mercoledì 12 marzo 2014

COSA SIGNIFICA TASSARE LE RENDITE FINANZIARIE (a proposito dei miracoli del Fonzie dei poveri)



Il bullo di Pontassieve ha deciso il taglio dell’IRPEF dal prossimo maggio, con uno sgravio fiscale equivalente a circa ottanta euro al mese per alcune fasce di reddito. Anzitutto non si può fare a  meno di constatare che un simile provvedimento, isolato ed equivalente ad una pizza, una birra ed un pieno di benzina, se non inserito in un ben più vasto programma di sviluppo industriale ed imprenditoriale non serve a nulla ed assume le caratteristiche dell’iniziativa demagogica e propagandistica in previsione delle elezioni europee (ricordiamo che il governo Fonzie nasce con il peccato originale dell’intrigo di palazzo in luogo del suffragio popolare.) Se non si interviene con riforme strutturali destinate a creare occupazione attraverso investimenti pubblici e privati, non si va da nessuna parte e si ricorre ancora una volta, come sempre in questo paese, a provvedimenti tampone. Di contro, in tema di coperture finanziarie, Fonzie si è ispirato alla spending review di Cottarelli, e ha pensato, con un geniale colpo di fulmine, di istituire alla chetichella una bella patrimoniale. Le rendite finanziarie passano da una tassazione del 20% (erano al 12,5% prima del governo Monti), al 26%. La notizia è passata in sordina, ne ha parlato praticamente solo Il sole 24 ore, ma è una notizia sulla quale spendere una riflessione, se non altro per comprendere fino a che punto arriva l’ipocrisia e l’impreparazione sostanziale del bullo di Pontassieve. Quando il grande pubblico sente parlare di “rendite finanziarie” pensa a qualcosa di estraneo, di altro da sé, roba da ricchi, grandi capitali investiti da professionisti della finanza ecc. Niente di più sbagliato. Per “rendite finanziarie” Fonzie intende il risparmio delle famiglie italiane. Avete letto bene. I grandi capitali sono già da tempo (almeno dal governo Monti) al sicuro nei paradisi fiscali, compresi quello di Fonzie e del suo consigliere economico. Non potendo raggiungere capitali che si trovano materialmente all’estero, si ricorre alla tassazione indiscriminata del risparmio. Il 26% di cui abbiamo parlato viene applicato agli interessi, alle cedole semestrali o annuali, che maturano su qualsiasi capitale investito, di qualunque entità esso sia. Vengono esclusi i titoli di stato. Ma acquistare titoli di stato non conviene più al singolo risparmiatore: gli interessi sono così bassi (fortunatamente) da non coprire neppure l’inflazione. Lasciamoli dunque ai grandi speculatori internazionali e ai fondi hedge stranieri. Il risparmiatore italiano che si ritrovi un capitale modesto, diciamo di 10.000 euro non potrà trasformarli in banconote perché tutti i governi, la Banca d’Italia e tutto il sistema bancario in genere da anni scoraggiano l’utilizzo del contante  a favore della moneta elettronica, di conseguenza non li nasconderà nel proverbiale materasso. Trovandosi nella condizione di investire 10.000 euro qualsiasi banca gli proporrà dunque l’azionario o l’obbligazionario. Se l’istituto di credito emittente è abbastanza solido (Unicredit, Intesa San Paolo) il prodotto che verrà a offerto al nostro risparmiatore avrà le caratteristiche di un discreto rendimento a fronte di una bassa rischiosità. Ma 10.000 euro investiti in obbligazioni Unicredit, tanto per fare un esempio, renderanno più di un quarto di meno rispetto al 2010. Sulla cedola semestrale o annuale che matura sui 10.000 euro investiti il nostro risparmiatore dovrà consegnarne il 26% all’erario. Questo non significa sottrarre risorse ai cittadini? Si vuole scoraggiare il risparmio per incentivare i consumi e far correre il rischio alle famiglie italiane di ritrovarsi in brache di tela in caso di un imprevisto, di una impellente necessità? Tassare le rendite finanziarie ha senso solo nel caso in cui si tratti di una tassazione progressiva a partire da un tetto minimo, diciamo di 500.000 o di 1 milione di euro. Se la tassazione del 26% colpisce tutte le rendite finanziarie, se vogliamo  chiamare le cose con il loro nome,  si tassa il risparmio, non le rendite che hanno preso il volo verso  lidi più accoglienti.  Per non parlare della IUC, la tassa onnicomprensiva che quando arriverà, a giugno, ci farà amaramente rimpiangere l’IMU. Si tratta della solita partita di giro, del consueto gioco delle tre carte, ti danno con la destra, ti tolgono con a sinistra. Lasci perdere la demagogia da quattro soldi o i facili proclami: il bullo di Pontassieve ha tagliato l’IRPEF ma ha tassato il risparmio, anche quello di chi con fatica e privazioni sanguinose è riuscito in questi tempi bui a mettere da parte qualcosa per i tempi ancora più duri che, statene certi, non tarderanno ad arrivare.

Facciamo un esempio concreto:

Esempio: un deposito bancario da 100.000 euro, con rendimento annuo lordo del 2%.
  • Reddito da interesse (la “rendita pura”): euro 2.000;
  • Ritenuta d’imposta 26%: euro 520;
  • Imposta di bollo 2 per mille: euro 200;
  • Totale prelievo: euro 720;
  • Pressione fiscale totale sul reddito da capitale prodotto dal deposito: 720/2000 = 36%