice?
e poi ti trovo come sempre bella
io devo stare al passo con i tempi
succede a tutti, noi non siamo i primi
cosi; va il mondo e non si può cambiare
vedessi come è dura star la fuori'
tu no ma io ci devo ritornare.
'Ma dove vai?
Ma dove vai senza di me?'
'Che cosa credi sai la gioia
andare via lasciarti qui?'
'Ma cosa dici, come vivi,
cosa inventi, non ti riconosco più
'Sta zitta smettila di urlare che non serve
cosa vuoi capirne tu
io vivo a modo mio, io,io ti ho amato
io ti ho amato; non t'aspetterò
mancava poco, è; vero che eri guarita
eppure io io ti ho amato,io ti ho amato
e non t'aspetterò  
(R. Vecchioni)