Sul voto europeo, segnato da
profonde implicazioni interne, si impone qualche riflessione. Intanto la
percentuale degli astenuti (di cui non parla nessuno): quasi il 43% di non
votanti significherà per forza qualcosa. Non c’è la solita disaffezione alla politica,
la banale distanza tra paese reale e casta politica, no: questa volta
nell’astensione c’è un valore aggiunto. C’è lo scoramento, l’amarezza, a volte
la disperazione di chi non ce la fa più, di chi ha perduto lavoro, famiglia,
risorse per campare (l’ultimo suicidio data pochi giorni fa), di coloro che si
rendono conto che se la classe di politicanti che ci ritroviamo non batterà i
pugni sul tavolo di Bruxelles e Francoforte, questa volta dal tunnel non
usciamo più. Per chi ha votato, Renzi, il bullo di Firenze, ha stravinto,
Grillo se ne ritorna a Sant’Ilario con le pive nel sacco. Ma a Renzi è stata
firmata una cambiale in bianco: le promesse sono molte, mantenerle tutte è
un’altra cosa. Il voto a Renzi (non al PD!) ha qualche connotazione fondamentale:
la paura del nazifascismo evocato dall’urlante triviale populista Grillo, una
persona colma di livore, di aggressività non repressa, di odio profondo e
viscerale (si pensi al progetto bislacco di processi sommari popolari condotti
sul web a politici, magistrati e giornalisti), il culto della personalità, il
settarismo del movimento che rasenta il fanatismo religioso, la vaghezza dei
propositi, l’inconcludenza di fondo, hanno fatto il resto. In questo, dobbiamo
dirlo, il popolo italiano ha manifestato una certa maturità: arginare fino
all’evitamento una deriva autoritaria tirannica da parte di un folle esagitato
come Grillo è stata una bella dimostrazione di buon senso. Non parleremo
neppure di Forza Italia, il cui leader, ormai completamente bollito, ha concluso
la sua parabola politica, dopo venti anni che ci hanno ricordato, non solo
temporalmente, il ventennio mussoliniano. Il vero nemico da abbattere era il
partito di Grillo, un pericoloso Robespierre dei poveri, un rozzo e volgare
populista che coltiva aspirazioni tiranniche. Ma adesso Renzi deve dimostrare
che il voto attribuitogli sulla fiducia non è solo fondato su promesse e
dichiarazioni di intenti: adesso bisogna andare in Europa e sventolare la
minaccia di un referendum in Italia sull’euro: è l’unico modo per smuovere il
pericoloso immobilismo tedesco ancora fermo sulle politiche del rigore e
dell’austerità. Non basta la mancia elettorale dei famosi ottanta euro, che non
risolvono un bel nulla: la barzelletta della ripartenza dei consumi con una
simile somma è semplicemente demenziale. Dunque, le riforme: ci vuole una
riforma epocale del mondo del lavoro, una sorta di New Deal che segue alla
Grande Depressione, serve l’innesco di meccanismi economici che facciano
ripartire la crescita e lo sviluppo, ma non utilizzando strumenti
convenzionali. La crisi italiana è troppo profonda e radicata nel tessuto del
paese: siamo l’unica nazione dell’eurozona tuttora in recessione, serve un
colpo di reni formidabile. E questo Renzi non lo può fare, per il semplice
motivo che gli mancano completamente le competenze. Non capisce nulla di
economia e finanza, tanto è vero che è riuscito, con una mossa autolesionista a
tassare il risparmio, perfino i conti correnti, una mossa palesemente
anticostituzionale che ha inferto il colpo mortale alle magre, residue finanze
degli italiani. E allora, se non ci sarà un cambiamento radicale delle
politiche di investimento in questo paese, arriverà presto la ben nota
“troika”, Commissione Europea, Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea.
In sostanza o Renzi smette di fare il buffone e comincia a governare davvero la
crisi con provvedimenti shock all’economia, o l’Italia, volenti o meno, sarà
commissariata. La perdita di sovranità non sarebbe di per sé un male: non siamo
capaci di autodeterminarci, arriva qualcuno che è in grado di farlo
dall’esterno. Ma il prezzo che saremmo costretti a pagare in questo caso
sarebbe altissimo: gli aiuti europei non sono mai gratis, si ripagano con
salatissimi interessi (vedi il caso della Grecia). Non abbiamo davanti a noi molto tempo:
l’ubriacatura che ha seguito la vittoria deve lasciare al più presto il posto
ad un programma serio, anche radicale, oltre al proposito di farla finita una
buona volta con il rigore e l’austerità, anche a costo di dividere l’euro in
due monete: una per il nord e l’altra per il sud Europa. Ma tutte queste cose
si possono realizzare con una solida preparazione, con una esperienza ed una
cultura economica e politica che il bullo di Firenze non possiede: non basta
essere giovani e propositivi, quando si arriva al dunque, in assenza di un
patrimonio di conoscenze indispensabile, si finisce col balbettare vaghe idee
di innovazione che sono vecchie ancor prima di vedere la luce. Forza Italia è
un partito finito, il Nuovo Centro Destra ha superato lo sbarramento solo in
virtù dell’alleanza con l’UDC, la Lega ha qualcosa da dire. Gli italiani, al di
là della stucchevole retorica del migrante
buono ad ogni costo perché sfuggito alla miseria o alle torture di governi
autoritari, costituisce un problema sempre più serio: siamo le porte dell’Europa
ma all’Europa non importa un accidente, ce la dobbiamo cavare da soli: con una
legislazione appropriata è giocoforza cercare di arginare una immigrazione
altrimenti inarrestabile. Può darsi che la Lega parli alla pancia, prima ancora
che alla mente degli italiani. Ma non le si può negare l’interpretazione
autentica del pensiero della stragrande maggioranza della popolazione, stanca
della trita demagogia della sinistra sulla società multietnica: che non è un
arricchimento, al contrario è un impoverimento della nostra identità culturale
e storica. Le questioni da affrontare sono dunque molteplici, le soluzioni mai
facili: una revisione globale della sciagurata legge Fornero, una riforma vera,
strutturale , del mercato del lavoro, la ridiscussione dei trattati europei con
la conseguente cessazione dei sacrifici che ci hanno strangolato, una politica
restrittiva sull’immigrazione, insomma la materia sulla quale dibattere non manca.
Vedremo se il bullo di Firenze sa fare qualcosa di più che parlare a raffica.
Noi, personalmente, lo dubitiamo fortemente. Lo dubita fortemente anche il 43%
degli italiani che non si è recato a votare.