venerdì 22 ottobre 2010

L'ILLUSIONE OMEOPATICA


Pubblico questo contributo sulla cosiddetta "medicina omeopatica" ritenendolo completo, esaustivo e, soprattutto, scientificamente ineccepibile.

Per comprendere appieno il significato e il ruolo che l'omeopatia ha avuto nella storia del pensiero medico, è indispensabile collocarne correttamente l'origine nel contesto storico del tempo in cui nacque.
La dottrina omeopatica
Dopo che l'opera di G.B. Morgagni (1682-1771) e quella di Albrecht von Haller (1708-1777) avevano rispettivamente dato vita all'anatomia patologica ed alla fisiologia moderna, la medicina clinica, nella seconda metà del XVIII secolo e nella prima metà del XIX, andò incontro ad un periodo di crisi profonda. Nel tentativo di liberarsi dai lacci del pensiero galenico e di promuovere una pratica medica che tenesse conto delle norme del pensiero scientifico, durante questo periodo in molti Paesi europei vennero concepite diverse nuove dottrine mediche.
Queste erano in genere basate su poche idee molto semplici e schematiche, che riuscivano facilmente a dare ragione della immensa varietà dei fenomeni morbosi; tali idee erano peraltro estremamente rigide, al punto da rendere del tutto immodificabili le dottrine che su di esse si fondavano. I "sistemi" medici - questo fu il nome con il quale le nuove dottrine vennero chiamate - si diffusero rapidamente in tutti i Paesi d'Europa ed ebbero un enorme successo negli ultimi decenni del '700 e nella prima metà dell'800: il brownismo in Inghilterra, il mesmerismo in Francia, la dottrina del controstimolo di Rasori in Italia e, appunto, l'omeopatia in Germania e in Francia.
L'omeopatia, quindi, non è nient'altro che uno dei tanti "sistemi" medici che, nella prima metà del secolo scorso, si diffusero in tutta Europa.
Essa fu ideata da un medico sassone, Samuel Hahnemann (1755-1843) che operava a Lipsia. Hahnemann, nel 1790, sulla base di alcune osservazioni occasionali, ritenne di aver scoperto una nuova legge terapeutica, prima di allora sfuggita a tutti. Hahnemann partì dalla constatazione secondo la quale i vari farmaci, quando vengono assunti alle dosi abituali, provocano certi specifici disturbi nei soggetti sani e credette di aver scoperto che ogni singolo farmaco era in grado di guarire proprio quei malati la cui sintomatologia era simile o identica alla sintomatologia provocata dal farmaco stesso.
In altre parole, secondo il medico sassone, i farmaci guariscono proprio quelle malattie che sono caratterizzate da disturbi "simili" a quelli che il farmaco di per se stesso provoca ("similia similibus curantur"). Alla propria dottrina, basata sul principio dei simili, Hahnemann diede il nome di "omeopatia" e riservò invece il nome di "allopatia" alla pratica medica, in quel tempo dominante, secondo la quale in una certa malattia dovevano essere usati quei farmaci o quei provvedimenti che avevano un effetto contrario ai sintomi della malattia in atto. Così, per esemplificare, di fronte ad una febbre, mentre un medico allopatico prescriveva un antipiretico, un hahnemanniano consigliava un farmaco che provocava il fenomeno febbrile.
Per evitare probabilmente il peggioramento sintomatologico che i farmaci omeopatici producevano, Hahnemann ridusse progressivamente la posologia dei medicamenti fino ad usare dosi estrema mente basse. In tal modo al "principio dei simili" ne aggiunse presto un secondo, che viene chiamato "delle diluizioni infinitesimali". Ritenendo di aver scoperto e provato che l'azione dei medicamenti, invece di ridursi, aumentava progressivamente con il diminuire della dose, egli stabilì che i farmaci dovevano essere somministrati ai pazienti in dosi piccolissime (dette, appunto, infinitesimali) e dettò anche le norme per la preparazione dei medicamenti omeopatici. Secondo tali norme il farmaco inizialmente viene triturato e 1 grammo della sostanza viene disciolto in 10 o in 100 ml di acqua o di alcool etilico; successivamente si preleva 1 ml di questa soluzione iniziale (soluzione madre) e lo si diluisce in 10 o in 100 ml di acqua o di alcool, ottenendo rispettivamente la prima diluizione decimale o centesimale. Da questa soluzione si preleva ancora 1ml e lo si diluisce in altri 10 o 100 ml del solvente (seconda diluizione decimale o centesimale); si continua così a diluire progressivamente il farmaco fino alla 10ª, 15ª, 20ª, 50ª, 200ª diluizione.
Infine, ai due principi precedenti Hahnemann ne aggiunse un terzo, che chiamò della "dinamizzazione". Secondo questa regola, ad ogni diluizione del medicamento la soluzione doveva essere agitata manualmente per imprimerle una serie di succussioni, destinate a "dinamizzare" o a "potentizzare" il rimedio, cio ad accrescerne enormemente le capacità terapeutiche.
Per quanto questi tre principi vengano comunemente ritenuti i fondamenti dell'omeopatia, in realtà la dottrina concepita da Hahnemann è costituita da numerosi altri concetti strettamente interconnessi fra loro, che ne rappresentano la fisiologia, la patologia e la clinica.
Trattando del funzionamento dell'organismo umano, Hahnemann, nella sua opera principale, non fa parola della circolazione del sangue e delle altre conoscenze che la Fisiologia del suo tempo già possedeva, ma sostiene che l'organismo umano agisce in quanto animato da "una energia vitale immateriale" che informa di sè tutte le parti dell'organismo. Così, per il medico omeopatico, lo stato di salute è quello stato in cui «la forza vitale - vivificatrice e misteriosa - domina in modo assoluto e dinamico il corpo materiale e tiene tutte le sue parti in meravigliosa vita armonica di sensi e di attività» (par. 9). All'opposto, «la malattia è uno stato in cui è perturbata questa "forza vitale"- indipendente e presente ovunque nell'organismo ed immateriale - dall'azione di qualche agente patogeno» (par. 11).
Quanto alle malattie realmente esistenti, Hahnemann, dopo aver rifiutato la nosografia che in quegli anni andava faticosamente costituendosi, le ridusse sostanzialmente a tre tipi: la psora, la sicosi e la lue. La psora costituisce la forma morbosa più diffusa e più grave che «si manifesta con un'eruzione caratteristica, a volte consistente in un'eruzione della pelle limitata ad alcuni punti, con prurito voluttuoso, insopportabile e di odore caratteristico». Secondo la dottrina omeopatica «la psora è la causa fondamentale vera determinante di quasi tutte le altre forme morbose frequenti ed innumerevoli, che figurano in patologia come entità proprie, chiuse, che vanno sotto il nome di nevrastenia, mania, melanconia, epilessia, convulsioni di ogni specie, scrofola, scoliosi e cifosi, cancro, varici, gotta, emorroidi, itterizia, cianosi, idropisia, amenorrea, emorragia gastrica, nasale, polmonare, emicrania, sordità, calcolosi renale ecc.».
Semplificata in tal modo la classificazione delle malattie, era evidente che la diagnostica omeopatica diveniva particolarmente semplice, poichè si riduceva ad individuare quale, tra le tre possibili, fosse la malattia in atto. Essa poi veniva ulteriormente semplificata dal fatto che una delle tre malattie, la psora, era così diffusa ed abbracciava tanti sintomi che la sua diagnosi costituiva quasi una tappa obbligata dell'iter clinico omeopatico. Se è vero che la diagnostica omeopatica classica è particolarmente semplice, bisogna anche sottolineare che l'attenzione del medico omeopatico non è tanto rivolta ad identificare la malattia da cui è affetto il paziente, quanto piuttosto ad individuare il medicamento che nel sano provoca i disturbi più "simili" a quelli presentati dal malato in studio.
Quel medicamento (che viene definito come il farmaco "simillimum") sarà in grado di far scomparire tutti i sintomi e di guarire il malato. Su questo punto sarà opportuno soffermarsi brevemente per comprendere appieno la sostanza delle tesi omeopatiche; nell'omeopatia la concezione della malattia è quella sintomatologica, per la quale un certo processo morboso si identifica sostanzialmente con i sintomi che esso dimostra; per tale motivo la scomparsa dei sintomi si identifica, per la gran parte dei medici omeopatici, con la scomparsa della malattia e quindi con la sua guarigione.
L'attenzione del medico omeopatico è quindi rivolta soprattutto alla terapia del malato piuttosto che al riconoscimento e/o alla terapia della malattia in se stessa. Mentre nella medicina scientifica l'attenzione è rivolta soprattutto alla diagnosi ed al riconoscimento dei meccanismi fisiopatologici che conducono alla situazione morbosa, e la terapia rappresenta soltanto la conseguenza logica dell'enunciato diagnostico, in omeopatia, dove la patogenesi delle malattie è sostanzialmente del tutto ignorata e la nosografia ridotta a dimensioni trascurabili, la terapia rappresenta il momento fondamentale di tutto il procedimento clinico. L'atteggiamento di fondo dell'omeopatia è eminentemente individualistico ed è teso a descrivere tutti i più piccoli disturbi presentati dal paziente per riconoscere il farmaco più "simile" per quei disturbi. Ciò che veramente interessa al medico omeopatico non è la "diagnosi di malattia", ma la "diagnosi di rimedio".
Ciò muta profondamente anche la natura della semeiologia omeopatica rispetto a quella usuale, Infatti, mentre nella semeiotica scientifica il segno o il sintomo costituisce un'elemento che guida verso la diagnosi, nella semeiotica omeopatica il segno serve a guidare verso la terapia, e non verso una terapia generale, ma verso la terapia che deve servire per quel singolo malato.
A prima vista, la situazione descritta non parrebbe particolarmente anomala né molto diversa da quella di un comune medico, il quale cerchi di individualizzare la diagnosi del proprio paziente o che, nell'impossibilità di porre una diagnosi nosografica precisa e di orientarsi sulla patogenesi del male del suo paziente, ne prenda in considerazione i sintomi più preoccupanti o appariscenti e cerchi di combatterli. In realtà, invece, le cose stanno in modo del tutto differente nelle due medicine. La "individualizzazione" del medico omeopatico è cosa radicalmente diversa dalla individualizzazione di cui parlavano Murri e tutti i grandi clinici del nostro secolo; mentre, infatti, nella medicina scientifica l'individualizzazione del caso clinico, cioè la comprensione della situazione in cui si trova il singolo malato, non prescinde mai dalla diagnosi ed è fondata su un'accurata analisi fisiopatologica, in omeopatia individualizzazione significa soltanto identificazione meramente empirica dei farmaci che dovranno essere efficaci in quel caso.
Oltre a ciò in omeopatia l'analisi dei sintomi, non controllata da uno spirito critico, si è dilatata in misura incredibile producendo eccessi semeiologici che stanno fuori da ogni ragionevolezza. Questo stato di cose ha portato ad una situazione curiosa: mentre la diagnostica omeopatica in senso stretto si presenta molto povera, la semeiologia si è dilatata enormemente.
Così i segni e i sintomi che interessano il medico omeopatico e di cui egli deve tenere conto non solo hanno poco o nulla in comune con la semeiologia scientifica, ma concernono fenomeni del tutto secondari o irrilevanti, quali le caratteristiche dello sguardo, il modo di stare seduto, la passione per i dolciumi, la paura dei cani, il sudore visibile sotto le ascelle, la gelosia o la passione per le arti figurative.
La terapia omeopatica, poi, si presenta come una terapia puramente empirica, nella quale l'indicazione all'uso di un certo medicamento non deriva in alcun modo dalla conoscenza della genesi dei fenomeni morbosi, ma proviene unicamente dalla constatazione che i disturbi di un malato sono simili a quelli prodotti da un certo medicamento. Questi convincimenti hanno portato ad uno studio esasperato e ad una dilatazione smisurata degli effetti prodotti dai farmaci. A puro scopo esemplificativo sarà sufficiente dire che Arsenicum album (cioè l'anidride arseniosa) produrrebbe 368 sintomi, Pulsatilla Nigricans ne causerebbe 1163 e Sulphur ben 4080!
Dopo la morte di Hahnemann l'omeopatia, che verso il 1840 aveva raggiunto un notevole successo a Parigi, conobbe nei vari Paesi europei e negli Stati Uniti fasi alterne di fortuna. Messa sostanzialmente al bando dalla medicina scientifica, essa trovò comunque sempre un certo numero di cultori fra i medici e conobbe in certi periodi una popolarità notevole, Sul piano dottrinale la diffusione dell'omeopatia si accompagnò alla nascita di accesi contrasti, i quali finirono poi per dare origine a differenti indirizzi teorico-pratici e ad altrettante Scuole.
In questa sede non è certo possibile ricostruire i vari percorsi teorici dei diversi omeopati. Ciò che tuttavia si può affermare è che, nonostante le differenze di impostazione, le varie Scuole omeopatiche si riconoscono tutte ancora oggi nella fedeltà ai concetti e ai principi enunciati da Samuel Hahnemann: la legge dei simili, il principio della diluizione infinitesimale, la dinamizzazione.
Le principali correnti omeopatiche sono le seguenti:
*       l'indirizzo empirista germanico, preoccupato soltanto della scelta di un unico rimedio omeopatico simillimum;
*       l'indirizzo anglosassone, rappresentato soprattutto da J,T. Kent e caratterizzato da una forte impostazione filosofica di tipo spiritualistico;
*       la scuola di tipo spiritualistico;
*       la scuola omeopatica costituzionalista francese.
Secondo quest'ultimo indirizzo, promosso da L. Vannier, gli uomini sarebbero classificabili in vari tipi costituzionali a seconda delle loro proporzioni corporee e delle loro caratteristiche e questa tipologia costituzionalistica aiuterebbe il medico nella ricerca del farmaco "simillimum". Le tre costituzioni fondamentali sono:
*       la costituzione carbonica, che rappresenta la forma primitiva, naturale, dalla quale si sono differenziate le altre due. Ad essa appartengono gli individui rigidi e diritti, pazienti e ordinati;
*       la costituzione fosforica (che è espressione di eredotubercolosi), alla quale appartengono individui armoniosi e comunicativi, esaltati e delicati;
*       la costituzione fluorica (che, secondo Vannier, è espressione di eredolue), alla quale appartengono soggetti irregolari e instabili, disordinati e senza equilibrio.
In tempi più recenti sono stati proposti altri indirizzi omeopatici. Così, fra gli esponenti della scuola argentina, T.P. Paschero ha sostenuto che la malattia è una perturbazione dello spirito, mentre A.E. Masi ha identificato la psora con la vulnerabilità e l'irritabilità delle cellule. All'opposto O.A.Julian, dopo aver sostenuto che la metafisica vitalista di Hahnemann appartiene al passato, ha proposto una dottrina materialista fortemente influenzata dal materialismo dialettico, denominata "concretologia contraddittoria monista". Tale dottrina, che si allontana in più punti dalle classiche opinioni di Hahnemann, dovrebbe consentire secondo il suo ideatore di «collocare la medicina omeopatica nel grande solco delle scienze mediche attuali».
Nel 1952, infine, Hans Heinrich Reckeweg, cercando di avvicinare l'omeopatia ai concetti della biochimica moderna, ha proposto una nuova dottrina, denominata "omotossicologia", basata sull'assunto che tutte le aggressioni provenienti dall'ambiente sono dovute all'azione di non meglio precisate "omotossine".
Indicazioni terapeutiche
Questo argomento presenta fin dal suo inizio una difficoltà di ordine teorico, poichè in genere le indicazioni e l'efficacia dei rimedi omeopatici vengono considerate in relazione alla comune nosografia scientifica.
Per quanto ciò possa apparire incongruo ed irrazionale agli occhi di un medico omeopatico tenacemente ortodosso, convinto quindi che le sole malattie croniche siano quelle individuate e descritte da Hahnemann, in pratica, imitando l'atteggiamento di molti omeopati, non terremo conto di tale problema e considereremo le indicazioni dell'omeopatia nei termini della patologia non omeopatica.
In tesi generale, i medici omeopatici hanno spesso sostenuto che il loro sistema terapeutico era capace di avere ragione di ogni forma morbosa. Addirittura alcuni di loro hanno sostenuto e sostengono tuttora che soltanto l'omeopatia è in grado di guarire veramente e definitivamente le malattie e che la medicina non omeopatica è invece soltanto capace di produrre miglioramenti apparenti e transitori.
Già Hahnemann aveva sostenuto che mentre «il metodo allopatico costituisce un gioco irresponsabile e micidiale con la vita del malato» (par. 25), le medicine omeopatiche «guariscono senza eccezione le malattie che hanno i sintomi similari più vicini» (par. 27). Infatti, «il metodo omeopatico raggiunge la guarigione delle malattie nel modo più sicuro, più rapido e più duraturo, perchè quest'arte di curare è basata su una legge di natura eterna ed infallibile» (par. 53, par. 45). Da quando l'omeopatia è nata, gli omeopatici si sono vantati di guarire un grandissimo numero di malattie: dal colera al cancro (Benjamin, 1978), dall'asma all'emicrania, a loro dire, l'esperienza avrebbe ovunque confermato la potenza dei medicamenti iperdiluiti e dinamizzati.
Efficacia reale
Rispetto al gran numero di successi terapeutici vantati dagli omeopati si deve subito dire che il numero degli studi scientifici rigorosi condotti sui medicamenti hahnemanniani è ancor oggi estremamente modesto. In realtà, la gran parte dei risultati positivi che gli omeopati hanno dichiarato di ottenere non è stata pubblicata sulle comuni riviste scientifiche, ma su periodici dichiaratamente ed esclusivamente omeopatici, il cui livello medio si colloca ad uno standard di rigore metodologico di gran lunga inferiore a quello richiesto oggi nella comunità medico-scientifica internazionale.
Riferendoci alle poche ricerche pubblicate sulla stampa medico-scientifica più accreditata, Gibson et al. (1980) hanno osservato che la terapia omeopatica migliorava la sintomatologia dell'artrite reumatoide senza peraltro modificarne i test di laboratorio, mentre al contrario Shipley et al. (1983), nella stessa patologia, non hanno osservato alcun effetto della terapia omeopatica con Rhustox 6x. In un altro studio, Reilly et al. (1986) hanno riportato un lieve ma significativo miglioramento della sintomatologia della febbre da fieno in pazienti trattati con una diluizione 30^ centesimale di pollini.
In realtà, il problema dell'efficacia dell'omeopatia è strettamente legato a quello dell'attendibilità delle sperimentazioni cliniche in cui vengono usati i medicamenti omeopatici. A questo proposito Kleijnen et al. (1991) hanno recentemente compiuto un attento lavoro di revisione critica della letteratura, prendendo in esame 93 lavori e 107 trial clinici. Essi hanno concluso che "l'evidenza delle sperimentazioni, per quanto sia positiva, non è sufficiente a trarre alcuna conclusione precisa a causa della bassa qualità metodologica della maggior parte delle ricerche".
Obiezioni scientifiche
Indipendentemente dalla realtà dei suoi vantati successi terapeutici, l'omeopatia è una dottrina medica che merita di essere presa in attenta considerazione e di essere valutata sul piano scientifico, nelle varie tesi in cui essa si articola.
Quest'opera di valutazione scientifica è stata fatta lungo il corso degli ultimi due secoli da vari studiosi ed ha portato ad un generale rifiuto della dottrina omeopatica da parte del mondo medico-scientifico. Esporremo ora brevemente le principali obiezioni scientifiche rivolte contro l'omeopatia.
Diluizioni infinitesimali dei medicamenti
L'obiezione fondamentale mossa contro la dottrina di Hahnemann fin dal tempo della sua formulazione è stata quella concernente l'estrema diluizione dei farmaci.
Con la tecnica usata dagli omeopati, si disse, i farmaci venivano rapidamente diluiti in misura tale che la preparazione somministrata al paziente non poteva avere alcun reale effetto curativo.
A questa obiezione un farmacologo italiano, Luigi Sabbatani, e più tardi un allievo di questi, Egidio Meneghetti, diedero veste scientifica rigorosa sulla base del numero di Avogadro. Poichè, come è ben noto, una volta che sia noto il peso molecolare di una sostanza, il numero di Avogadro ci permette di conoscere con esattezza il numero delle molecole presenti in una soluzione, è possibile calcolare il numero delle molecole di un farmaco presenti nelle preparazioni diluite dei rimedi omeopatici.
Così si è potuto calcolare che alla 11ª diluizione centesimale sono presenti soltanto poche molecole del farmaco, mentre al di là della 13ª diluizione centesimale le preparazioni omeopatiche non contengono che solvente puro. In altre parole, le conoscenze scientifiche che provengono dalla chimica generale permettono di affermare con sicurezza che gran parte dei cosiddetti medicamenti omeopatici è costituita da acqua distillata.
Di fronte a questa critica radicale che faceva crollare l'intera dottrina farmacologica omeopatica, i seguaci di Hahnemann hanno cercato di puntellare la loro teoria variandone in parte il contenuto: ad agire non sarebbero i farmaci in se stessi, quanto il solvente, cioè l'acqua. Sarebbero quindi la presenza del farmaco e le scosse impresse alla preparazione medicamentosa a modificare la struttura molecolare dell'acqua e a conferirle quindi le eccezionali quanto misteriose virtù medicatrici vantate dai medici omeopatici. Queste ipotesi, che non hanno trovato finora alcun sostanziale sostegno sperimentale, appaiono in realtà del tutto fantasiose e rappresentano sul piano metodologico vere e proprie ipotesi ad hoc.
Estraneità alle più comuni e consolidate conoscenze scientifiche biomediche
Come risulta evidente anche dalla sola esposizione rapida delle tesi omeopatiche, questa dottrina si presenta come un insieme di concetti, di enti e di relazioni del tutto distinto dalla medicina scientifica comunemente insegnata nelle Università del mondo occidentale. In realtà, mentre nei primi decenni dopo la sua origine l'omeopatia aveva ancora un certo numero di punti di contatto con la medicina ufficiale insegnata nei Paesi europei, con il trascorrere del tempo la diversità fra le due medicine è divenuta abissale. Mentre la medicina clinica ufficiale è andata via via maturando ed assumendo la struttura concettuale ed operativa di una disciplina scientifica autentica, l'omeopatia ha conservato pressochè immodificati i caratteri e il contenuto che le aveva dato il suo fondatore.
Per quanto qui non sia possibile neppure enumerare le svariate differenze che esistono oggi fra le due medicine, sarà sufficiente ricordare, soltanto come esempio, che l'omeopatia in se stessa non prende neppure in considerazione la circolazione del sangue, la teoria cellulare, l'anatomia e l'istologia patologica, la batteriologia e la virologia, l'endocrinologia, la genetica e la biochimica.
Quando poi nei suoi manuali vengono ricordati alcuni concetti provenienti da qualche disciplina scientifica, come l'immunologia o la citologia, ciò viene tatto solo per brevi cenni approssimativi e superficiali. Infine, nelle monografie degli omeopati che hanno tentato di avvicinarsi alla medicina moderna, l'accostamento dei concetti scientifici (anticorpo, ormone, proteine ematiche, trasmissione ereditaria dei caratteri ecc.) a quelli omeopatici assume un carattere artificioso e spesso addirittura caricaturale.
In breve, ancora oggi non vi sono reali punti di contatto fra la medicina moderna e l'omeopatia, che si presenta quindi come una dottrina del tutto avulsa dalla comuni conoscenze scientifiche.
Questo isolamento teorico dell'omeopatia appare particolarmente grave sul piano della conoscenza scientifica. Infatti, uno dei caratteri principali del sapere scientifico è costituito dalla sua sistematicità, vale a dire dalla tendenza di tutte le discipline scientifiche a fondersi in un'unica, grandissima struttura concettuale. L'omeopatia non partecipa a questa caratteristica del sapere scientifico e continua ad essere una dottrina chiusa in se stessa, ancorata alle idee del suo fondatore ed incapace di ogni reale evoluzione concettuale.
Mancanza di sperimentazioni cliniche controllate
Al di là delle difficoltà teoriche fin qui considerate, un ostacolo fortissimo, sollevato da molti studiosi contrari all'omeopatia, è rappresentato dalla mancanza di studi clinici rigorosamente controllati. In effetti, tutti i medici forniti di un'adeguata formazione scientifica sono sempre stati colpiti dal fatto che di fronte alle enormi pretese terapeutiche dell'omeopatia vi fosse un'estrema povertà di studi clinici condotti in modo rigoroso. è ben noto a tutti che oggi sono state elaborate e sono a disposizione dei medici sofisticate tecniche statistiche capaci di misurare i reali effetti dei farmaci; tali metodiche sono divenute ormai indispensabili per valutare i nuovi medicamenti che vengono introdotti nella pratica clinica.
Ebbene, ad eccezione dei pochi lavori citati, tali tecniche non vengono comunemente usate dagli omeopati. La grande maggioranza delle affermazioni che si trovano nei manuali omeopatici sugli effetti terapeutici dei farmaci non trova alcun sostegno in ricerche condotte in modo serio e pubblicate su riviste scientificamente accreditate e attendibili.
Valutazione metodologica
Oltre alle obiezioni scientifiche, che quindi riguardano il suo contenuto, all'omeopatia sono state mosse numerose critiche di natura metodologica. Queste ultime hanno un'importanza di gran lunga maggiore delle prime, poichè mettono in discussione alla radice l'intero corpo dottrinale originatosi dalle idee di Hahnemann.
Come è ben noto, la conoscenza scientifica è caratterizzata dal fatto che progredisce grazie alla sistematica applicazione di quel complesso insieme di procedure e di regole che prende il nome di "metodo sperimentale". Lo status scientifico di una disciplina viene quindi misurato dal modo in cui essa aderisce al metodo sperimentale e ne applica correttamente le regole.
Se ora si prendono in esame la teoria e la prassi che costituiscono l'omeopatia, è facile constatare che questa disciplina è caratterizzata da un gran numero di vizi metodologici. A questi vizi faremo un breve cenno, senza alcuna pretesa di esaurire un argomento così vasto e complesso.
Secondo una distinzione ormai classica, la scienza è costituita da due elementi ugualmente importanti, i fatti, cioè la registrazione fedele dei fenomeni del mondo, e le teorie.
Inadeguatezza delle registrazioni fattuali
La prima colpa metodologica dell'omeopatia riguarda appunto l'inadeguatezza delle registrazioni fattuali su cui essa si basa.
È noto dal tempo di Galileo che poichè «il gran libro della natura è scritto in lingua matematica», il ricercatore deve fare ogni sforzo per osservare e registrare i fenomeni studiati in forma quantitativa: il linguaggio dei numeri, infatti, evitando le ambiguità e le imprecisioni del linguaggio comune, permette di obiettivare i rilievi, di evitare i dissensi fra osservatori e di applicare ai risultati delle osservazioni quello strumento potentissimo che è il calcolo.
Ebbene, nei manuali omeopatici ben raramente si può trovare qualche riferimento a dati quantitativi: nella gran parte dei casi i fenomeni considerati rilevanti sono eminentemente soggettivi e anche quando gli Autori fanno riferimento a fenomeni oggettivabili e misurabili (come la temperatura corporea o la pressione arteriosa), questi non vengono riportati attraverso valori numerici precisi. All'insufficienza dei dati numerici si associa poi la quasi assoluta mancanza di documentazioni morfologiche attendibili. Per quanto l'omeopatia in se stessa ignori l'anatomia e l'istologia patologica, accade spesso che nelle pubblicazioni omeopatiche vengano riportati gli effetti dei medicamenti iperdiluiti in malattie contemplate dalla nosografia scientifica, come la cirrosi epatica o l'ulcera gastrica o la broncopolmonite. Ebbene, anche in questi casi è facile constatare che né la diagnosi né il vantato effetto terapeutico vengono documentati attraverso una qualche documentazione morfologica, come un reperto endoscopico, un quadro radiografico o la fotografia di un reperto istopatologico. In queste condizioni, quindi, le diagnosi riportate non possono essere messe in discussione e sul risultato della sperimentazione non può venire condotta quella valutazione critica che è fondamentale in ogni lavoro scientifico.
Da ultimo, è necessario ricordare che in gran parte dei lavori riportati nelle riviste omeopatiche l'analisi statistica dei risultati o è assolutamente insufficiente o è impostata in modo scorretto o è addirittura mancante.
Introduzione nel discorso scientifico di termini e concetti metafisici
Chiunque scorra anche superficialmente l'Organon o altre opere della medicina omeopatica è colpito dalla presenza di termini e di affermazioni di carattere nettamente metaempirico che non si trovano mai nei manuali della medicina scientifica. La presenza di queste espressioni ha valso in passato all'omeopatia l'accusa di essere una dottrina idealistica e misticheggiante.
Uno dei maggiori pericoli per la scienza è costituito dall'introduzione nei suoi discorsi di termini e di concetti che, per la loro natura, sono estranei all'ambito della conoscenza scientifica e si collocano in quello della filosofia e più propriamente della metafisica. Per evitare pericolosi inquinamenti ed il sorgere di equivoci epistemologici, i fisici, nei primi decenni del nostro secolo, concepirono ed introdussero un principio metodologico che venne chiamato della "definizione operativa". Secondo tale principio «enti e relazioni che non siano osservabili per principio né definibili mediante esperienze almeno ideali non hanno senso fisico e non possono essere oggetto della fisica» (F. Selvaggi,1985). Come ha affermato un acuto metodologo italiano, E. Poli, «per quanto riguarda la biologia, il principio della definizione operazionistica dei termini è un importante elemento di chiarificazione e serve ad espungere dal discorso molte implicazioni non-scientifiche e i falsi problemi che da esse possono prendere lo spunto» (E. Poli, 1972).
Infatti, se si considerano termini e concetti come quelli di "principio spirituale dinamico", di "forza vitale", di "forza spirituale insita nell'intima essenza dei medicamenti", che ricorrono con grande frequenza negli scritti di Hahnemann e che si ritrovano spesso ancora oggi negli scritti di diversi omeopati, è facile vedere come questi concetti non siano in alcun modo suscettibili di definizione operativa e come quindi non abbiano alcun diritto di cittadinanza nell'ambito di un discorso o di una teoria scientifica.
In conclusione, la violazione del principio della definizione operativa mostra come l'omeopatia non sia in alcun modo una vera teoria scientifica, ma sia costituita da un inestricabile intreccio di concetti metafisici e di osservazioni ed idee empiriche.
Uso di ipotesi ad hoc
«Data un'ipotesi -ha scritto Dario Antiseri- se questa ipotesi è in pericolo, si dà di frequente il caso nella storia della scienza che si tenti di salvare questa ipotesi pericolante con opportune iniezioni di ipotesi di salvataggio. Questo stratagemma di salvataggio di ipotesi in pericolo viene chiamato "introduzione di ipotesi ad hoc" ed è visto di cattivo occhio da parte degli scienziati più scaltriti». In effetti, l'ipotesi ad hoc non aumenta il contenuto informativo della teoria e «viene introdotta unicamente ed esclusivamente allo scopo di salvare la teoria in pericolo. Ma il salvataggio sistematico delle ipotesi in pericolo sbarra la strada alla verità. Infatti, per ottenere teorie scientifiche sempre più vere, occorre eliminare gli errori che nelle teorie si annidano; ma se noi facciamo di tutto per proteggere o nascondere questi errori allora la verità non si farà mai strada» (D. Antiseri, l978).
Nell'omeopatia è facile constatare l'introduzione sistematica di ipotesi ad hoc ogni volta che l'andamento clinico dei pazienti non è in accordo con ciò che le premesse teoriche facevano prevedere. Se, ad esempio, un medico impiega una certa diluizione di un farmaco, per curare una determinata malattia e, non avendo ottenuto il risultato sperato, sostiene che quella diluizione non era appropriata per quella forma morbosa, quel medico ha introdotto una ipotesi ad hoc. E ancora, se nelle stesse condizioni, il medico asserisce che la diluizione era appropriata, ma che il malato non è migliorato perchè la sua costituzione non gli consentiva di reagire adeguatamente a quel medicamento, quel medico ho ancora una volta fatto ricorso ad una ipotesi ad hoc.
Incapacità di effettuare previsioni precise
Come è ben noto, una delle caratteristiche fondamentali delle teorie scientifiche è la loro capacità di compiere previsioni. A questo proposito Antiseri (1975) ha affermato che «il potere predittivo di una teoria scientifica costituisce il fondamento della sua validità, il fascino della scienza e la base sistematica delle sue applicazioni tecnologiche». La capacità della scienza di predire gli avvenimenti futuri si differenzia da quella del profeta o dello sciamano perchè, contrariamente a queste, è fondata su leggi. In altre parole, è la conoscenza di alcune leggi di natura che consente allo scienziato di formulare previsioni valide. Ed è cosa comunemente accettata che quanto più una scienza è sviluppata e matura, tanto maggiore è la sua capacità di prevedere i fenomeni e tanto più attendibili sono le sue previsioni.
Nella medicina scientifica la possibilità di prevedere i fenomeni è andata progressivamente aumentando con lo sviluppo delle conoscenze biomediche: così noi oggi sappiamo prevedere, con un margine di errore molto piccolo e noto, anche fenomeni che un tempo apparivano del tutto capricciosi. La percentuale dei decessi annuali nei pazienti cancerosi trattati con un certo antiblastico, le differenze nell'andamento della statura in un nano ipopituitarico e in un nano ipotiroideo trattati con HGH, la comparsa di una emorragia da rottura delle vene esofagee in un cirrotico, lo sviluppo di un'arteriosclerosi in un soggetto iperlipemico, la comparsa di convulsioni in un ipoglicemico sono tutti fenomeni che oggi possono venire previsti con buona attendibilità.
Se invece ora osserviamo l'omeopatia, possiamo facilmente constatare che sul piano fisiopatologico la capacità di previsione di questa disciplina è pressochè inesistente. Su quello terapeutico, poi, le cose non vanno in modo migliore: al di là delle generiche affermazioni di efficacia del loro trattamento sulla salute del paziente, i medici omeopatici ben raramente si spingono a prevedere. E così, ad esempio, di fronte ad un medicamento antiipertensivo ben raramente essi riescono a prevedere se la pressione più interessata sarà la sistolica o la diastolica e quanto grande sarà la diminuzione pressoria.
Questa incapacità di prevedere dell'omeopatia è estremamente rilevante sul piano metodologico: infatti, poichè la conferma delle previsioni di una teoria scientifica è il modo più impressionante con cui la teoria viene convalidata, l'incapacità di formulare previsioni esatte ed attendibili mostra tutta la debolezza metodologica dell'omeopatia.
Violazione del principio di falsificabilità
Il problema metodologico fondamentale è sempre stato quello di individuare un criterio che permettesse di separare le scienze autentiche dalle pseudoscienze. Tale problema è stato risolto dall'epistemologo austro-inglese Karl R. Popper con l'introduzione del principio di falsificabilità. Secondo tale principio, oggi in pratica universalmente accettato, non è il principio della verificazione (cioè la possibilità di stabilire, attraverso la verifica sperimentale, con certezza la verità di una teoria) a distinguere la scienza dalla non-scienza, ma è la possibilità di dimostrare, attraverso l'osservazione e l'esperimento, la falsità di una teoria. Per chiarire questo concetto conviene riportare le parole dello stesso Popper. «Io ammetterò certamente come empirico, o scientifico, soltanto un sistema che possa essere controllato dall'esperienza. Queste considerazioni suggeriscono che come criterio di demarcazione non si deve prendere la verificabilità, ma la falsificabilità di un sistema. In altre parole: da un sistema scientifico non esigerò che sia capace di essere scelto, in senso positivo, una volta per tutte; ma esigerò che la sua forma logica sia tale che possa essere messo in evidenza, per mezzo di controlli empirici, in senso negativo: un sistema empirico deve poter essere confutato dall'esperienza» (K.R. Popper,1970).
Alla luce di queste considerazioni si comprende che la dimostrazione di un errore in una teoria scientifica, il crollo della teoria stessa e la sua sostituzione con un'altra teoria costituiscono pregi perchè consentono di progredire verso teorie sempre più ricche di contenuto e sempre più verosimili. Se ora si considera l'omeopatia alla luce della metodologia contemporanea della scienza, si comprende bene perchè essa non possa essere considerata una dottrina scientifica. Dal tempo in cui fu concepita, la dottrina omeopatica non ha conosciuto, per i suoi fedeli, alcuna confutazione ed i principi formulati da Hahnemann mantengono ancora oggi tutta intera la loro validità . Mentre nella medicina scientifica i fatti nuovi che si accumulano modificano senza posa le teorie sostituendone l'una o l'altra parte con nuove idee, o addirittura le eliminano integralmente, nella medicina omeopatica la struttura teorica di fondo viene preservata intatta attraverso una serie di sotterfugi metodologici. Cosi, la dottrina dei simili si perpetua nel tempo, rigida e immobile come un organismo privo di vita.


G.Federspil, C.Scandellari
Professori di Semeiotica Medica
Patologia Medica III
Università degli studi di Padova