lunedì 11 aprile 2016

L’INCOSCIENZA DEI MEDICI OBIETTORI CHE CI FA CONDANNARE DA BRUXELLES



Provate a pensare al calvario di una donna molisana che vuole (legittimamente) interrompere la gravidanza, che vuole farlo per mille ragioni sulle quali nessuno (ad eccezion fatta per il padre del feto) ha il diritto di mettere becco... Provate a pensare al viaggio che sarà quasi certamente costretta a compiere perché nella regione in cui vive sono solo 2 i medici non obiettori che potrebbero acconsentire alla sua (legittima e lo ripeto) richiesta.
Lo scorso gennaio Riccardo Iacona, nel suo Presa Diretta, ha raccontato le incredibili storie di donne costrette a fare anche 800 chilometri per abortire: storie di ordinaria follia per un paese in cui l'aborto è una pratica legale, normata dalla legge 194/78.
Essendo però l'Italia la terra natale del detto "Fatta la legge, trovato l'inganno", l'aborto ormai è diventato un mezzo privilegio, o un colpo di fortuna, al quale giungono, dopo lunghe e perigliosissime avventure, quelle donne che non si imbattono in un medico obiettore. Tradotto: un medico che si rifiuta di interrompere la gravidanza di una paziente (che non è ancora arrivata al compimento del terzo mese di gestazione) perché tale pratica va contro la sua etica, la sua morale o la sua fede.
Siamo ridotti al punto che anche il Consiglio d'Europa ci prende a bacchettate sulle dita e lo fa con una sentenza in cui evidenzia diversi aspetti di questa faccenda: dalle discriminazioni che sono costretti a subire quei medici che si attengono alla legge e praticano l'aborto (quando si dice l'ossimoro perfetto) al fatto che, testuale: "in alcuni casi, considerata l'urgenza delle procedure richieste, le donne che vogliono un aborto possono essere forzate ad andare in altre strutture in Italia o all'estero, o a mettere fine alla loro gravidanza senza il sostegno o il controllo delle competenti autorità sanitarie, oppure possono essere dissuase dall'accedere ai servizi di aborto a cui hanno invece diritto in base alla legge 194/78".
Non fosse gravissimo sarebbe ridicolo. Ma qui da ridere non c'è proprio niente, c'è da arrabbiarsi, c'è da vergognarsi. E, attenzione, a vergognarsi non devono più essere le donne che non vogliono diventare madri, che non se la sentono, che non ne hanno il desiderio, che si sono ritrovate nel loro corpo un corpo che non sentono loro. No, no.
A vergognarsi devono essere tutti coloro che ancora oggi si sentono in diritto di giudicarle come "poco di buono", tutti coloro che si arrampicano sulla cattedra della saggezza presuntuosa dalla quale inveiscono a botte di "dovevano pensarci prima". Bene non lo hanno fatto, mi sembra evidente. Ma un bambino non può essere una punizione, un "chi rompe paga e i cocci sono suoi". Nessuno può costringere una donna a diventare mamma contro la sua volontà. Nessuno ha il diritto di umiliare una donna che non vuole diventare mamma nascondendosi dietro il paravento dell'obiezione di coscienza.
Esiste una legge, una legge costata la vita a centinaia di donne (spesso povere, spesso ignoranti, comunque sole) che hanno affidato il loro corpo ai ferri da calza delle mammane, morte per setticemia, morte per dissanguamento. Morte assieme a quel figlio che non volevano e che avevano tutti i diritti del mondo di non volere.
La sentenza del Consiglio d'Europa non cambierà niente (del resto non è nemmeno vincolante) e a rimetterci saranno, per l'ennesima volta, le donne più deboli. Complimenti vivissimi ai medici obiettori che la notte dormono il sonno dei giusti e condannano agli incubi le loro pazienti.