giovedì 25 novembre 2010

CARTOLINE DALL'ALDILA'

25 Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? 26 Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? 27 E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? 28 E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. 29 Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30 Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? 31 Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? 32 Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. 33 Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34 Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.
Matteo: 6,25 - 34


E’ difficile in questi tempi sventurati, alle prese con un flusso che appare inarrestabile di perdita di posti di lavoro, con prospettive economiche e finanziarie non certo rosee, è difficile non chiudersi in un muto egoismo, in una rassegnata malinconia. Eppure, proprio in queste circostanze, è importante trovare una via di fuga, un rifugio, un impegno che ci tenga occupati, spiritualmente e materialmente, che tenga desta la nostra attenzione, verso noi stessi e gli altri, che non ci faccia soccombere mentre mercati e  borse fanno il resto. Il terzo settore, quello del volontariato sta conoscendo una crisi particolare, per mancanza di finanziamenti e, soprattutto, per carenza di adesioni. Di questi tempi è facile chiudersi in se stessi, ripiegarsi su se stessi, stare sulle difensive e osservare tutto con diffidenza: di fronte a variabili non modificabili dalla nostra volontà, con i timori e i tremori per il futuro di noi stessi, dei nostri figli, dei nostri risparmi, è facile adagiarsi su di un letto di procuste: meglio farlo su di un letto di petali di rose, le “rose di Eliogabalo”, per esempio. Chi mi conosce sa che recentemente  è scomparsa mia madre, che faccio un lavoro che non mi colma di soddisfazioni, essendo di carattere amministrativo, che non ho più parenti e i pochi amici, beh, lasciamoli perdere. Ma proprio adesso, quando tutto appare incerto e indecifrabile, quando tutto si confonde come in una nebbia, la solitudine è dietro l’angolo, bene, proprio adesso, in due diverse circostanze, mi si è aperto, sia pure per un solo attimo, un intero orizzonte. Il giorno della morte di mia madre, stavo percorrendo con lo scooter la via del ritorno a casa, e alzando gli occhi su, nel cielo, mi è apparso un brevissimo squarcio luminoso. Lì per lì non ci ho fatto caso più di tanto, anche perché il tutto è durato una frazione di secondo, ma qualche giorno dopo, camminando per una via qualsiasi, guardando ancora il cielo incerto tra nubi e sereno mi è riapparsa quella istantanea sciabolata di luce, sempre per un attimo. Mi è tornato alla memoria il raggio verde, quello che in talune circostanze climatiche favorevoli, si distingue per un istante al tramonto sul mare. O il cosiddetto “afterglow” degli inglesi, l’”ultimo bagliore del crepuscolo”, che è anche il titolo della più bella canzone dei Genesis. Tornando poi a casa, ho cercato di conservare dentro di me quelle immagini, per quanto appena abbozzate e fugaci. La sera, prima di addormentarmi, ho fantasticato ancora di favolosi paesaggi e città mitiche, tra favola e leggenda. Seguendo il filo dei miei pensieri mi sono ritrovato a pensare al viaggio, il vero viaggio, quello del “tè nel deserto”, quello che il viaggiatore compie senza sapere né come, né quando tornerà indietro, e soprattutto se tornerà mai a casa. Mi sono sentito in pace con Dio, forse persino con gli uomini. Al Padre, che mi ha scrutato con misericordia, con affetto e comprensione, chiedo la consolazione della fede, a me stesso chiedo di prestare più attenzione agli altri, imparare ad ascoltare, dire una buona parola quando sia il caso. Dopo un lungo periodo di malinconia e chiusura tra le finestre di casa mia e quelle di una casa di riposo dove solo il dolore, la sofferenza, la malattia e la morte percorrono indisturbate i corridoi e gli stambugi, l’androne e le scalinate, mi sento di provare ad aprirmi agli altri, con spirito nuovo, rinnovato: ogni notte la figura di mio padre mi viene a visitare, per un saluto, per un consiglio o solo per starmi vicino. Ogni notte, tra la veglia ed il sonno, mi arriva qualche cartolina dall’aldilà, città invisibili, come quelle di Calvino, nature epiche e straordinarie, aurore boreali, tramonti che si tuffano nel mare…Probabilmente non c’è niente di soprannaturale, si tratta semplicemente del mio subconscio che cerca una difficile mediazione tra il mio io rinnovato ed il mondo di tutti i giorni. Ma mi piace pensare, da cristiano pieno di dubbi che il Padre celeste mi manda queste immagini non per consolarmi, ma per dirmi “vai, continua così, cerca di esplorare prima te stesso e poi quello che ti circonda, cercando tutto quello che di buono ti può offrire il mondo, non ti tirare indietro. So che sembrano i puerili “pensierini della sera”, ed è proprio così. Mi torna alla memoria una vecchia canzone di Gianni Togni, un cantautore non certo tra i più “dotti”, mi sembra che facesse pressappoco così:



 Vorrei un dirigibile
volare al polo nord
vivo là tra le nuvole
da lì non scenderò
e coltivare le fragole
e non arrabbiarmi più
l’importante è che con me ci sia tu
proprio tu

Vorrei spazio per correre
il mare davanti a me
una notte da rompere
dentro chissà che c’è
leggere libri di favole
e non essere triste più
l’importante è che con me ci sia tu
proprio tu

E fuggire insieme insieme sulla strada
dietro un’orchestrina improvvisata
vincere marsala al tiro a segno al luna park
calmi anche se il buio ci sta tutto intorno
per cacciare le ombre dell’inverno
basta un fiammifero e un muro di città
e ci si vede già

Mi farò un’autocritica
i miei errori correggerò
studierò la domenica
così mi laurerò
e sarò più simpatico
non dirò bugie mai più
l’importante e che con me ci sia tu
proprio tu

Camminare piano non avere fretta
gira il mondo è vero ma ci aspetta
il tempo di fermarsi e farsi una fotografia
cambiare l’acqua alle piante e il latte al gatto
niente sigarette e presto a letto
dove tutto va al suo posto come per magia

Comprerò un tostapane e un frullatore
arance buone per la colazione
voglio organizzarmi e darci dentro un po’ di più
da domani niente trucchi  al lavoro
cambio vita voglio fare il bravo
buonanotte amore è bello che ci sei tu
se ci sei tu.

E’ una canzoncina, per carità, (non una canzonetta), ma da qualche tempo, considerata anche la facile melodia, mi frulla per il capo. Ho in progetto un viaggio, un viaggio vero, non una vacanza, e mi piacerebbe lasciare la mia città, che poi tanto mia non è; una città in peno declino, in vera decadenza, abitata e gestita da persone vecchie dentro e fuori, dal traffico asfissiante e impossibile, dalla burocrazia soffocante, amministrata da un sindaco e da una giunta comunale composta da dilettanti allo sbaraglio, che hanno non poco contribuito al disarmo metropolitano. Magari tra qualche tempo accadrà qualcosa che mi farà nuovamente cambiare idea, e tornare all’ipocondria ben nota, ma adesso non voglio pensarci, quando mi sento triste e stanco, tiro fuori dal cassetto le mie cartoline dall’aldilà e cerco di guardare fisso davanti a me. Padre mio, concedimi ancora qualche anno, ho ancora qualcosa da compiere, prima che anche su di me cali il sipario. Mi scuso con i lettori per questo post francamente un po’ troppo personale, ma spero di avere un po’ stemperato il pessimismo che da sempre mi accompagna, di aver mitigato il “guerrier ch’entro mi rugge”, di aver messo un po’ di pace tra le mie anime in guerra.
(Sempre più spesso mi trafiggono desideri acuminati come spade: la voglia di incontrare persone, altre persone, che non ho mai conosciuto, chissà mai perchè. Sentire il profumo dei capelli e la fragranza di una pelle mai sfiorata, attraversano la mia mente immagini sempre più simili a miraggi, alle morgane beffarde dei castelli ariosteschi, pieni di trappole e trabocchetti. Ho una voglia di scappare, via, via, lontano, così lontano da non trovare più la strada di casa. A volte penso di perdermi in qualche posto segreto, sotto la luna e i palmizi, nascosto tra le mangrovie...O in qualche bordello turco, con i sensi ancora annebbiati dall'oppio sdraiato su di una ottomana. Sono solo fantasie, ma un giorno non lontano, in qualche posto , all'imbrunire e sotto qualche volta stellata, mi farò ingoiare dalla notte, per non tornare mai più. Mai più.)