venerdì 1 luglio 2011

LO STRANO CASO DI DOMINIQUE STRAUSS-KAHN

Sicuramente è un grande colpo di scena. E certamente se nelle prossime ore e nei prossimi giorni il tutto verrà confermato, l'Fmi ha perso il suo direttore per nulla.
Stando a quanto riferisce il New York Times, l'inchiesta che coinvolge l'ex direttore generale del Fondo monetario Internazionale, Dominique Strauss-Kahn starebbe crollando a causa dei dubbi sulla credibilità della cameriera. Citando due fonti molto vicine all'inchiesta, il quotidiano americano scrive che la cameriera del Sofitel ha mentito nella sua richiesta di asilo e ha contatti con persone coinvolte in traffico di droga e riciclaggio di denaro sporco.
Il New York Times, che cita funzionari di polizia ben informati, sostiene che sebbene le prove forensi abbiano mostrato che c'è stato un incontro sessuale tra l'uomo politico francese e la cameriera, l'accusatrice ha ripetutamente mentito. Gli inquirenti hanno anche scoperto una serie di questioni riguardanti la richiesta di asilo della cameriera 32enne, che è un'immigrata guineiana, e il suo possibile collegamento con attività criminali, tra cui droga e il riciclaggio di denaro.
All'indomani dell'accusa di stupro, la donna avrebbe infatti avuto una conversazione telefonica con un uomo arrestato per possesso di oltre 180 chili di marijuana, con cui avrebbe discusso dei possibili benefici derivanti dalle accuse lanciate contro l'economista francese. Lo stesso uomo, negli ultimi due anni, avrebbe effettuato diversi versamenti in contanti sul conto della cameriera, per un totale di 100mila dollari.
Questa volta, e me ne vergogno come un ladro, non posso dire: “lo sapevo”. L’ho pensato dal primo momento in cui questa brutta storia è stata raccontata dai media di tutto il mondo. Uno degli uomini più potenti del pianeta violenta una cameriera non più giovanissima, non proprio bellissima. C’era da restare perplessi. Non già per la mancata avvenenza della presunta vittima, ma per il semplice fatto che, prima di allora, Dominique Strauss-Kahn non aveva dato segni di chiaro squilibrio mentale. Un uomo con le sue potenzialità, chiamato a ricoprire una carica tra le più delicate e fondamentali del globo, per compiere una simile, ripugnante azione, deve essere colto da un attacco psicotico. Insomma, qualcosa non tornava. Eppure, per pura vigliaccheria, lo confesso, non me la sono sentita di pubblicare dalle pagine di questo blog un’arringa difensiva per Strauss-kahn. Perché? Perché qualche anima bella e benpensante mi avrebbe accusato di maschilismo a prescindere, di pregiudizio razziale, e altre amenità del genere. Per pura vigliaccheria, lo ripeto, ho evitato un argomento, che pure avrei volentieri trattato, al solo scopo di non essere bersagliato dal fuoco di fila delle critiche, quelle sì pregiudiziali. La vicenda di Strauss-Kahn ci insegna due cose: la prima è che non bisogna aver paura di manifestare le proprie idee, se non sono in conflitto con il comune buon senso, e con il rispetto dovuto a qualsiasi essere umano, di qualunque condizione, razza e orientamento sessuale.  La seconda, che il sistema giudiziario degli Stati Uniti è semplicemente rivoltante. Sono addolorato di trovarmi per una volta pienamente d’accordo con quello che  Vittorio Feltri ha scritto in questi ultimi giorni: non perché si trattasse di Strauss-Kahn, un violentatore è un violentatore, non importa il ceto sociale al quale appartiene, ma per l’assoluta, totale, imperdonabile assenza di garantismo da parte di quel sistema giudiziario, che non ha esitato, ancor prima di avere tra le mani uno straccio di riscontro, a sbattere il mostro in prima pagina, lo ha effigiato, con un gusto brutalmente sadico, con le manette ai polsi, lo ha impietosamente ritratto con l’aria disfatta di chi non ha ancora ben compreso cosa gli sta capitando. In questo caso, e questo è imperdonabile per un sistema giudiziario, ha giocato sfavorevolmente la fama di Strauss-Kahn che, in passato, è scivolato diverse volte in vicende boccaccesche (oddio, nulla a paragone del nostro premier) senza cadere però mai nella violenza carnale. Una giustizia che si muove sulla base del pregiudizio, che non attende i primi riscontri scientifici ed ambientali, che appura dopo 48 giorni che probabilmente la cameriera in questione non era uno stinco di santa, è una giustizia dalla quale guardarsi e prendere le distanze. Ci lamentiamo, a ragione, del nostro sistema giudiziario. E’ vero, la nostra macchina della giustizia fa acqua da tutte le parti, i processi sono interminabili, ci sono tre gradi di giudizio, non esiste certezza della pena, tra buone condotte, patteggiamenti e affidamento ai “servizi sociali”, è tutto vero. Ma nel nostro paese non sarebbe mai accaduto quello che si è verificato nel caso di Dominique Struass-Kahn. Ci vergogniamo sempre un poco della fragilità della nostra politica, della nostra economia, della nostra giustizia. Bene, questa volta no, possiamo, una volta tanto, andare fieri della nostra giurisprudenza: sarà farraginosa ed antiquata, ma non sarebbe mai in grado di concepire una simile aberrazione giudiziaria. Per una volta, a vergognarsi, ci pensino gli americani.