martedì 30 novembre 2010

MARIO MONICELLI E GLI ULTIMI MOMENTI

Con Mario Monicelli se ne è andato l’ultimo grande regista italiano, l’ultimo di respiro internazionale. I registi italiani, con nessuna eccezione, sono in grado di produrre opere carine,  gradevoli, ma niente di più. Anche la stagione dei grandi autori si conclude con Monicelli. Colpisce, inevitabilmente, la scelta del suicidio come soluzione finale e si riapre, purtroppo, il dibattito sulla libertà individuale delle ultime decisioni. Premesso che Monicelli, negli ultimi tempi, versava in una qualità di vita oramai intollerabile, anche in questo caso vale la posizione del massimo rispetto possibile, vorrei dire della condivisione del gesto. La questione che si apre è, piuttosto, la possibilità o meno di assistere una persona che non si trovi nelle condizioni fisiche e mentali di Monicelli. Si tratterebbe, in questo caso, del suicidio assistito. Questione sempre aperta, e di difficile sistemazione legislativa. Da molto tempo si dibatte questo argometo, spesso oggetto di polemiche. Diciamo anzitutto che nessuna legge o normativa può essere in grado di coprire l’intera casistica possibile. E questo pone un primo, invalicabile, limite ad una possibile legislazione. Trattandosi di scelte individuali, occorrerebbe una valutazione caso  per caso. Fino a che punto un persona è capace di intendere e volere? Dove si stabilisce il confine della normalità? Non è possibile che una persona prenda una decisione, anche per iscritto, preda di una grave depressione, e quindi non in perfetta lucidità? E ancora, ammesso che nel testamento biologico (se mai entrerà in vigore) una persona, nel caso dovesse versare in determinate condizioni fisiche, chiedesse di essere assistito nel suicidio, cosa ci fa pensare che, nel frattempo, non possa aver cambiato idea? Si tratta di eccezioni di tutto rispetto. L’Olanda, unico paese nel quale esiste una legislazione specifica, sta compiendo un percorso verso il rischio maggiore di una simile normativa: l’assimilare casi di handicap gravissimo alla casistica dei malati terminali. Siamo ai problemi fondamentali dell’inizio vita e della fine vita. Ovviamente le due cose vanno tenute ben distinte, ma il rischio è quello  di scivolare verso una sorta di “selezione” del genere umano e quindi a quello che si chiama “eugenetica”. A malincuore, quindi, data anche la statura morale e intellettuale della nostra classe politica, considero quale male minore non formulare alcuna legislazione in merito. Ricordo che, di fatto, una forma di eutanasia è già applicata nel nostro paese. In rianimazione sono i medici, in concreto, a decidere se tentare di salvare una persona o meno, in considerazione, soprattutto, dei possibili postumi. Quando ad un malato terminale si somministrano dosi sempre maggiori di morfina, il soggetto, prima o poi, morirà dolcemente per insufficienza respiratoria. Legiferare sull’eutanasia non serve. Farlo sul suicidio assistito sarebbe ancora più pericoloso, proprio perché aprirebbe scenari di difficilissima gestione.