giovedì 5 dicembre 2013

I SOGNI DI SACCOMANNI E LA DURA REALTA'



Da molto tempo andiamo ripetendo di non ascoltare o non prestare troppa attenzione alle notizie economico finanziarie diramate dalla stampa e dalle TV, telegiornali come talk show. Tutte le news che ci pervengono da queste fonti sono manipolate, semplificate al punto da stravolgerne il significato e la portata, mistificate ad arte per edulcorare una pillola altrimenti assai amara. Non è assolutamente vero che siamo “in fondo al tunnel”, e che la crescita sia alle porte. Non esiste nessun tunnel come non esiste nessuna crescita. Con i fondamentali italiani, economici e finanziari, il massimo che ci possiamo attendere è un PIL uguale a zero, in presenza, però, di un debito pubblico in costante crescita, ora 2080 miliardi. La disoccupazione, segnatamente quella giovanile è in aumento, quasi un giovane su due non trova lavoro, abbiamo svenduto i gioielli di famiglia, la maggior parte delle imprese, dei marchi italiani sono passati in mani straniere. Nello stesso tempo nessuno investe nel nostro paese, apre imprese, attiva aziende o fabbriche: il costo del lavoro è ancora troppo elevato, così come il cuneo fiscale, la pressione tributaria è insopportabile, la burocrazia inestricabile, la criminalità organizzata fa il resto. Nessuno è propenso ad investire in un paese dove bisogna pagare il pizzo. Il sistema bancario italiano è al collasso per le sofferenze e gli incagli (crediti deteriorati da rettificare, ratio patrimoniali largamente insufficienti). I tagli alla spesa pubblica continuano imperterriti, chiamati con i nomi o le definizioni più bizzarre: ma sempre tagli sono. Se ne accorge chi accede malauguratamente alla Sanità pubblica: un servizio pessimo, superficiale e pressappochista. Però è uguale per tutti, italiani come immigrati: è bella la democrazia della sanità, siamo trattati tutti alla stessa stregua, così otteniamo tutti un pessimo servizio. In conclusione, quello che ci dobbiamo attendere è una deflazione in tempi medio brevi: i prezzi cominciano a calare, il consumatore aspetta a consumare per spuntare prezzi ancora più bassi, i produttori svendono le merci stoccate in magazzino per poi chiudere una produzione che sarebbe in perdita. I consumi si fermano del tutto. La conseguenza immediata, in economia, è un periodo di stagnazione lungo diversi decenni. Avete capito bene, alcuni decenni. Altro che luce in fondo al tunnel, è la luce di un treno che ci piomba addosso. Un paese che non è più in recessione ma non progredisce è condannato ad una lenta agonia. Il potere d’acquisto delle famiglie (che è l’indicatore che concretamente conta di più) è crollato del 10%, il ceto medio è destinato a sparire per livellarsi sulla soglia della povertà. In Italia esisteranno presto tre tipologie di censo: i ricchi, gli indigenti, i poveri. Questa, in breve, la analisi. Le ricette per uscirne sono difficilmente praticabili. Bisognerebbe uscire dall’euro, ma ne deriverebbero comunque conseguenze drammatiche per i nostri stipendi e i nostri risparmi. Si tratta del risultato della folle politica del rigore e dell’austerità, che ha stremato la nostra economia, stritolandola e avviandoci verso uno scenario simile al Giappone di qualche tempo fa: un paese imprigionato nell’immobilismo assoluto. L’economia non cresce, la stretta creditizia diventa chiusura totale. Le imprese, senza l’apporto del credito, falliscono una dopo l’altra, l’economia si ferma. L’unica riforma che ci sentiamo, sommessamente, di consigliare è un programma Keynesiano di investimenti pubblici nelle infrastrutture, per valorizzare l’unico patrimonio che resta ad un paese ormai deindustrializzato: quello storico artistico. Ma siamo in Italia, ed un simile provvedimento vedrebbe la criminalità organizzata prepararsi a partecipare al banchetto. Siamo il paese con il maggiore numero di poveri nell’eurozona, insieme alla Grecia. Non esistono molte vie di uscita.