sabato 9 luglio 2011

A CESARE QUELLO CHE E' DI CESARE

Impossibile non commentare il gustosissimo episodio che ha visto protagonisti, contemporaneamente, il Ministro dell’Economia, rag. Giulio Tremonti, il Ministro del Lavoro Sacconi, il Ragioniere Generale dello Stato e, dulcis in fundo, il ministro di non si sa bene cosa Brunetta. Nel corso di una conferenza stampa che li vedeva protagonisti, durante l’esposizione della manovra, una volta presa la parola, Brunetta cominciava a snocciolare le sue acute analisi, allorchè, come folgorato da una rivelazione che ha del soprannaturale, Tremonti si rivolge prima al Ragioniere dello Stato, commentando non proprio positivamente l’intervento di Brunetta, e finalmente, dava a Cesare quello che è di Cesare, dando del “cretino” a Brunetta. Non solo. Non pago dell’epiteto che così bene connotava la personalità del suo collega di governo, rivolto ad un distratto Sacconi che ammetteva di non ascoltare neppure l’intervento di Brunetta, aveva modo di completare il suo pensiero aggiungendo “è proprio uno scemo”. Adesso, mi rendo conto che non si tratta di definizioni degne di un trattato di antropologia o di sociologia, ma,insomma, devo ammettere che, pur nell’estrema sintesi, illustrano e denotano perfettamente la condizione politica ed umana del ministro di non si sa bene cosa. I suoi colleghi di governo, presumo, sono arrivati da un pezzo alla medesima conclusione, ed il paese intero, non i soli statali, raggiunge delle percentuali bulgare nel considerare poco consono alla posizione che occupa il suddetto miniministro. Se lo hanno capito i deputati del PDL, se lo ha capito il paese intero, stufo delle sue iniziative mai portate a termine, degli annunci cui non fa seguito regolarmente nulla, del suo modo di rapportarsi ringhioso ed aggressivo, della sua totale inconcludenza, è possibile che Berlusconi ancora non abbia compreso che questo mattone gli sta sottraendo un numero considerevoli  di voti? Comincia a farsi strada l’ipotesi che il premier stia perdendo l’unica caratteristica che lo distingueva dagli altri politici, l’unica dote che lo ha mantenuto a galla fino ad ora: il fiuto politico e il tocco magico. Andare alle presentazioni di presunti libri del “peone” Scilipoti, un politico fuori da ogni possibile classificazione, è stato un altro grave svarione che concorre a far pervenire alla conclusione che il “tocco” del premier sia ormai alla fine.  Non essere più in grado di scegliere le compagnie da frequentare da quelle che è bene evitare, è il segno più evidente della irreversibile crisi di quest’uomo.
E poi, altro segno dei tempi, gli uomini della provvidenza. La Lega, che con il solito laconico Bossi sostiene che “senza la Lega faremmo la fine della Grecia”, o, peggio, la dichiarazione di un Tremonti arrivato ormai alle corde, incappato anch’egli in un caso di evidente tristissima corruzione, autore di una manovra fiscale, non finanziaria, che sostiene: “se cado io, cade l’Italia”. No, caro Tremonti, se cadi tu non cade l’Italia, l’Italia cade lo stesso perché con la classe politica che ci ritroviamo non è possibile il miracolo del risanamento. Ce lo dicono i mercati, che hanno compreso benissimo, ancor prima di noi italiani, che con un governo al tramonto ed una opposizione debole e inconsistente, non siamo in grado di risollevarci, e il differenziale tra titoli di stato e bund tedeschi è tragicamente destinato a salire. Questo significa che gli investitori pretendono interessi più alti per scommettere su di un paese che offre sempre meno garanzie. Tremonti, da buon tributarista qual è, ha fatto una manovra di soli tagli, alcuni addirittura grotteschi e controproducenti, perché non finalizzati al pareggio di bilancio. Pareggio che non si raggiungerà mai perché il nostro paese, oltre a possedere una classe politica particolarmente inetta e corrotta, ha il destino segnato da un deficit spaventoso cui corrisponde una sostanziale recessione economica. Le due cose messe assieme formano un cocktail micidiale, e nessuna manovra può sanare un binomio del genere. Un fiscalista come Tremonti non poteva fare di più, ma è anche vero che a sinistra non c’era di meglio. Ci vorrebbe un economista vero, che sappia alzare lo sguardo dai conticini del bilancio dello stato, e, attraverso una visione d’insieme della finanza e dell’economia italiana sappia produrre una vera manovra economica, ancor prima che finanziaria, se non addirittura fiscale, come ha fatto il rag. Tremonti. Questi non hanno ancora capito che i cimiteri pullulano di persone che ritenevano, in vita, di essere indispensabili.
Tuttavia, come accennato sopra, Tremonti ha compiuto un gesto, ha pronunciato delle parole che lo hanno emendato da tutte le sue malefatte finanziarie. Come non perdonare una manovra sbagliata, che fa ricadere i sacrifici sui soliti poveri cristi, ad un uomo che con due definizioni, una più calzante dell’altra, ha raggiunto un livello di precisione e di acutezza di analisi difficilmente superabili?  Questo gesto lo ha redento. Raramente psicologi, psichiatri, sociologi e antropologi, con tutto il loro bagaglio di conoscenze e di intuizioni, hanno saputo sintetizzare brillantemente in due parole una verità che è sotto gli occhi di tutti, tranne quelli del premier. Onore al merito, dunque, a Cesare è stato dato quello che gli spettava. Peccato che questa “voce dal sen fuggita” non sia stata un poco più tempestiva, avrebbe evitato al governo e al paese la dura prova della sopportazione dell’”energumeno tascabile”, secondo la felice stigmatizzazione di Massimo D’Alema.