mercoledì 6 ottobre 2010

RATZINGER E LE CHIAVI DEL REGNO


E’ curioso che ogni qualvolta la cronaca ci sottoponga un argomento che sia, direttamente o indirettamente, riconducibile alla procreazione o al termine dell’esistenza, la Chiesa di Roma insorga come se avesse l’esclusiva dell’ultima parola su temi di etica o bioetica. Si direbbe che la Curia Romana prenda le mosse nella convinzione che, essendo lei a favore della vita ad ogni costo e in ogni caso (aborto, antifecondativi, eutanasia ecc.) tutti gli altri siano favorevoli alla morte, o, quantomeno, siano portatori di una cultura nichilista di distruzione e annientamento. Ora, è ovvio per tutti che nella cultura laica esistono diverse sfumature, e che solo in determinate circostanze, ben delimitate, prevalga una propensione per la morte. Tutti noi, cattolici o meno, siamo per la conservazione della vita e non per la sua distruzione o cessazione. La posizione aprioristica, senza se e senza ma della Chiesa, appare più ottusa che fedele alla tradizione. L’ultimo caso, l’attribuzione del Nobel al Prof. Robert Edwards per le sue ricerche sulla fecondazione in vitro appare emblematica. Era doveroso tributare un premio ad uno scienziato che ha indubbiamente, al di là di come la si pensi, apportato un considerevole contributo alla scienza. Ora, ogni questione umana, soprattutto quelle legate alla morale o all’etica, vanno trattate con la dovuta cautela, ma nessuno può ritenere di possedere maggiori qualità o prerogative rispetto ad un altro soggetto, né tanto meno di poter pronunciare una parola definitiva. Tanto più che, nello stesso cristianesimo, esistono posizioni assai differenziate tra la Chiesa di Roma e le confessioni riformate. Ma per Ratzinger non è così: i depositari della morale sono loro, a loro compete, qui, sulla terra, il giudizio su quello che è possibile ad un cristiano e quello che non lo è. E’ evidente che la Chiesa debba avere una posizione di massima su questi temi, ma, non trattandosi di oggetto di dogma, ma avendo più a che vedere con il costume e l’etica, occorrerebbe una maggiore flessibilità e soprattutto una valutazione caso per caso. Il sostenere che la vita di Eluana Englaro non poteva più essere considerata “vita”, nel senso che tutti noi attribuiamo a questa parola, non può essere considerato blasfemo. Un malato terminale che in piena coscienza domanda che si ponga fine alle sue sofferenze, non chiede nulla di illecito, e l’andare incontro alle sue esigenze, senza giudicare e senza pregiudizi, è un atto di altissima umanità e di compassione, non un vile assassinio. Spingendosi anzi un po’ oltre, si potrebbe a ragione affermare che contribuire alla cessazione delle inutili sofferenze di un essere umano la cui sopravvivenza dipende in tutto e per tutto da altre persone o a macchinari, privato cioè della sua dignità di uomo, si può ritenere un atto di pietà cristiana.  Ricordiamo che una delle pochissime prerogative che l’uomo, nella sua finitudine e nella sua fragilità di creatura possiede è quella di scegliere il momento della fine della propria esistenza terrena. E’ una decisione che merita il massimo rispetto e non può essere in nessun modo sottoposta a giudizio, dal momento che si tratta di una personalissima scelta. Una gravidanza frutto di uno stupro, un abbietto atto di violenza, può legittimamente rientrare nei casi in cui l’aborto è consentibile, senza per questo incorrere nella scomunica. La questione degli anticoncezionali, non consentiti tuttora, contribuisce a creare in alcune regioni del mondo un vero disastro umanitario. Gran parte dell’Africa sub sahariana è decimata dall’AIDS, si pensi che nel solo Botswana la speranza di vita arriva a stento a 40 anni perché almeno un terzo della popolazione ne è affetto. Ora, è di tutta evidenza che non si può negare l’utilizzo del contraccettivo a scopo profilattico, suggerendo, in compenso, la semplice astensione dai rapporti sessuali. E’ pur vero che, su questo specifico argomento, ci sono state posizioni più variegate nell’ambito della Chiesa Cattolica, ma la posizione di Ratzinger resta inamovibile. Così come non muta la posizione ufficiale della Chiesa sui divorziati, che si possono riaccostare ai sacramenti solo formulando un voto (alquanto ridicolo, per la verità), di astensione dai rapporti sessuali.
Quello che si vuole sottolineare in questa sede, in definitiva, è che la chiesa ha il sacrosanto diritto di esprimere la propria posizione su temi etici o di costume, ma la nota stonata rimane la convinzione (anche se spesso negata a parole) di essere la depositaria della verità, almeno quella cristiana, di detenere quelle che si chiamano le “chiavi del regno” (o di San Pietro), le chiavi che, sole, aprono la porta dei cieli, spalancano il portone della vita eterna, prendendo alla lettera quanto asserito nella sacra scrittura: “tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto anche in cielo”. Ma il problema di una simile impostazione rimane sempre lo stesso: è difficile pensare ad un pontefice che si trovi al di sopra delle parti, che parli con la voce di Cristo, che non sia soggetto a tentazioni o condizionamenti politici e comunque umanissimi, che sia, in sostanza, infallibile. A rifletterci bene, anzi, mentre nazioni cattolicissime come la Spagna, si sono dotate di una legislazione piuttosto avanzata (si veda il caso delle coppie omosessuali), da noi si è parlato di PACS e di DICO e poi non se ne è fatto più nulla, complice probabilmente l’impegno monotematico del parlamento italiano. Se il Vaticano fosse ospitato dal Lussemburgo, probabilmente qualche passo in avanti in termini di civiltà lo avremmo probabilmente fatto. Ma troppi anni di potere temporale della Chiesa nello Stato Pontificio, hanno forgiato e non solo condizionato, buona parte del nostro stesso diritto. Quello che si chiede, infine, a Ratzinger e alla curia romana è che faccia onestamente il suo mestiere di guida spirituale e di cura d’anime, stando sempre attenta a non travalicare questi confini. Il solo fatto che i media di casa nostra facciano spesso da cassa di risonanza del pensiero papale, ci fa prendere coscienza che grande è ancora il potere dei papi, sotto l’aspetto politico certo, ma soprattutto, e tristemente, economico, dal momento che lo IOR non si è mai distinto per trasparenza e gestione cristallina


Ottobre 2010              Roberto Tacchino