domenica 31 ottobre 2010

UN CASO CLINICO (Psicopatologia di un ex leader)

Le ultime, amarissime, notizie che ci riserva la cronaca ci obbligano ad una pausa di riflessione e, all’occorrenza, a tentare una analisi del premier che vada al di là della consueta lagnanza circa le disdicevoli abitudini personali dell’uomo, la inopportunità di certe frequentazioni, la paralisi legislativa conseguente alla condotta del presidente. Vediamo se è possibile il tentativo di comprendere qualcosa di più dell’uomo Silvio Berlusconi, tralasciando le ovvie implicazioni politiche, naturalmente più che negative. Dalle vicende di Palazzo Grazioli, con l’andirivieni di escort prezzolate per animare i festini rosa del leader e i suoi accoliti, alla storia mai chiarita con la spregiudicata Noemi, all’attuale, scoraggiante, liason con la marocchina Ruby, fatta passare per nipote di Mubarak (leader peraltro dell’Egitto) e cavata fuori dai guai da un Berlusconi sempre più sbilanciato sulle fanciulle in fiore. Presupponendo che sia un compito arduo scandagliare la mente di chicchessia, ci appare però altrettanto lecito operare un tentativo di ipotesi di patologia di tipo mentale nel caso di un capo di governo che mostra, allo stato attuale, qualche problema di tipo psichico. Tralasciando le facili, pur verissime, battute del solito Di Pietro (“che cosa deve ancora fare questo satrapo per farlo allontanare dal governo?”) prenderemo le mosse dalla separazione con la moglie Veronica Lario. Le dichiarazioni di quest’ultima, prescindendo dalle dinamiche familiari che non ci interessano in questa sede, rivelano il profilo di una persona “malata” (sic!) con una pericolosa inclinazione per le ragazzine o, in generale, per le frequentazioni postribolari. A questo si aggiunga un profondo disprezzo per la donna, vissuta come oggetto di piacere, giudicata solo attraverso gli elementi del’età e dell’aspetto fisico, utilizzata a livello politico come ornamento docilmente arrendevole ai piani del suo pigmalione. Le successive disavventure del premier non fanno che confermare la pur sommaria diagnosi della Sig.ra Lario. Le storie dei festini a base di escort come la D’Addario (altro personaggio dal singolare squallore), la misterioso vicenda Noemi, e quest’ultima pochade con la marocchina Ruby, nota prostituta e ladra, non sono che il corollario di una personalità disturbata e a alla deriva. L’obiezione più consueta che viene mossa dai colleghi di partito di Berlusconi – sono fatti suoi, non ci riguardano -  è totalmente risibile e inconsistente. A parte che un uomo politico che fa il presidente del consiglio, seppure in una repubblica delle banane, non può prestare il fianco a ricatti che è facile associare ad analoghi fatti che coinvolsero, per esempio, Lapo Elkann o Piero Marrazzo, appare  sin troppo evidente che un uomo politico di primo piano, senza scomodare la pruderie cattolica, è tenuto, per questioni di pubblica decenza, a mantenere un contegno non dico austero, me certamente trasparente. Le obiezioni berlusconiane “Io aiuto tutti, sono di buon cuore, amo le donne, mi piace vivere così ecc.” non sono solo puerili, sono indicative di una personalità turbata, di una perdita di senso e di contatto con la realtà.
Oltre all’aspetto che interessa la vita privata, ma anche pubblica, purtroppo, del premier, ci sono alcune caratteristiche della vita politica di Berlusconi che destano non poche perplessità. Senza entrare nel merito delle scelte politiche, che non interessano in questa sede, c’è un desiderio di comando assoluto, di conduzione del partito secondo criteri aziendalistici, la preoccupazione non già di predisporre un delfino, un esponente al quale lasciare il testimone, ma viceversa la convinzione della propria sostanziale “insostituibilità”, del fatto che nessuno sia in grado di raccogliere la sua eredità, una sorta di “dopo di me, il diluvio”. L’economia stessa del partito, il suo grottesco statuto, che sostiene, tra l’altro, che i dirigenti locali sono eletti dai delegati, ma possono essere modificati o annullati da Berlusconi stesso, a suo insindacabile giudizio, tutto va nella direzione del tentativo di creazione del mito del “lider maximo”. Il dittatore eterno della Corea del Nord, padre di quello attuale, il caso di Castro a Cuba, sopravissuto a se stesso e ridotto ormai ad una specie di simulacro, costituiscono esempi analoghi. Il Parlamento vissuto come una inutile pastoia, un intralcio al lavoro del capo, che ha già nella sua mente il disegno finale, le tanto celebrate “leggi ad personam”, siano esse processo breve, legittimo impedimento, immunità retroattiva e quant’altro, tutto concorre alla generazione di un uomo-mito, al di sopra delle leggi e delle consuetudini di questo mondo, al di là della giustizia terrena, del bene e del male, verrebbe da dire, secondo uno dei motti del ventennio “Dopo Dio viene Lui”. Ed in effetti le personalità di Mussolini e di Berlusconi presentano non poche analogie. Almeno, peraltro, Mussolini non si circondava di nani e ballerine, soprattutto non affidava loro incarichi di governo. Ma per tornare alla nostra disamina, un altro elemento che riteniamo sia bene sottolineare è la perfetta buona fede dell’uomo. Con questo intendiamo che Berlusconi non sia pienamente consapevole dello spaventoso, macroscopico conflitto di interessi di cui è protagonista (l’uomo più ricco d’Italia ne è anche il leader politico, la maggior parte dei media sono nelle sue mani o della sua famiglia, roba da repubblica africana), ne sembra anzi sinceramente stupefatto, mostra un genuino e disarmante candore quando qualcuno gli fa notare che una repubblica occidentale non è un sultanato come l’Oman, e che nessuno può permettersi di sentirsi al di sopra delle istituzioni. E’ lo stesso stupore che mostra il bambino quando gli viene sottratto il giocattolo perché è ora di coricarsi, e l’infante vive questa privazione come una solenne ingiustizia. Questa morgana dell’”uomo della Provvidenza”, del salvatore delle sorti del proprio paese segna un altro punto importante nella scia del discorso poc’anzi accennato della perdita di contatto con il mondo reale. Un’ulteriore analogia con il caso di Mussolini è da ricercarsi nella solitudine del leader, voluta o subita. C’è subito da rilevare che nel caso del duce non era presente un’eminenza grigia, un burattinaio del calibro di Gianni Letta, grande mediatore, grande smussature delle asperità e delle intemperanze di Berlusconi, un filtro senza il quale la personalità abnorme del cavaliere dilagherebbe senza più freni. Mussolini, nel suo isolamento, era veramente solo: non si fidava più di nessuno, si abbandonava a soliloqui a tratti deliranti, motivati dalla ripugnante piaggeria dei suoi collaboratori, ridotti a lacchè pronti a dar sempre ragione al duce. Letta spezza questa solitudine del cavaliere, distogliendolo dalla tentazione di circondarsi unicamente di cortigiani buoni solo ad assentire in cambio di posizioni di favore, per se stessi e per i loro cari. In ogni caso,  e nonostante la funzione sedativa di Letta, l’uomo tende ad isolarsi e a ripiegarsi sempre più in se stesso, a circondarsi da una corte di ruffiani e megere funzionali ai suoi gusti sempre più ordinari e grossolani. Ma l’età, certo, non l’aiuta, a 74 anni le emozioni devono essere sempre più forti e stimolanti, e le figure inquietanti di coloro che gli procacciano quello di cui abbisogna si colorano sempre più delle tinte dei lenoni e delle mezzane. Anche in questo caso, come appare chiaro a tutti, la perdita di contatto con la realtà si divarica sempre di più. I lacchè del premier organizzano bagni di folla fasulli, che ricordano da vicino il ricorso alla cartolina rossa di convocazione in piazza Venezia dal cui celebre balcone il duce pronunciava i suoi memorabili discorsi. L’uomo non si cura del fatto che le folle acclamanti sono organizzate e radunate dai suoi cortigiani: gli basta l’illusione del bagno salutare, appare sorridente e quasi benedicente, un deus ex machina venuto dal cielo a salvare la patria dai vampiri del comunismo.
La conclusione rimane, ovviamente aperta, non si pretende certo, in questa sede, di pronunciare una diagnosi che spetterebbe comunque ad un esperto del caso, ma gli elementi radunati in questo quindicennio, sono sufficienti ad abbozzare un giudizio non lontano dalla realtà. Abbiamo visto le analogie, ma anche le differenze con il dittatore del ventennio: è palese la componente populista del cavaliere, il facile accostamento al peronismo, dal quale lo distanziano, parimenti, le continue cadute di livello, di costume, gli invischiamenti in scandali con squallide sciacquette di provincia, l’immobilismo politico. Approfondendo per un attimo quest’ultima componente, inizia a trapelare l’elemento depressivo del cavaliere, proprio di questi ultimi tempi. Il continuo scivolamento nelle note meschine vicende sessuali, il totale immobilismo del ministro dell’Economia (in realtà ministro del Bilancio, dal momento che ha deciso la politica attendistica di chi aspetta che passi la nottata), il freddo distacco della Lega, che lo considera al massimo un “utile idiota”, mal celando un profondo disprezzo, utilizzandolo strumentalmente e unicamente per il perseguimento dei propri fini secessionistici, la sensazione sempre più netta che molti di coloro che ha miracolato gli voltano le spalle, gli mostrano ingratitudine, la spaccatura profonda e insanabile con il gruppo dei finiani, da lui vissuto non, realisticamente, come un sussulto d’orgoglio da parte di uomini politici che si sono stancati di non governare il paese per seguitare ad impegnare il Parlamento per le sue questioni personali, ma, viceversa, come l’alto tradimento di ex compagni di strada che non lo hanno capito e si sono fatti abbacinare dalle sirene del comunismo, hanno inquinato i loro fluidi vitali con i veleni della magistratura. E a proposito di magistratura, è da registrare ancora una volta la perfetta buona fede di quest’uomo, che, considerandosi una sorta di sultano, di monarca salvatore delle sorti dell’Italia, pensa sinceramente che nonostante talune marachelle che costellano il suo passato, è talmente grande quanto egli sta tributando all’Italia, che si tratta di quisquilie trascurabili, non degne di menzione, frutto unicamente del livore e dell’invidia incarognita di magistrati frustrati e strumentalizzati dai suoi nemici personali. Tutto ciò contribuisce a creare nell’uomo uno stato di abbandono melanconico, di chiusura potenzialmente depressiva, che lo fa, come già ribadito, allontanare ancor più dalle realtà delle cose e delle persone.
Detto questo, senza nessuna implicazione politica o ideologica, che prescinde da questo discorso, la conclusione non può deporre che per una personalità di tipo francamente paranoico (si pensi al delirio di grandezza e a quello persecutorio), nel quadro di una personalità nevrotica con spunti compulsivo – ossessivi, ma che in questi ultimi tempi, sta pericolosamente virando verso un vero e proprio disturbo della personalità, il disturbo bipolare, nell’ambito del quale, dopo una fase maniacale contraddistinta da iperattività ed ipercinesi, segue una fase malinconica di chiusura al mondo nella convinzione di essere circondati da ingrati, traditori, persecutori avidi e malvagi. Nella sostanza, al di là delle etichette nosologiche, trapela chiaramente, per chi abbia una qualche nozione di psichiatria, la difficoltà sempre maggiore da parte del cavaliere di nascondere il suo reale stato di salute mentale, e la profonda verità, preannunciata molti mesi fa da Veronica Lario, che ci troviamo di fronte ad una persona malata. Persona malata che, come la maggior parte dei sofferenti psichici che non siano affetti da una sintomatologia invalidante, credono, invertendo i termini della realtà, che i malati sono gli altri, e i savi sono rimasti solo loro. Dubito, conseguentemente, che il presidente si metta nelle condizioni di essere aiutato, continuerà così, caduta dopo caduta, questa folle corsa verso l’annientamento o la sconfitta, politica ed umana. Il problema, purtroppo, è che di questa triste parabola gli italiani non saranno i soli testimoni, il problema è che ne saranno anche le vittime. E questo processo, si badi bene, non si può arrestare, si può solo prevedere. 

31 ottobre 2010                              Roberto Tacchino