Uno dei peggiori vizi che
contraddistingue il nostro paese è quello di parlare per ore senza dire un bel
nulla. Si tratta di un vizio che ci deriva principalmente dalla televisione,
sempre più un recipiente senza contenuto; i programmi pomeridiani, quelli di
“intrattenimento” ne sono un fulgido esempio. Da qualche tempo è di moda la
cronaca nera: e dai a parlare per ore di Roberta Ragusa, Melania Rea, Yara
Gambirasio, Sarah Scazzi, e, ultimamente , della piccola Celentano. Si spacca
il capello in quattro convinti di aver trovato il particolare rivelatore di
chissà quale verità nascosta, per poi concludere che si è parlato per tre ore
di una inezia che non sposta le indagini di un millimetro. Il parlare senza
dire è una caratteristica fondante della nostra classe politica, quante volte
abbiamo assistito ai vaniloqui di qualche politicante che cercava, senza
neppure impegnarsi troppo, di trasmettere dei concetti inesistenti? In questo
paese il linguaggio non è mai connotativo, denotativo, si parla sempre per metafore,
per addolcire una pillola che risulterebbe altrimenti assai indigesta. I
disabili sono “diversamente abili”, le manovre finanziarie sono “spending
review” o “legge di stabilità”, anche se poi si tratta dei soliti tagli e nuove
imposizioni fiscali. Recentemente il ministro della sanità ha avuto la faccia
tosta di affermare, con un lungo giro inconcludente di parole, che il taglio
dei posti letti ospedalieri non è una privazione, una sottrazione di risorse a
disposizione dei cittadini, ma un arricchimento dell’offerta sanitaria, così
più “razionalizzata”. Già, razionalizzata. Quando un lavoratore sente questa
parola tocca istintivamente ferro: sa che sono in arrivo i soliti tagli del personale. Il
buonismo ipocrita e insulso è imperante: si parla di buoni sentimenti, si
affoga in un mare di melassa zuccherosa, si parla di generosità degli italiani
che non si sono mai tirati indietro quando si tratta di aiutare la ricerca
sulle cause e la cura del raffreddore. Si chiedono continuamente soldi ai
cittadini per colmare le voragini che lascia aperte uno Stato sempre più
latitante. Nessuno vi viene a raccontare che, grazie alle politiche rigoriste
tutte sacrifici e austerità della Germania, lo stato sociale sta per finire, e
l’Europa sta imboccando la strada degli USA, proprio quando gli Stati Uniti
fanno il percorso inverso. La sanità pubblica sarà sempre più bersagliata per
far posto a quella privata, la scuola pubblica cade in pezzi, ma i politicanti
di turno, per pura propaganda personale, vi parlano di “agenda digitale”, ogni
studente avrà tablet e e-book, mentre il soffitto gli crolla sul capo. Prima o
poi le scuole italiane saranno trasformate in fondazioni, se ne parla
allusivamente da anni, anticamera della privatizzazione. E così la sanità: lo Stato
non può reggere un sistema sanitario nazionale uguale per tutti, italiani e
stranieri, magari clandestini. Al pronto soccorso, per il momento, nessuno vi
chiede i documenti o il permesso di soggiorno, sarete trattati alla stessa stregua
di un marocchino clandestino. E questo, prima o poi, con il debito pubblico che
ci pesa sulla schiena, non può durare. Ma non troverete mai alcun politico o
commentatore che vi dica: cari signori, il sistema sanitario è un buco nero che
non possiamo continuare a colmare con le tasse pagate dai cittadini. Dobbiamo
creare un sistema a due velocità: uno che veda la partecipazione economica del
cittadino, per chi se lo può permettere, l’altro che garantisca i servizi
essenziali per chi non può partecipare alla spesa. E’ triste, non lo nego, ma è
così. E non mi si venga a dire che la Merkel e i tedeschi hanno sbagliato
tutto, come sta facendo quel pallone gonfiato dell’economista Krugman: i
sacrifici che la Germania richiede ai paesi latini, li ha diluiti nel corso di
qualche decennio, come la formica rispetto alla cicala italiana, spagnola e
portoghese. Prima le riforma strutturali, il rigore della spesa pubblica per
ridurre il deficit, poi si può pensare ai provvedimenti che stimolino crescita
e sviluppo economico, ma non esiste sviluppo con uno squilibrio così accentuato
come il nostro rapporto debito/PIL. Sia come sia, noi italiani amiamo
smisuratamente il linguaggio politicamente corretto, la lingua ripulita degli
americani. Straniero è una brutta parola , meglio “extracomunitario” (anche uno
svizzero è un extracomunitario), qualcuno aveva pensato persino a “non italofoni”.
Siamo molto attenti al linguaggio, ma la cittadinanza italiana agli stranieri
che risiedono da molti anni nel nostro paese non la vogliamo concedere, ci
stracciamo le vesti davanti alle sofferenze degli ammalati, invochiamo la pietà
di Dio e non esercitiamo la nostra: di eutanasia non se ne può neppure parlare,
abbiamo il Vaticano in casa, non sia mai detto. E la chiesa di Roma ha deciso
di farci soffrire fino all’ultimo respiro, per un meraviglioso senso di pietà
cristiana. Non parliamo poi dell’altissimo tasso zuccherino che si mette in campo
quando si parla di beneficenza: con un solo euro possiamo salvare la vita di
decine di persone ecc. Ma la verità, ancora una volta non ce la racconta
nessuno. Le organizzazione “no profit” o ”onlus” devono mantenere un apparato
amministrativo ed organizzativo tale che una sola parte dei nostri denari
prende veramente la strada giusta. La ricerca scientifica poi, e un’altra favola.
Sono le multinazionali farmaceutiche che fanno il 90% della ricerca, sono loro
a scoprire i nuovi farmaci, non la ricerca pubblica, che è del tutto marginale.
La case farmaceutiche scoprono un nuovo principio attivo che, una volta
autorizzata la commercializzazione, faranno pagare a caro prezzo ai pazienti
che ne hanno bisogno, attraverso il sistema dei brevetti. Fortunatamente esiste
internet. Anche se accessibile a tutti, anche agli asini, è uno strumento che,
sapendolo utilizzare a dovere, fornisce informazioni non ipocrite e al netto
della solita retorica televisiva. E’ uno strumento prezioso, occorre sapersi
orizzontare e scegliere i siti giusti, ma una volta compiuta questa doverosa
cernita, cerchiamo sempre di reperire notizie sulla rete e facciamo la tara a
quello che ci raccontano i telegiornali.