lunedì 11 luglio 2011

IL FANTASMA DELLA POVERTA'


Non avrei mai voluto scrivere questo post, ma le notizie che ci pervengono, oggi, 11 luglio 2011, dai mercati e soprattutto dalla Borsa di Milano mi obbligano a parlare di una materia che avrei con tutto il cuore voluto evitare. Dall’inizio della crisi (ma si può parlare ancora di sola crisi?), dall’estate del 2008, l’Italia non aveva mai vissuto momenti più difficili, non si era mai toccato un livello di allarme così preoccupante. In pochi giorni, in Piazza Affari, si sono bruciati 16 miliardi di euro, i titoli di stato italiani e l’intero sistema bancario italiano non erano mai stati sottoposti ad un simile fuoco di fila. Se la situazione non migliora nei prossimi giorni, (due o tre al massimo), il rischio del fallimento, del default è realmente concreto. La borsa di Milano non può sopportare perdite del 4% ancora a lungo, se non si corre ai ripari lo stato e il suo sistema bancario vanno incontro al crack. Vediamo di riassumere. Il governo ha licenziato una manovra finanziaria che finanziaria non è, dal momento che è fatta di soli tagli e che prevede una sola riforma fiscale. Una manovra fiscale, per essere efficace, deve anzitutto essere economica, e poi finanziaria. Per l’economia, per la crescita e lo sviluppo non si è fatto nulla. Tremonti risponde che non è in suo potere modificare l’assetto economico del paese: è vero, ma la politica deve fare la sua parte per incentivare l’economia, gli imprenditori faranno il resto. Una manovra di soli tagli, tutta sbilanciata, per non perdere consensi, sul 2013-14 non è solo una manovra inutile, è una manovra controproducente. Questo lo hanno capito bene i mercati,così come hanno ben compreso che Berlusconi è un leader  finito, ormai alle corde. Dalla sconfitta alle amministrative, a quella dei referendum, alla condanna per il lodo Mondadori: è un”anitra azzoppata” per dirla all’americana. E’ significativo che non prenda pubblicamente la parola da venerdì scorso. Invece di rassicurare i leader europei e i mercati, se ne sta rintanato a Palazzo Grazioli a leccarsi le ferite. Oggi Angela Merkel  ed il ministro delle finanze Schaeuble lo hanno incoraggiato a parlare, mostrando fiducia nella manovra, ma, al contempo, invitandolo a fare presto, perché i mercati non aspettano e sono pronti a farci crollare. Quello che è accaduto nella Borsa di Milano non è facile da spiegare, mi ci proverò. Ha cominciato l’agenzia di rating Standard & Poors a declassare il nostro out look (il nostro dato tendenziale) da “stabile” a “negativo”, poi, l’altra grande agenzia di rating Moody’s ha messo sotto osservazione il Tesoro dello Stato, le aziende partecipate dallo stato italiano, gli enti locali e praticamente quasi tutti i gruppi bancari italiani. Un altro chiaro segnale negativo. Poi, la situazione politica italiana, ormai prossima allo stallo, un governo tenuto in vita da personaggi come Scilipoti, un premier appannato, sempre più indebolito, un PDL dato dai sondaggi al 28%, lo stesso ministro dell’Economia, Tremonti, coinvolto nell’ennesimo scandalo di corruzione immobiliare. La classe politica italiana non riscuote all’estero  molte simpatie, ed è facile capire il perché: non possiamo permetterci di scherzare con il bunga bunga, non possiamo perdere mesi e anni dietro agli affari personali di Berlusconi sperando che non ci accada nulla. Siamo un paese totalmente discreditato, perché abbiamo una classe politica paragonabile, per livello di corruzione e di impreparazione, solo a quella greca. La stessa opposizione appare debole e divisa, non in grado di condurre il paese. In una situazione di crisi globale, sono elementi che pesano e fanno la differenza: la Spagna ha una leadership credibile, persino il Portogallo. Noi abbiamo gente come Brunetta. Aggiungeremo che abbiamo il terzo debito pubblico più alto del mondo, che il nostro PIL non solo non cresce più, ma è addirittura sotto lo zero, che vuol dire recessione. Non ci possiamo stupire più di tanto se la speculazione, in un mercato lasciato colpevolmente senza regole, colpisca laddove avverte la debolezza, il ventre molle dell’Europa. La Consob, un organismo poco più che simbolico, ha cercato di limitare le “short selling” le vendite allo scoperto, un espediente utilizzato da molti speculatori internazionali. Consistono semplicemente nel vendere quello che ancora non si possiede: si acquistano titoli senza perfezionare l’acquisizione, poi, non appena il prezzo di tali titoli cala paurosamente si acquistano veramente speculando sulla differenza. Funzionano pressappoco così i famigerati “hedge fund”. La stessa speculazione si è abbattuta sui titoli di stato italiani, facendo schizzare lo spread (il differenziale) dei titoli decennali italiani e quelli considerati come riferimento stabile, i bund tedeschi, a 300 punti, similmente alla Spagna. Fino a poche settimane fa il differenziale era a 160, 170 punti. In poco tempo si è raddoppiato. Tale spread è un marker molto importante, perchè indica il livello di rischio di un paese: per essere acquistati, i nostri titoli di stato devono applicare tassi di interesse sempre più elevati, per compensare il livello di rischio affrontato da chi li acquista. Si entra in questo modo in una spirale pericolosa, il sistema si avvita su se stesso. Sui titoli bancari piovono le vendite, in parte per la ricapitalizzazioni cui sono stati obbligati colossi come Unicredit, Intesa San Paolo ed MPS, in parte per la crisi di liquidità dovuta alle vendite esasperate da parte di imprese e privati che, presi dal panico, corrono a svendere i loro titoli. Senza contare che il sistema bancario italiano, parimenti a quello degli altri stati, è strettamente correlato al debito sovrano dello stato, al punto che, una volta fallito lo stato è lecito attendersi un default del suo sistema bancario. Si aggiunga che in questi giorni, per la prima volta, Barack Obama ha parlato chiaramente di “rischio default” anche da parte degli Stati Uniti, schiacciati da un debito estero e de un tasso di disoccupazione altissimi. Abbiamo riassunto in poche righe la situazione finanziaria nella quale versiamo in questo periodo: una classe politica indebolita ed incapace a reagire, un debito pubblico fuori controllo non compensato da un principio di crescita, i titoli di stato sotto attacco degli speculatori, schizzati oggi a livello spagnolo, domani a livello portoghese. Le banche in grossa crisi, sotto pressione continua, i piccoli gruppi sono quelli che rischiano di più, non avendo motivi di compensazione. Se le cose non cambiano in fretta, il primo segnale della disfatta sarà il fallimento delle prime piccole banche. Ma questo sarà solo l’inizio. Se la politica non interviene subito, con la decretazione d’urgenza, si rischia grosso. Non c’è più tempo per lunghi e penosi passaggi parlamentari: anche se si tratta di una manovra ridicola, ai mercati serve un segnale immediato. Secondo: Berlusconi deve assolutamente dimettersi. Non ci sono alternative, la sua leadership non esiste più. Trattandosi di una vera e propria emergenza, sarebbe bene costituire un governo di unità nazionale pronto a mettere mano ad eventuali contromisure nel caso di ulteriori attacchi alla nostra economia. Se non si compiranno questi due passi fondamentali, il rischio del fallimento diventa una prospettiva concreta. L’Italia è la terza economia dell’Europa, il suo default provocherebbe il crollo dell’architrave europea, e quindi la fine della moneta unica. Non è vero che siamo troppo grandi per fallire, possiamo fallire, e paesi come la Germania, l’Austria, la Danimarca, l’Olanda e la Finlandia possono anche permettersi il lusso di tornare alle loro valute nazionali. Noi no. In caso di fallimento dell’Italia, il nostro ritorno alla lira significherebbe una svalutazione alle stelle (altro che un euro: 1936,27 lire!), una inflazione fuori controllo, una caduta del potere di acquisto dei salari, speculazioni forsennate sulla nostra povera liretta. Una prospettiva del genere ci farebbe precipitare in una situazione da Repubblica di Weimar prima dell’avvento del nazismo. Non abbiamo più tempo: troppo è stato perduto in appartamenti di Montecarlo, in lodi Alfano e in Ruby Rubacuori. Berlusconi è finito come leader e, se posso permettermi, come uomo. Un uomo che racconta barzellette mentre la nave affonda ricorda molto da vicino l’orchestrina del Titanic. Deve andarsene. Si decreti la manovra così com’è, anche se è una manovra da operetta, e si dia vita, da subito, ad un governo di larghe intese: il fantasma della povertà, questa volta per davvero, è appena dietro l’angolo.