giovedì 19 dicembre 2013

STAMINA VERSO IL FLOP



Un metodo che non dovrebbe nemmeno chiamarsi «Stamina» perché di cellule staminali nelle misteriose infusioni ce ne sarebbero sì e no tracce. Nessun accenno a come le cellule mesenchimali del midollo si trasformerebbero in cellule cerebrali e dei tessuti nervosi, in grado di riparare i danni all’origine di molte malattie neuro degenerative, come Sla o Sma1. E persino lo spettro di contaminazioni da morbo di «mucca pazza».
A gettare nuove ombre intorno al contrastato «metodo Vannoni» sono le carte sin qui “top secret” dei verbali dei Nas e degli organismi scientifici istituzionali, oltre che il parere, mai reso pubblico integralmente, con il quale il Comitato di esperti, poi giudicato «non imparziale» dal Tar Lazio, ha bloccato sul nascere la sperimentazione.
Documenti che da un lato confermano quanto già trapelato, come il rischio di trasmissione di malattie infettive, Hiv in testa, per assenza di controlli delle cellule dal donatore. Ma dall’altro rivelano altri rischi per i pazienti. Come quello della Bse, meglio nota come sindrome da mucca pazza. Verbale del 16 ottobre 2012, dopo la chiusura dei laboratori degli Spedali civili di Brescia, dove si coltivavano le cellule per Stamina. Secondo l’Aifa in assenza di sicurezza.
Presenti gli stati maggiori dei Nas, della stessa Agenzia del farmaco, dell’Istituto superiore di sanità e del centro nazionale trapianti. Luca Pani, presidente dell’Aifa, afferma che l’analisi condotta «farebbe supporre l’uso di siero fetale bovino nei terreni di coltura». Dubbio fugato dagli esperti del comitato, che nel parere svelano come sia la stessa documentazione presentata da Stamina a confermare l’uso di siero bovino per la coltura delle cellule. Cosa che in sé non sarebbe vietata anche se sconsigliata.
Purché – ricorda il comitato – «per ridurre i rischi di natura infettiva… il siero fetale bovino provenga da animali allevati e sacrificati in Paesi privi di Bse», il tutto mediante certificazione europea. «Nessuna di queste informazioni è presente nei documenti pervenuti», si legge però nel parere.
Ma i pericoli non finiscono qui. «Il terreno di coltura contiene antibiotici», rivela sempre il comitato, che considera questa pratica «non giustificata» e a rischio di tossicità. E poi la presenza di detriti dei tessuti potrebbe provocare micro embolie polmonari e cerebrali. Del resto un altro verbale rivela che in un campione prelevato a Brescia il 30% delle cellule sarebbe stato contaminato. In un altro campione la contaminazione sarebbe invece «bassissima», ma in entrambi si rileva l’assenza di un marcatore che generalmente rileva la presenza di cellule staminali mesenchimali.
Sorge allora il dubbio su cosa venga realmente somministrato ai pazienti. Tanto che il generale Cosimo Piccinno, capo dei Nas, avanza il sospetto che il metodo Stamina sia nella realtà cosa diversa da quello descritto nella domanda di brevetto presentata a suo tempo da Vannoni e poi respinta negli Usa.
Nel consenso informato fatto firmare ai pazienti, rivela un altro verbale, «sorprendentemente si dichiara che le cellule somministrate possono essere leucociti del sangue, di solito mescolati ad altre componenti minori… oppure cellule più purificate quali le cellule mesenchimali estratte dal midollo osseo». Insomma, un frullato indefinibile. E infatti per gli scienziati del comitato che hanno potuto leggere per esteso le carte di Vannoni dal metodo Stamina di coltura «la popolazione (cellulare) che si ottiene non è purificata, non è omogenea, non è una popolazione di cellule staminali».
Qualunque cosa sia però per il comitato non c’è nulla che dimostri la trasformazione di cellule del midollo in cellule neuronali in grado di riparare i danni delle malattie neuro degenerative. Secondo le sequenze descritte nella domanda di brevetto la trasformazione avverrebbe dopo solo un’ora di coltura in acido retinoico.
All’Iss, rivela un verbale, ci hanno provato per 2 ore e poi per 24. Ma del miracolo della trasformazione cellulare nessuna traccia. «Su Stamina serve chiarezza perché non ci siano più dubbi», ha ribadito la Lorenzin preannunciando a breve la nomina del nuovo comitato. A meno che prima degli scienziati a sollevare nuovi dubbi arrivi la magistratura.
PAOLO RUSSO   La Stampa

Mentre da Chieti i genitori di Noemi, la bimba di 18 mesi malata di Sla, implorano i medici per curarla con il metodo Stamina, da Torino quelli di Simona (nome di fantasia, ndr), 11 anni, in carrozzina per una «paralisi cerebrale infantile» implorano il procuratore Raffaele Guariniello di porre fine alla «truffa subita dal professor Vannoni».
Quella di Simona è l’ennesima storia di speranze e denaro – 40 mila euro – andati irrimediabilmente in fumo. È dal 2009 che confidano nel miracolo. Tutto inutile. E dopo aver girovagato tra gli ospedali di Gravedona (in provincia di Como), Brescia e Trieste, pochi giorni fa si sono presentati alla Procura di Torino per sporgere denuncia.
«Perché un genitore è pronto a tutto per salvare il proprio figlio – racconta la mamma di Simona -, anche a indebitarsi con le banche. E quando scopri che erano tutte falsità, non soffri tanto per i soldi buttati via, ma per i sogni infranti di tua figlia. La mia è stata illusa: secondo il professor Vannoni oggi Simona dovrebbe correre, e invece è com’era prima. Non autosufficiente e bisognosa di una persona sempre accanto che si occupi di lei».
Non è ricca la mamma di Simona. Si guadagna da vivere come panettiera e tira avanti, tra mille sacrifici, con una spina nel cuore: la sua piccola Simona è vittima di una paralisi ipossico ischemica che non le consente di camminare. Ma quattro anni fa questa mamma premurosa sente parlare del metodo Stamina, delle cellule staminali e le loro affascinanti proprietà, tra cui il potere di rigenerare i tessuti.
La speranza si accende e addirittura si infiamma dopo il primo colloquio con il professor Vannoni. «Mi disse che anche lui era guarito grazie alle cellule staminali – ricorda questa mamma che non si rassegna all’idea che la sua bambina sia stata così crudelmente raggirata -. Che dopo una paralisi parziale al volto era stato curato in Ucraina nel 2007 e da lì aveva deciso di importare il metodo in Italia».
Ma il colpo di teatro è un altro. Vannoni le mostra un video e le immagini sono liberatorie. Prima si vede un uomo in carrozzina, poi lo stesso uomo che corre e cammina. «Non credevo ai miei occhi, ho subito voluto sapere di più delle cure e del modo per potervi accedere». Ma c’è subito un’importante premessa. «La prima cosa che il professore mi ha chiesto sono stati i soldi: me lo ha detto chiaro e tondo».
Il costo della speranza? «All’inizio 36 mila euro in due tranche, una da 27 mila, la seconda da 9. Poi altri 4 mila per gli avvocati per il ricorso ad ottenere il riconoscimento dell’assistenza sanitaria». Con uno spiacevole seguito: per risparmiare sulle spese legali, Simona ha dovuto donare a sua volta «le sue cellule per aiutare bambini malati più piccoli».
Ma 36 mila euro sono troppi da mettere insieme per i genitori di Simona. «Ho dovuto chiedere un prestito – spiega la mamma nella denuncia al dottor Guariniello -, ma per la mia bambina sarei stata disposta a pagare qualsiasi cifra, pur di vederla camminare da sola». Così non è stato. Anzi, il viaggio della speranza di Simona si è consumato anche tra malesseri per la cura e suggerimenti «a non rivelare agli ospedali di Torino delle punture eseguite a Trieste dal dottor Marino Andolino (spalla di Vannoni e indagato anche lui per associazione a delinquere per somministrazione di medicine pericolose e truffa in materia di farmaci, ndr) perché altrimenti la cura rischiava di essere sospesa».
La prima tappa di Simona a Gravedona, per il carotaggio osseo. Poi la puntura, di domenica, all’ospedale Burlo Garofalo di Trieste. Puntura che non viene tollerata dalla piccola di 7 anni: vomita di continuo e così una volta rientrati a Torino la mamma la porta in ospedale. «Ma non dissi la verità su indicazione di Vannoni». La seconda puntura viene eseguita, dopo un secondo carotaggio osseo, a Brescia. E avanti così. Fino al capolinea. Alla Procura di Torino.
GRAZIA LONGO – La stampa