Lo spettro di una manovra bis allontana lo sconto Irpef. Sono sempre più
a rischio gli 80 euro al mese in più che Matteo Renzi vuole mettere già
nella busta paga di maggio. Da Bruxelles sarebbe arrivata una richiesta
(al momento informale) di intervenire per evitare un nuovo sforamento
del tetto del 3 per cento con conseguente ed ennesima procedura
d’infrazione.
DIVERSITA’ DI VEDUTE. Alla base del contendere, e
in estrema sintesi, ci sono le diverse valutazioni tra Roma e Bruxelles
sullo stato economico che ha accompagnato e accompagnerà il Belpaese
nel prossimo biennio.
L’Italia vede per quest’anno un deficit strutturale dello 0,6 per cento,
che si ridurrà nel 2015 allo 0,1. E in questo range si potrebbero
trovare le risorse per una serie di manovre espansive, come per
l’appunto il taglio dell’Irpef, focalizzato sui redditi inferiori a
25mila euro annui.
La Commissione invece non vede in l’Italia la stessa dinamica su consumi
e investimenti ipotizzata dal governo nel Def e ipotizza per l’anno in
corso un pareggio secco di bilancio. Salterebbe così lo 0,5 di Pil in
più che Padoan ha calcolato di recuperare nel 2015, con il risultato di
ritrovarsi, secondo Bruxelles, con uno sforamento dello 0,8 per cento
alla fine del prossimo biennio, senza i soldi per coprire il taglio
Irpef e con l’apertura di una nuova procedura d’infrazione.
LO SPETTRO DI UNA MANOVRA BIS. Tanto basta per capire
che dopo le Europee – e cioè quando la Ue valuterà il Def e il Piano
nazionale delle riforme – si terrà un serrato confronto tra Renzi e le
autorità del Vecchio Continente. E le parti discuteranno non soltanto di
un rientro più morbido del debito come previsto dal fiscal compact (un
ventesimo secco all’anno), ma soprattutto di come evitare una manovra
bis, letale per la già flebile ripresa del Belpaese.
Dalla parte della commissione il capogruppo alla Camera di Forza Italia,
Renato Brunetta. Secondo l’ex ministro: «Rischiamo di finire ad oltre
il 3,5 per cento di deficit nominale, tornando alla procedura di
infrazione dell’Unione europea». Anche perché «se l’Italia avesse
obbedito al documento di monitoraggio e messa in stato di allerta da
parte dell’Europa, avrebbe dovuto mettere già in conto al Def una
manovra correttiva da 7-10 miliardi di euro».
LA VERSIONE DI RENZI. Nessuna replica da Palazzo Chigi,
anche se a stretto giro Mauro Guerra del Pd ha detto che a non tornare
«sono soltanto i conti di Brunetta». Eppure qualche giorno fa il
ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, aveva parlato per il 2015 di
«una manovra di consolidamento interamente finanziata da riduzioni di
spesa per 0,3 punti percentuali di Pil», pari a 4,9 miliardi di euro.
LO STATO SPENDACCIONE. Intanto le finanze italiane
continuano a pagare l’onda lunga della crisi. L’ultimo Bollettino
statistico della Banca d’Italia ha reso noto che a febbraio il debito
pubblico è aumentato di altri 17,5 miliardi, raggiungendo il livello
record di 2107,2 miliardi di euro. Soldi – ed è questo il dato più
allarmante - legati soprattutto alla nuova crescita del fabbisogno
delle amministrazioni centrali (in totale 10,7 miliardi di euro in più).
Infatti si è invertita la tendenza, scattata con la riforma del Titolo
V, che vede la spesa degli enti locali crescere più del dovuto. Ora la
provincia si mostra più virtuosa, mentre a correre è quella delle
amministrazioni centrali. Infatti se il debito di queste ultime è
aumentato di 19,0 miliardi, quello della periferia è diminuito di 1,5
miliardi. Sostanzialmente invariato quello degli enti previdenziali. source