domenica 4 marzo 2012

CON IL CANONE PAGHIAMO ANCHE PIERLUIGI DIACO


Mi occupo di un personaggio minore, una perfetta nullità si potrebbe dire, solo per sottolineare, una volta di più, fino a che punto abbiamo buttato i soldi del canone RAI. Pierluigi Diaco incarna perfettamente l’archetipo dell’uomo medio in servizio alla RAI. Parla in continuazione, con una petulanza ed una foga degne di miglior causa, sgomita in ogni trasmissione per apparire, per fare udire la propria sgradevole voce, per illustrare, con lunghi giri di parole, il vuoto pneumatico delle sue idee. Diaco è lo stereotipo del conduttore RAI: non ha nulla da dire, ma questo nulla lo strilla con veemenza. Scrive (scrive?) per “il Foglio”, la sua non poteva che essere una estrazione berlusconiana, non ha nulla di speciale, la sua mediocrità è palese, ha un narcisismo tutto particolare: pur di apparire, di dire qualcosa, di essere inquadrato, sarebbe disposto a chissà quale tipo di compromesso. Gioca con la propria omosessualità: prima la ammette, poi, sostiene di essere bisessuale, poi smentisce anche quest’ultima versione, ribadendo la propria eterosessualità. Invero, la sua molesta petulanza, ricorda molto da vicino quella di Cristiano Malgioglio, che però, a differenza di Diaco, qualche volta dice cose anche intelligenti. Cerca sempre di apparire controcorrente, di esprimere la propria personale visione delle cose; te lo ritrovi in tutte le trasmissioni in veste di opinionista, che vuol dire tutto e niente. Ma, invece di trovare qualche idea originale, scivola regolarmente nella più trita delle banalità, nei più vieti luoghi comuni. Ma la frase fatta, il luogo comune strillato da Diaco sembra, ad una prima lettura, degna di attenzione. E invece, basta seguirlo due o tre volte, per capire che non dice niente di originale, che segue semplicemente la corrente, cercando di non pestare i piedi a nessuno, nel timore di perdere i privilegi che è riuscito ad accumulare. Se questi sono il futuro della RAI, sono i prossimi conduttori, intrattenitori e opinionisti, tanto varrebbe privatizzare finalmente una azienda che è solo un buco nero, un carrozzone che mantiene profumatamente una pletora di mezze calze nullafacenti, un apparato amministrativo costoso e iperburocratizzato. E’ evidente che Diaco ha il suo mentore, il suo pigmalione, ci domandiamo solo chi sia il boiardo di stato che sta dietro una simile nullità. In una televisione commerciale, dove la selezione è più naturale, Pierluigi Diaco sarebbe scomparso in quattro e quattr’otto, e nessuno, tra pochi mesi, si ricorderebbe più di lui. Come è possibile che la Rai riesca a rendere così odioso il balzello dei 112 euro che le versiamo ogni anno! Il confronto con “la 7” è perduto in partenza: con un terzo delle risorse che la RAI ha a sua disposizione, “la 7” ha creato un palinsesto di ottima fattura, nel pieno rispetto di ogni gusto: dall’intrattenimento puro, ad una filmografia non da fondo di magazzino come quella della RAI, con una programmazione culturale vera, costituita da programmi condotti da giornalisti di spessore e statura, altro che un Pierluigi Diaco, che dovrebbe essere un giornalista, ma per quello che esprime non dovrebbe scrivere neppure su di un giornaletto parrocchiale. Se davvero la RAI punta su questi individui non ha più nulla da dire, soprattutto non è neppure più distinguibile da Mediaset, tanto vale, come dicevamo, privatizzarla una volta per tutte. Quando accendo la TV e mi capita di assistere ad un qualsiasi dibattito cui partecipa Pierluidi Diaco, faccio la stessa cosa che farei quando vedo Vittorio Sgarbi, cambio subito canale. Ma Sgarbi è un guitto col dono della parola, Diaco non ha neppure questo dono, perche dalla sua bocca escono solo ovvietà, pronunciate però col tono di chi ha effettuato una grande scoperta, quella dell’acqua calda. Maledetta RAI, questo pozzo profondo che tutto ingurgita e trangugia, che amalgama tutto e tutti, restituendoci una marmellata indistinguibile fatta di Lorelle Cuccarini, di Bruni Vespa, di Milly Carlucci e di Pierluigi Diaco, tutti  pigiati in una specie di cartone pressato che può al massimo fare da quinta, da sfondo, da decorazione, ma non è in grado di produrre cultura, sebbene popolare, intrattenimento intelligente, format originali. Speriamo che anche nell’ambito della TV l’esperienza del governo Monti possa essere di una qualche utilità. A ciascuno dei manichini che fanno le loro comparsate sui canali RAI corrisponde un politico che li ha foraggiati, confidiamo che la piccola rivoluzione che l’esecutivo Monti  sta conducendo porti una ventata di liberazione anche in RAI, una liberazione dalla pesante cappa dei partiti e dei loro raccomandati, gente inutile, mediocre, pagata per discutere sul nulla. Quante volte abbiamo assistito a programmi incentrati sul caso Parolisi, Schettino, Sara Scazzi? Si ripetono le stesse stupidaggini cercando ogni volta di farle apparire come nuove o rinnovate, e invece ci propinano la solita minestra riscaldata, la solita sbobba con la solennità e l’autorevolezza di chi discetta sui massimi sistemi. Che triste spettacolo! Qualcuno può avvisare Pierluigi Diaco che non basta la smania di apparire, ma che bisogna anche dare sostanza alle parole che si dicono, e che, soprattutto, in talune circostanze, è preferibile un intelligente silenzio, ad uno sciocco argomentare.