Matteo Renzi rivela il suo vero
volto di conservatore retrogrado e liberista: il PD continua ad essere il
partito delle tasse. Per allentare il cuneo fiscale sulle aziende si tassa il
piccolo risparmio. Vergogna.
Nonostante le smentite di Palazzo
Chigi all’intervista del sottosegretario Graziano Del Rio sull’aumento della
tassazione sulle rendite finanziarie, in particolare, sui titoli di
stato, la macchina della stangata si sarebbe messa in moto a Via XX Settembre,
dove il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, stima in 2,98 miliardi di
euro il gettito per lo stato, derivante da un aumento dell’aliquota dal 12,50%
al 20% sugli interessi di BoT e BTp.
Rendite
finanziarie e taglio cuneo fiscale
Il provvedimento era stato invocato
dal responsabile economico del PD, Filippo Taddei, il quale continua a ribadire
che chi risparmia, lavora, per cui al netto dovrebbe beneficiare del taglio al cuneo
fiscale, previsto per 10 miliardi di euro. Infatti, i 3 miliardi del
maggiore gettito sulle rendite andrebbe a finanziare il taglio delle imposte
sul lavoro. I restanti 7 miliardi arriverebbero dalla “spending review”
affidata dal governo Letta a Carlo Cottarelli.
Le critiche
alla stangata
Non sono servite, quindi, le
critiche arrivate dal responsabile per il debito pubblico, Maria Cannata, alto
dirigente del Tesoro, che la scorsa settimana ha avvertito sui rischi che un
aumento della tassazione avrebbe sulla domanda di titoli di stato, nonché sul
fatto che a pagare sarebbero i “nettisti”, ossia i piccoli risparmiatori, visto
che i “lordisti”, ossia le banche e i fondi, sottopongono gli interessi
maturati su BoT e BTp a diversa tassazione.
E con rendimenti ai minimi da molti
anni, il rischio per il piccolo risparmiatore è che la stangata annulli in
molti casi quel guadagno risibile ormai ottenibile sui titoli a medio-lunga
scadenza. Si pensi, ad esempio, che in questi giorni un BTp a 10 anni rende
meno del 3,5%. Un fatto eccezionalmente positivo per le casse statali, ma che
implica una limitazione notevole dell’attesa di guadagno da parte dei
risparmiatori.
Per non parlare del fatto che
bisogna investire in titoli almeno biennali per ottenere un rendimento reale
positivo, ossia al netto dell’inflazione.
Un esempio
In termini reali, la maggiore
tassazione potrebbe intaccare l’investimento. Facciamo un esempio: chi investe
in un BTp 10 anni, ottiene un rendimento annuo oggi del 3,5%. Calcolando
che l’inflazione-obiettivo della BCE è al 2% annuo – sebbene oggi si aggiri in
Italia appena allo 0,5% – il rendimento lordo reale sarebbe di appena
l’1,5%. Ma sul 3,5% maturato, dovremmo togliere lo 0,7% in tasse (ipotizzando
nulle le commissioni). Resta un margine di solo lo 0,8% annuo. Da ciò
dovremmo sottrarre ancora lo 0,2% dell’imposta di bollo sul conto titoli. Resta
un magro 0,6%. E se ci spostiamo su scadenze più brevi, che rendono di meno, il
rischio concreto è che l’investimento non sia neppure compensato.
Giuseppe Timpone per Investireoggi