domenica 23 febbraio 2014

BASTA UOMINI DELLA PROVVIDENZA



E così, il bulletto di Ponte Vecchio, dopo il fatidico “stai sereno” a palle d’acciaio Letta, in un men che non si dica è arrivato a Palazzo Chigi. Fedele al suo motto ”presto che è tardi”, ha bruciato tutti i tempi e le tappe possibili: dopo aver pugnalato nella schiena Enrico Letta, facendo ricorso ai consueti giochetti di Palazzo tanto cari a Re Giorgio I, si è fatto conferire l’incarico, con la benedizione di Silvio Berlusconi. Qui non si tratta di democrazia allentata o bloccata: qui la democrazia non c’entra proprio: un pregiudicato ed un extraparlamentare si incontrano, si mettono d’accordo non solo sulla legge elettorale, ma sicuramente anche su di un’altra serie di punti nodali, dopo di che il “rocket man” di Valdarno può partire con il suo colpettino piccolo piccolo di stato, con il placet del monarca regnante. Renzie piace a Berlusconi perché gli assomiglia: stessa verve, stessa voglia smisurata di emergere e di mettersi in luce, sotto i riflettori, stesso pragmatismo incoerente  e opportunista, nessuna idea di sinistra, anzi, stessa ricerca del potere, nel caso del cavaliere per confezionarsi le leggi ad personam, nel caso di Renzie per appagare il suo smisurato narcisismo. E Renzie, in effetti, con la sinistra non ha più nulla a che vedere: è un trasversalista funambolo, capace di qualunque acrobazia per restare in sella. Ha messo insieme, in quattro e quattro otto una squadra di ministri che assomiglia ad una accozzaglia di incapaci totali: persone senza esperienza e senza spessore, non in grado, ed è quello che conta, di fare ombra al grande dittatore. Renzie non ci piace, non lo nascondiamo, in primo luogo perché la politica non è una pagliacciata e, crediamo, lui l’affronta come un gioco, come una buffonata. La politica è una cosa seria e deve essere gestita da persone serie, non da guitti in cerca di facili successi e di ulteriore celebrità. Renzie non ha in testa una sola idea chiara: le sue sono solo vaghe dichiarazioni di intenti, annunci di provvedimenti che non vedranno mai la luce, perché quello che vuole fare in quattro mesi, ci vogliono quattro anni per farlo. Il suo entusiasmo da sbruffone sarà presto smorzato alla prima prova dei fatti: i rapporti con l’unione europea e con le altre istituzioni internazionali. Si renderà conto che l’Italia ha già dovuto cedere parte della propria sovranità per restare nell’euro e per continuare a galleggiare nella stagnazione economica nella quale ci troviamo: dovrà ob torto collo, eseguire, come i suoi predecessori, anzitutto quello che sarà contenuto nei pizzini che perverranno da Bruxelles, e poi dovrà piegare il capo dinanzi alle decine di lobbies, cosche e consorterie del nostro paese: i grandi professionisti, le banche, i boiardi di stato. Del suo programma iniziale, fatto solo di slogan e populismo a buon mercato, resterà , alla fine, ben poco. Padoan, una persona  che non si capisce bene cosa ci faccia in una simile compagine, non potrà fare altro che seguitare il percorso già tracciato per lui da Saccomanni, percorso che si può agevolmente riassumere in poche parole: tagli alla spesa pubblica e inasprimento delle pressione fiscale. Il neo ministro dell’economia dice di voler allentare il cuneo fiscale delle imprese: per poter raggiungere questo obiettivo occorre drenare soldi da qualche altra partita, per esempio istituendo una bella patrimoniale sulle rendite finanziarie. Ma c’è un però. I grandi capitali sono già fuggiti all’estero, e i pochi rimasti, dopo l’insediamento di Renzie sono in via di fuga oltre confine. Allora si tratterà di tassare il risparmio. Non le rendite finanziarie dei più ricchi, che non sono più raggiungibili, ma le piccole modeste rendite di chi, con sacrifici sovrumani è riuscito a mettere qualcosa da parte per investirlo. Questo non significa tassare i patrimoni, ma il risparmio. Sono due cose molto diverse. La tassazione del risparmio dà luogo ad un gettito sicuro, quella dei patrimoni, molto più aleatorio. Se questi cono i presupposti, era meglio tenersi palle d’acciaio Letta. Di Renzie infastidisce il suo “twittare”, il suo continuo giocare con le “nuove tecnologie”, corrive ed infantili: la politica non è fatta di chat o di ashtag, ma di continui ed estenuanti compromessi, di accorta diplomazia, di cambiamenti graduali e il più possibile indolori. Con la fretta non si va da nessuna parte e neppure con l’ossessione degli Ipad e degli Iphone. Che delizia assistere alla compiacenza, alla piaggeria, alla benevolenza con le quali questo Fonzie dei poveri è stato trattato da tutti i media, nessuno escluso, tutti incantati dal suo sterile vigore, dal suo inutile girare a vuoto. Se Renzie fallisce, visto che ci ha messola faccia, ha giurato di scomparire, ma è una ben magra consolazione, perché se abbiamo, anzi se gli uomini del palazzo hanno consegnato il potere a questo bullo, in caso di fallimento è l’Italia intera che finisce commissariata dalla Troika. E non sarebbe una gran bella fine. Non avevamo bisogno di arrampicatori arrivisti e narcisisti, ma di uomini assennati e capaci, magari eletti dalla popolazione, che non fa mai male. Ci ritroviamo con questo personaggio, auguriamoci per tutti che combini qualcosa, anche se una sola parte dei suoi impossibili programmi: è sempre meglio che andare a sbattere contro un muro.