lunedì 26 marzo 2012

GIU' NEL PALEOZOICO


Può dispiacere il governo Monti: taluni suoi esponenti fanno a gara a collezionare svarioni e castronerie. Il Ministro Profumo che vuole indire concorsi (non sapendo che per organizzare un concorso occorre almeno un anno di tempo, giusto quello che ci divide dalle urne)o mettere ordine nel’edilizia scolastica (non basterebbe una finanziaria), il Ministro degli esteri Terzi che dichiara che per liberare uno dei due ostaggi catturati dai maoisti indiani non è stato versato un centesimo di riscatto (rivelando una insospettabile faccia tosta), o il ministro Fornero, che con la sua perenne aria saccente e sprezzante ha seccato un po’ tutti. Può dispiacere, non lo neghiamo: i sacrifici sono chiamati a farli sempre gli stessi, lo rivelano le buste paga di questo disgraziato mese, lo rivela la mancata applicazione di una sacrosanta patrimoniale, la mancata abolizione di assurdi diritti acquisiti, come quelli delle baby pensioni o delle pensioni sopra i 200.000 euro. Lo rivelano le troppe debolezze dimostrate dinanzi alle cricche dei tassinari e dei farmacisti, soprattutto una manovra fiscale fatta solo di inasprimenti delle imposizioni, dirette e indirette (le accise della benzina!), insomma i calci provengono da direzioni sempre diverse, ma i fondoschiena che li accolgono sono sempre gli stessi. Le operazioni di facciata di Cortina, Portofino, Sanremo, ecc. non persuadono nessuno: l’evasione fiscale è un delitto di là da essere colpito. Bene, considerato tutto questo, la riforma del lavoro va fatta, sono tutti d’accordo, ma la CGIL dice no, l’articolo 18 non si tocca. Quella del governo Monti è una riforma migliorabile, non c’è dubbio, ma alla quale non si possono opporre veti: la si fa o non la si fa del tutto. Non è più il tempo dei compromessi. Bisogna agire, e agire presto. Se non portiamo a casa in tempi ristretti una riforma che si adegui al mercato globalizzato, non solo rischiamo di perdere l’ultima occasione utile di ammodernare il mondo del lavoro, ma ci ritroveremo presto a fare i conti con uno  spread a 550 punti , ad essere nuovamente il bersaglio della speculazione internazionale (pensate solo ai fondi hedge!), insomma, andremo presto a fare compagnia al Portogallo. Monti non ha riportato solo credibilità ad un paese uscito a pezzi dalla macelleria berlusconiana, ha introdotto le misure di austerity (per quanto in gran parte non corrette) che chiedevano i mercati per riacquisire fiducia nella nostra solvibilità, ed ora, con la riforma del lavoro, deve completare l’opera liberando l’ossatura industriale italiana dalla gabbia del conservatorismo della CGIL. L’articolo 18, nella sostanza, è poca cosa: nella realtà sarebbe limitatamente applicato, senza contare che è la flessibilità in entrata quella che conta. E’ immensamente più importante far entrare un giovane disoccupato nel mondo del lavoro, piuttosto che perdere qualche cinquantenne che, se uscito, deve essere adeguatamente aiutato, non con una tantum, ma con un vero ammortizzatore sociale, una cassa integrazione che lo possa accompagnare alla pensione. Si tratta di una riforma dolorosa, lo sappiamo tutti, ma se non ci adeguiamo ai mercati internazionali, il nostro destino è quello di soccombere: non è poi una grande soddisfazione l’aver mantenuto intatto l’articolo 18 ed aver perso il 50% dell’industria, delocalizzata altrove. Se non si comprende una realtà così tragicamente semplice si è destinati al default, all’uscita dalla scena internazionale. La riforma deve essere approvata, nelle sue grandi linee, si potrà, poi, nel tempo, apportare quei correttivi che si dovessero rendere necessari. Siamo in una fase delicatissima. Abbiamo un piede in sicuro ed uno in fallo. Non siamo fuori dal cono d’ombra. Lo spread deve scendere al livelli francesi (100 punti base), dobbiamo riacquistare in competitività, pur mantenendo una moneta troppo forte rispetto al dollaro. Le esportazioni, con l’euro, non sono agevolate, ma proprio per questo dobbiamo moltiplicare gli sforzi per promuovere il made in Italy, e se la struttura della nostra industria non mostra  la flessibilità necessaria per entrare nell’agone dell’export, non riusciremo più a piazzare all’estero neppure una forma di parmigiano. Riformare il lavoro non significa ridurre i salari, già piegati ai minimi termini, ma rendere entrata e uscita più duttili, meno rigide ed ideologiche. Davvero la CGIL rischia di essere il Leviatano che divora il PD e ci riporta indietro di quarant’anni. I reazionari, ironia della sorte, sono proprio loro. Non che quelli della Confindustria siano dei cherubini, ma tutti debbono fare uno sforzo e cedere qualcosa, gli scioperi generali non servono. Se il paese riesce a compiere questo ulteriore, indispensabile passo, potremo considerarci quasi al sicuro dalle turbolenze prossime venture dei mercati e delle borse, e saremo in grado di galleggiare sulla crisi senza affogarvi. Se il compito di Monti si dovesse fermare a questo punto, lasciando incompiuta l’opera, possiamo chiudere bottega. Da Seul Monti lo ha detto chiaramente, non intende tirare a campare , il suo governo è stato chiamato a fare cose sgradevoli che i politici non potevano o non volevano fare: se in quest’anno che ci divide dalle elezioni, il prof. Monti riuscirà a portare a termine il suo programma, con tutte le distorsioni e le iniquità possibili, ci potremmo considerare al sicuro. Se interrompiamo (e rischiamo di farlo grazie ai reazionari della CGIL) il suo lavoro a questo punto, i mercati ci somministreranno una tale solenne bastonatura dalla quale non ci riprenderemo più, imboccando lo stesso percorso di Grecia e Portogallo. Può sembrare un discorso semplicistico, ma non lo è. Non è semplicistico, è semplice: prendere o lasciare. Monti non può licenziare una riforma fatta a metà, c’è solo spazio per qualche ritocco. Ci pensino bene i politici, è l’unica occasione che abbiamo per uscire dalle sabbie mobili del tiro al bersaglio da parte di mercati e speculatori. Non ci saranno altri Monti e altri governi tecnici, la parola tornerà a quella sciagurata classe politica che ci ritroviamo. Cerchiamo di sfruttare questa occasione, dunque, i dinosauri si sono estinti una volta, facciamo in modo che scompaiano di nuovo. La storia ci offre un’occasione su di un piatto d’argento: non ce ne sarà una seconda.