Da molto tempo andiamo ripetendo di non ascoltare
o non prestare troppa attenzione alle notizie economico finanziarie diramate
dalla stampa e dalle TV, telegiornali come talk show. Tutte le news che ci
pervengono da queste fonti sono manipolate, semplificate al punto da
stravolgerne il significato e la portata, mistificate ad arte per edulcorare una
pillola altrimenti assai amara. Non è assolutamente vero che siamo “in fondo al
tunnel”, e che la crescita sia alle porte. Non esiste nessun tunnel come non
esiste nessuna crescita. Con i fondamentali italiani, economici e finanziari,
il massimo che ci possiamo attendere è un PIL uguale a zero, in presenza, però,
di un debito pubblico in costante crescita, ora 2080 miliardi. La
disoccupazione, segnatamente quella giovanile è in aumento, quasi un giovane su
due non trova lavoro, abbiamo svenduto i gioielli di famiglia, la maggior parte
delle imprese, dei marchi italiani sono passati in mani straniere. Nello stesso
tempo nessuno investe nel nostro paese, apre imprese, attiva aziende o
fabbriche: il costo del lavoro è ancora troppo elevato, così come il cuneo
fiscale, la pressione tributaria è insopportabile, la burocrazia inestricabile,
la criminalità organizzata fa il resto. Nessuno è propenso ad investire in un
paese dove bisogna pagare il pizzo. Il sistema bancario italiano è al collasso
per le sofferenze e gli incagli (crediti deteriorati da rettificare, ratio
patrimoniali largamente insufficienti). I tagli alla spesa pubblica continuano
imperterriti, chiamati con i nomi o le definizioni più bizzarre: ma sempre
tagli sono. Se ne accorge chi accede malauguratamente alla Sanità pubblica: un
servizio pessimo, superficiale e pressappochista. Però è uguale per tutti,
italiani come immigrati: è bella la democrazia della sanità, siamo trattati
tutti alla stessa stregua, così otteniamo tutti un pessimo servizio. In
conclusione, quello che ci dobbiamo attendere è una deflazione in tempi medio
brevi: i prezzi cominciano a calare, il consumatore aspetta a consumare per
spuntare prezzi ancora più bassi, i produttori svendono le merci stoccate in
magazzino per poi chiudere una produzione che sarebbe in perdita. I consumi si
fermano del tutto. La conseguenza immediata, in economia, è un periodo di
stagnazione lungo diversi decenni. Avete capito bene, alcuni decenni. Altro che
luce in fondo al tunnel, è la luce di un treno che ci piomba addosso. Un paese
che non è più in recessione ma non progredisce è condannato ad una lenta
agonia. Il potere d’acquisto delle famiglie (che è l’indicatore che concretamente
conta di più) è crollato del 10%, il ceto medio è destinato a sparire per
livellarsi sulla soglia della povertà. In Italia esisteranno presto tre
tipologie di censo: i ricchi, gli indigenti, i poveri. Questa, in breve, la analisi. Le ricette per uscirne sono difficilmente praticabili.
Bisognerebbe uscire dall’euro, ma ne deriverebbero comunque conseguenze
drammatiche per i nostri stipendi e i nostri risparmi. Si tratta del risultato della folle politica del rigore e dell’austerità, che ha stremato
la nostra economia, stritolandola e avviandoci verso uno scenario simile al Giappone
di qualche tempo fa: un paese imprigionato nell’immobilismo assoluto. L’economia
non cresce, la stretta creditizia diventa chiusura totale. Le imprese, senza l’apporto
del credito, falliscono una dopo l’altra, l’economia si ferma. L’unica riforma
che ci sentiamo, sommessamente, di consigliare è un programma Keynesiano di
investimenti pubblici nelle infrastrutture, per valorizzare l’unico patrimonio
che resta ad un paese ormai deindustrializzato: quello storico artistico. Ma
siamo in Italia, ed un simile provvedimento vedrebbe la criminalità organizzata
prepararsi a partecipare al banchetto. Siamo il paese con il maggiore numero di
poveri nell’eurozona, insieme alla Grecia. Non esistono molte vie di uscita.