mercoledì 17 novembre 2010

LA GRANDE ILLUSIONE

Dal 2008 il mondo ha fatto ingresso nella più grave crisi economica e finanziaria della storia del capitalismo. Nulla di paragonabile a quella del 1929, se non altro perché allora esistevano i presupposti di una crescita il cui volano fu il “new deal” di Roosevelt, ma anche e soprattutto perché il mondo, a quel tempo, non era globalizzato. I blocchi contrapposti, il capitalismo occidentale da una parte e il socialismo reale dall’altra, garantivano un sostanziale equilibrio, trattandosi di economie chiuse e alternative l’una all’altra, ma non in competizione diretta. Nel mondo globalizzato del “tutti contro tutti”, dalla crisi non si esce perché ogni paese del mondo cercherà di fare il possibile per uscirne riportando la minore entità di danni possibile, a scapito degli altri paesi, con i quali si trova in diretta, perpetua competizione. Più volte ho sottolineato, da questo blog, che non si tratta, a rigore, di una “crisi”. La definizione tremontiana di “tornante della storia” rende meglio l’idea. Il naufragio dell’illusione che la globalizzazione avrebbe portato ad un maggiore cooperazione tra le nazioni del mondo e che tutto ciò si poteva tradurre in una crescita globale non ha fatto i conti con i contenuti più intrinseci, più nascosti del capitalismo. Ci troviamo nel bel mezzo di una svolta epocale, la fine del capitalismo. Questo sistema socio-politico economico ci insegna che ponendo il profitto alla sommità di ogni altro valore, non può sussistere alcuna vera cooperazione, non esiste sussidiarietà o, peggio, solidarietà, ma solo la lotta eterna della supremazia del più forte contro il più debole. Le differenze sociali non si sono allargate solo nei paesi occidentali, sono diventate cosmiche nei paesi del terzo mondo. I poveri sono realmente sempre più poveri, non più e solo nel terzo mondo, ma anche nei paesi una volta più ricchi. La vecchia Europa, incapace di darsi una unità politica, non è neppure in grado di darsene una economica. E’ di questi giorni la notizia che la UE non ha approvato il bilancio, la “finanziaria” di fine anno 2010. Si sono opposti paesi come il Regno Unito, l’Olanda e la Svezia. Ha replicato un piccato Barroso con la battuta, non lontana dalla realtà, che così facendo i tre paesi citati “si sono sparati sui piedi”. Il capitalismo ci ha abituati a pensare solo in termini egoistici, al nostro interesse particolare, schiacciando senza pietà coloro che non tengono il passo. La Germania, unico paese in grado di fronteggiare la crisi, perché unico paese in grado di produrre, mantenendo una industria pesante, si sfilerà dal’euro o creerà un euro a due velocità: uno per il nord Europa e uno per l’Europa mediterranea, più l’Irlanda. Ancora la Germania, vera locomotiva dell’Europa, condiziona completamente la BCE, controllandola in ogni sua mossa. Non essendo in grado di competere con l’industrializzazione delle tigri asiatiche (Cina, India, Malaysia ecc.) l’Europa mediterranea non potrà che soccombere e deindustrializzarsi, cercando vie alternative allo sviluppo. Una intera categoria, (una volta si chiamava “classe”) quella operaia dei metalmeccanici scomparirà del tutto. Ma mentre paesi più avveduti e meno corrotti del nostro stanno battendo queste vie alternative all’industria, in Italia, una classe di politicanti inetti e corrotti giocano agli intrighi di palazzo, suonando l’orchestrina del Titanic mentre la nave affonda. Il capitalismo è un sistema spietato, specie se lasciato a se stesso, senza regole. E’ il sistema di “homo homini lupus” nel quale il pesce grande divora quello piccolo. Una evasione fiscale spaventosa, fuori controllo, le imposte pagate solo dai contribuenti tassati ala fonte, una classe di pubblici amministratori corrotti e concussi, boiardi di stato e alti papaveri pagati fior di milioni di euro, completano il quadro. Tornano alla memoria le parole di Marx: “il capitalismo finirà il suo ciclo vitale quando esploderanno le sue contraddizioni”. Vediamole queste contraddizioni: la prima, la più importante e che “i soldi si fanno con i soldi”, e allora nasce la finanza creativa (la stessa cui si è affidata l’Irlanda), la finanza che crede, con le sole armi delle speculazioni e delle guerre delle valute pretende di produrre ricchezza (e la produce, ma solo per i singoli speculatori). I soldi si fanno viceversa con l’economia reale, con il lavoro, se la finanza si svincola da questa regola è destinata a fallire. La seconda contraddizione è costituita dagli espedienti che un mercato deregolato e abbandonato a se stesso ha permesso: si prendano gli esempi dei prodotti “derivati”, vere scatole cinesi che rimandano ad un creditore che alla fine si dissolve lasciandoti con un pugno di carte bollate, o le cartolarizzazioni, costituite da crediti in sofferenza che vengono trasformati in titoli, a loro volta dati in pagamento a qualche fesso che può solo contare sulla speranza di riscuotere un credito che in poche circostanze verrà onorato. E’ un po’ il sistema delle cambiali: di passaggio in passaggio, in luogo del pagamento in contanti, arriva a qualche utente finale che rimane ancora una volta col cerino in mano. Il fatto che la UE non abbia approvato il bilancio di fine anno e si vada verso l’esercizio provvisorio, significa che gli stanziamenti europei allo sviluppo dei paesi membri saranno inevitabilmente bloccati e si gestirà l’ordinaria amministrazione. E anche questa è una pietra tombale sull’Unione Europea che, non essendosi costituita in confederazione di stati, non essendosi data una costituzione, non essendo neppure in grado di approvare un bilancio di fine anno, sancisce di fatto la sua fine e la fine della moneta unica. Lascio a lettore immaginare le conseguenza di un ritorno alle monete nazionali: bisognerà andare a fare la spesa con una carriola piena di banconote, come nella Repubblica di Weimar. Il capitalismo è finito, ha fallito come sistema economico e sociale, non ha mantenuto nessuna delle sue promesse, ma la sua fine sarà preceduta da una lunga e dolorosissima coda, da una recessione senza pari, da una pericolosa instabilità politica. Se l’Italia, come sospettiamo, andrà in default come Irlanda, Portogallo e Spagna, non ci sarà nessuno in grado di aiutarla, perché l’UE non esisterà, di fatto, neppure più, e non ci sarà neppure più l’euro a fare da scudo. L’ingresso in un nuovo medioevo appare quindi inevitabile. Un medioevo che difficilmente precluderà ad un nuovo Rinascimento,  ad un nuovo sistema economico e politico che in questa fase è difficile immaginare. Quando i titoli di stato e i bond delle banche non saranno più restituiti agli obbligazionisti speranzosi di rientrare in possesso dei loro capitali, allora una guerra civile, o la precipitazione nel caos, non sono idee così peregrine. Ha fallito il socialismo, ma c’è da vergognarsi. Il marxismo era, nella teoria, il migliore dei sistemi possibili, la natura umana è riuscita a corromperlo e a snaturarlo. Il suo antagonista non si è rivelato migliore,: ogni posto di lavoro perduto è perduto una volta per sempre, non sarà più sostituito. La grande illusione del facile arricchimento con il liberismo è arrivata all’ultima fermata. Dopo, solo la notte, il caos, e il nulla ingoieranno quello che ci circonda e che abbiamo costruito con fatica.

Roberto Tacchino