Il problema numero uno di questi
anni in Italia è stato il debito pubblico. La favola che da sempre si racconta
è che la politica spendacciona e sprecona sperpera il denaro proveniente dalle
tasse spendendo più soldi di quanto incassa e generando così un enorme debito
pubblico.
Che vi siano enormi sprechi nella
pubblica amministrazione non vi è dubbio, ma la storia sul debito pubblico che
ci hanno raccontato per anni manca di un elemento determinante comprendendo il
quale si potrebbe anche capire la soluzione più immediata. Ma andiamo con
ordine.
In primo luogo è necessario sapere
che da oltre 20 anni lo Stato spende per beni e servizi da restituire ai
cittadini e per la gestione della macchina pubblica (compresi tutti gli sprechi
possibili ed immaginabili) meno delle tasse che incassa (con l'eccezione
di un paio di anni).
Se è così, come mai il debito
pubblico continua ad aumentare? Semplicemente a causa degli interessi sul
debito. Sono decenni che facciamo debiti per pagare interessi!
In pratica, sono decenni che lo
Stato drena risorse dall'economia reale per gettarle nelle rendite finanziarie.
Sia chiaro, una parte degli interessi che lo Stato paga sul debito pubblico
vanno in tasca a cittadini che hanno risparmiato e che magari integrano i loro
redditi per mantenere un tenore di vita accettabile, ma la parte maggiore di
queste risorse se ne vanno all'estero o ad alimentare rendite del tutto
improduttive. Questo è ciò che è successo negli ultimi 20 anni.
E' necessario quindi ribadire ciò
che solitamente non viene raccontato quando si parla di debito pubblico, la
causa principale del debito pubblico sono gli interessi. Se non vi fossero
stati interessi (o almeno non così alti) il debito pubblico oggi non
esisterebbe.
Se confrontiamo quanto l'Italia
spende per sanità, istruzione, giustizia, difesa, ecc. rispetto a quanto
spendono le altre nazioni a noi paragonabili, vediamo che l'Italia ha delle
spese del tutto in linea, ed anzi spesso leggermente inferiori, alle altre nazioni.
Per l'istruzione, ad esempio, l'Italia spende mediamente poco meno del 10% del totale delle spese quando la media complessiva è intorno al 12%. Sulla sanità la spesa è intorno al 14% e la media è superiore al 15%. Sulla protezione sociale (le pensioni) la media è intorno al 17% e noi siamo intorno al 18%. Ci sono senza dubbio degli sprechi nella sanità, nella giustizia, nella difesa, ecc. Probabilmente ci saranno anche molti soldi spesi male. Questi sprechi e queste cattive decisioni di spesa, però, non sono la causa del debito pubblico, saranno eventualmente la causa di cattivi servizi che il cittadino riceve, ma non del debito pubblico. L'unica spesa (eccetto gli interessi che vedremo dopo e che sono la chiave di soluzione del problema) che è eccessiva in rapporto alle altre nazioni riguarda quella per l'amministrazione generale. Qui ci sarebbero spazi molto significativi di riduzione ma significherebbe licenziare centinaia di migliaia di persone che sostanzialmente non fanno niente di produttivo.
Per l'istruzione, ad esempio, l'Italia spende mediamente poco meno del 10% del totale delle spese quando la media complessiva è intorno al 12%. Sulla sanità la spesa è intorno al 14% e la media è superiore al 15%. Sulla protezione sociale (le pensioni) la media è intorno al 17% e noi siamo intorno al 18%. Ci sono senza dubbio degli sprechi nella sanità, nella giustizia, nella difesa, ecc. Probabilmente ci saranno anche molti soldi spesi male. Questi sprechi e queste cattive decisioni di spesa, però, non sono la causa del debito pubblico, saranno eventualmente la causa di cattivi servizi che il cittadino riceve, ma non del debito pubblico. L'unica spesa (eccetto gli interessi che vedremo dopo e che sono la chiave di soluzione del problema) che è eccessiva in rapporto alle altre nazioni riguarda quella per l'amministrazione generale. Qui ci sarebbero spazi molto significativi di riduzione ma significherebbe licenziare centinaia di migliaia di persone che sostanzialmente non fanno niente di produttivo.
La vera differenza significativa fra
l'Italia e le altre nazioni, sulla quale si può operare immediatamente senza
drammi sociali, risiede nella spesa per interessi. Nel medio termine è ovvio
che bisogna anche mettere mano alla spesa per l'amministrazione generale dello
Stato, ma in un contesto economico decisamente migliore di quello attuale. Per
rendersi conto di questo aspetto vediamo nella tabella seguente la spesa per
interessi dell'Italia in rapporto alle altre nazioni nel periodo 1990-2009.
cliccare sull'immagine per ingrandirla |
Si può vedere come, mediamente,
l'Italia abbia speso circa il doppio delle altre nazioni. Negli ultimi 5
anni la situazione è decisamente peggiorata.
Nel bilancio del 2012 l'Italia ha avuto entrate (cioè
le tasse che ha riscosso dai cittadini) per circa 500 miliardi di euro (per la
precisione 498.746 milioni di euro). Ha speso per investimenti o servizi alla
collettività (sanità, difesa, servizi di polizia, giustizia, istruzione,
pensioni, ecc.) e per l'amministrazione della macchina pubblica circa 420
miliardi. Ciò nonostante le spese complessive sono state di 510 miliardi di
euro, 10 miliardi più di quello che ha incassato (aumentando quindi il debito
pubblico) a causa dei circa 90 miliardi di interessi.
In queste settimane il dibattito
pubblico si è arrovellato per trovare un miliardo per bloccare l'aumento
dell'IVA o per i famosi 4 miliardi per l'IMU sulla prima casa quando spendiamo
circa 90 miliardi in interessi sul debito. Soldi che non sono di nessuna
utilità a nessuno, se non a chi li percepisce per una rendita finanziaria del
tutto improduttiva. Quasi due euro ogni 10 euro di tasse che paghiamo se ne
vanno in interessi! E' una cosa del tutto insostenibile sulla quale è
possibile agire immediatamente semplicemente cambiando le regole del gioco. Perché
non si fa?
Vediamo in primo luogo cosa si
potrebbe fare e poi cerchiamo di capire perché non viene fatto.
Ciò che si dovrebbe fare è tornare
ad utilizzare la Banca Centrale come agente per il collocamento del debito
pubblico per influenzare i tassi d'interesse sia a breve termine che a lungo
termine.
Dovremo smettere di fare decidere ai
mercati finanziari i tassi d'interesse sul debito pubblico e regolarli in base
alle necessità macroeconomiche. Contrariamente a quello che molti pensano
questo non è solo giusto, ma è anche possibilissimo.
Si dovrebbe stabilire una regola,
ovviamente modificando i trattati istitutivi della BCE, in base alla quale le
singole banche centrali nazionali possano detenere fino ad un massimo del 60%
del PIL di debito pubblico e che possono acquistarlo anche in emissione (nel
così detto mercato primario) a condizione che gli ultimi tre bilanci, compreso
il previsionale, presentino un avanzo primario (cioè minori uscite rispetto
alle entrate ad eccezioni di quelle per interessi).
Si noti bene che questa regola non
incentiverebbe il così detto “azzardo morale” molto temuto dai tedeschi.
Lo Stato non potrebbe "spendere allegramente perché tanto c'è la banca
centrale che compra il debito" poiché la banca centrale potrebbe farlo
solo se le spese sono inferiori alle entrate, salvo per interessi.
Con questa semplice regola l'Italia
potrebbe emettere una serie di obbligazioni a lungo termine con un tasso
estremamente basso (ad esempio l'1%) e la Banca d'Italia potrebbe acquistarli
(il sistema delle Banche Centrali non ha problemi di soldi perché li crea).
Con i soldi della Banca d'Italia lo
Stato ricompra il debito pubblico e lo annulla (mediamente, attualmente il
tasso sul debito pubblico oscilla tra il 4,5%-5%). Il debito complessivo,
quindi, non cambia, ma il costo per interessi si riduce drasticamente.
La riduzione dei costi per
interessi, per altro, rende ancora più sostenibile il debito pubblico e
giustifica la riduzione del tasso d'interesse in un circolo virtuoso.
Ovviamente questo processo dovrebbe
essere graduale, in più anni, non si può sostituire tutto il debito pubblico di
colpo per molte ragioni che non è il caso in questa sede di illustrare.
Nell'arco di 5 anni il costo per interessi può essere portato, in questo modo a circa 40 miliardi, se non meno. Ciò significa che l'Italia si troverebbe, a parità di tassazione, con un disavanzo di circa 30 miliardi metà del quale potrebbe essere utilizzato per abbattere il debito pubblico e metà per ridurre le tasse. Con 15 miliardi di riduzione strutturale delle tasse si potrebbe ridurre significativamente il cuneo fiscale (cioè la differenza fra il costo del lavoro ed i soldi che vanno in tasca ai lavoratori) aumentando significativamente la competitività. Il solo annuncio di un programma del genere ridurrebbe lo spread di almeno 100 punti e la sua realizzazione tenderebbe a riportarlo ai livelli precedenti allo scoppio della crisi del debito. La diminuzione dei rendimenti dei titoli di Stato porterebbe grandissimi vantaggi all'economia. In primo luogo genererebbe enormi plusvalenze dei bilanci delle banche italiane piene di titoli di Stato. Renderebbe molto meno costoso per le banche finanziarsi e quindi renderebbe l'accesso al credito più facile ed economico.
Nell'arco di 5 anni il costo per interessi può essere portato, in questo modo a circa 40 miliardi, se non meno. Ciò significa che l'Italia si troverebbe, a parità di tassazione, con un disavanzo di circa 30 miliardi metà del quale potrebbe essere utilizzato per abbattere il debito pubblico e metà per ridurre le tasse. Con 15 miliardi di riduzione strutturale delle tasse si potrebbe ridurre significativamente il cuneo fiscale (cioè la differenza fra il costo del lavoro ed i soldi che vanno in tasca ai lavoratori) aumentando significativamente la competitività. Il solo annuncio di un programma del genere ridurrebbe lo spread di almeno 100 punti e la sua realizzazione tenderebbe a riportarlo ai livelli precedenti allo scoppio della crisi del debito. La diminuzione dei rendimenti dei titoli di Stato porterebbe grandissimi vantaggi all'economia. In primo luogo genererebbe enormi plusvalenze dei bilanci delle banche italiane piene di titoli di Stato. Renderebbe molto meno costoso per le banche finanziarsi e quindi renderebbe l'accesso al credito più facile ed economico.
Perché non si applica una modifica
del trattato istitutivo della BCE di questo genere? La causa principale va
ricercata in un dogma. Si ritiene che l'unico obiettivo della Banca Centrale
debba essere quello di combattere l'inflazione e che l'immissione di denaro
debba sempre implicare inflazione. Entrambi gli assunti sono sbagliati. Le
banche centrale più importanti del mondo hanno sia l'obiettivo di tenere l'inflazione
sotto controllo, sia quello di stimolare l'economia verso la piena occupazione.
Gli enormi programmi di immissione di denaro pubblico fatti recentemente dalla
riserva federale USA (ma anche in Giappone e nel Regno Unito), hanno dimostrato
che immettendo anche enormi quantità di liquidità nel sistema finanziario si
genera certamente inflazione degli asseti finanziari (cioè aumentano i prezzi
di azioni e obbligazioni), ma non necessariamente si crea inflazione sui prezzi
dei beni fisici.
Allo stesso modo, se la Banca
d'Italia acquistasse dei BTP all'1% e lo Stato, con questi soldi, acquistasse
BTP sul mercato, i soldi immessi sul mercato finirebbero per acquistare altri
titoli finanziari aumentato i prezzi delle azioni e delle obbligazioni, ma
difficilmente genererebbero inflazione in senso tradizionale.
Bisogna considerare, poi, che un po'
d'inflazione, fra il 2% ed il 4% è più che auspicabile nella situazione di
pesante debito nella quale si trova tutto il sistema europeo (l'Italia è in una
situazione drammatica per il debito pubblico, ma un po' tutte le nazioni
europee sono con debiti pubblici eccessivi e debiti privati ancora più
eccessivi). Se la zona euro si trovasse in una situazione di tassi reali
negativi per qualche anno (cioè un'inflazione sul 3/4% e tassi sul debito
pubblico inferiori) questo farebbe diminuire significativamente i debiti.
Purtroppo in Germania quando si parla di inflazione, le argomentazioni
razionali smettono di essere valide perché entrano in campo gli aspetti
psicologici ed emotivi. Parlare di inflazione in Germania è come parlare di
licenziare gli statali in Italia. E' un tabù. Non se ne può neppure parlare.
Eppure la soluzione al debito
pubblico italiano sarebbe alla nostra portata. Ho l'immeritato privilegio di
godere dell'amicizia di alcuni economisti molto competenti ai quali ho fatto
presente, in modo più articolato, i numeri ed i ragionamenti espressi in questo
articolo. Nessuno di loro mi ha presentato problemi di fattibilità. L'unica
“obiezione” è stata: non si farà mai perché la Germania non permetterà mai che
le singole banche centrali nazionali acquistino in emissione il debito
pubblico.
Non sarebbe, allora, il caso di
farne una questione politica centrale a livello europeo?
Non sarebbe il caso che le forze
politiche in Italia parlassero di questo invece di rincorrere un miliardo per
evitare l'aumento dell'Iva?
Alessandro Pedone per ADUC