giovedì 17 ottobre 2013

BUROCRAZIA ITALIANA: UN GIORNO DI ORDINARIA FOLLIA



Ad un contribuente, un imprenditore per la precisione, arriva un avviso bonario da parte dell’AGENZIA DELLA ENTRATE.
Nel documento, l’amministrazione finanziaria rivendica 1200 euro circa di tributi, presumibilmente, a loro dire, non versati.
Ma nulla è dovuto dal contribuente, poiché egli ha già adempiuto all’obbligazione tributaria, avvalendosi dell’istituto del ravvedimento operoso, che consente di sanare omessi versamenti di imposta entro un determinato periodo temporale, pagando anche la sanzione e gli interessi dovuti.
Quindi, il contribuente, raccoglie tutta la documentazione attestante il versamento effettuato e si reca all’Agenzia delle Entrate per ottenere lo sgravio delle somme indebitamente rivendicate. Chiaramente, il contribuente, per fare ciò, si deve assentare dalla sua impresa, con ovvie ricadute economiche sul lavoro da lui stesso svolto, e sulla produttività aziendale.
Arriva all’Agenzia delle entrate, prende il numero per accedere allo sportello e si mette in coda. Passano un paio d’ore e arriva il suo turno. Si accomoda davanti all’addetto, tira fuori il malloppo di carte, e spiega all’operatore le ragione per le quali la pretesa del fisco è infondata.
L’operatore accoglie l’istanza e si mette a smanettare alla procedura informatica che consente di annullare l’avviso.
I minuti corrono, e al contribuente ne sono riservati solo 20. Trascorsi questi minuti, il contribuente, ottenuto o meno lo sgravio, deve lasciare lo sportello e fare spazio a chi è dopo di lui. Ad un certo punto, l’operatore dell’Agenzia delle Entrate, commette un errore e la procedura si blocca: deve riavviare il sistema.
Passano altri minuti, la procedura riparte, si ricomincia da capo. Ad un certo ponto, l’operatore  si accorge che nel ravvedimento mancano 85 CENTESIMI DI EURO di interessi: una banalità che, a loro dire, non consente di ottenere lo sgravio totale dell’avviso. Finiscono i minuti. Il contribuente deve lasciare lo sportello, e deve farlo senza aver ottenuto lo sgravio.
Quindi dovrà recarsi nuovamente allo sportello dell’Agenzia, rifare la coda, ripresentare le carte, ottenere lo sgravio parziale dell’avviso e poi versare gli 85 centesimi rivendicati dal fisco per gli interessi, a loro dire, omessi. Altro tempo perso da parte del contribuente, ulteriori ricadute economiche patite dalla sua azienda, minore produttività, altre carte stampate dall’Agenzia delle Entrate, altro tempo sprecato da parte dell’operatore che lavora allo sportello. Il tutto per ottenere il pagamento di 85 centesimi di euro.
Ma quanto è costato allo Stato, ossia al contribuente italiano, recuperare una somma così banale? In italia, ogni giorno, si verificano centinaia di migliaia – o forse, milioni- di situazioni analoghe, con danni erariali ed economici inestimabili. E accadono non solo nel perimetro dei rapporti con l’Agenzia delle Entrate, ma in tutta (e dico tutta) la pubblica amministrazione.
Nessuno vuole omettere il pagamento delle tasse, e men che meno di 85 centesimi di euro dovuti al fisco. Ma forse sarebbe il caso che lo stato riformi se stesso, al fine di essere meno IDIOTA e meno distruttivo, sia con i contribuenti che con se stesso.
Altrimenti, non potremmo mai dire che il DEFAULT NON CE LO SIAMO MERITATI
Paolo Cardenà per Finanzanostop

SECONDO CASO

La notizia ha dell’incredibile, soprattutto in tempi di spending review.
Qualche giorno fa un pensionato di Riccione si è visto recapitare bella raccomandata con tanto di ricevuta di ritorno spedita dalla sede centrale dell’Inps.
Dopo aver letto le prime righe il pensionato ha chiesto aiuto al figlio pensando di aver capito male il contenuto della lettera.
E invece no, è tutto chiaro: “Gentile signore, dai nostri controlli risulta che nel periodo 1 gennaio 1996-31 dicembre 2000 l'ammontare dei redditi personali da lei percepiti è stato superiore ai limiti della legge 335 del 1995 e quindi secondo i conteggi effettuati dal nostro centro elaborazione dati lei è debitore nei confronti dell’Inps di euro 0,01"
Giusto per metterla sul ridere il figlio avrebbe già dichiarato che intende chiedere la rateizzazione !
Ma, al di là del sarcasmo che la vicenda suscita, la domanda da porsi è piuttosto seria: quanto è costato accertare il debito del pensionato romagnolo ?
E’ pur vero che l’importo del debito si può conoscere solo ad accertamento effettuato, ma poiché il controllo viene certamente effettuato da un programma automatizzato e non da impiegati in carne ed ossa, per quale motivo il software non è predisposto per escludere dalla richiesta di pagamento le somme inferiori ad un certo tetto ?
Tralasciamo il costo dell’accertamento, ma non sarebbe possibile in questi casi evitare almeno le spese di notifica ? D’altronde in sede di dichiarazione dei redditi a fine anno, se il debito o il credito del contribuente è inferiore ad una certa somma, nulla è dovuto da entrambe le parti.
E perché mai l’Inps si comporta diversamente ? Ma l’Inps funziona con denaro pubblico o è un’azienda privata libera di decidere come usa i propri soldi ?
In tempi in cui si tagliano persino le pensioni più basse, è davvero sgradevole venire a sapere che le Pubbliche amministrazioni non si preoccupano di risparmiare neppure sulle cose più evidenti.

Fonte: La Tecnica della scuola