E così, il bulletto di Ponte
Vecchio, dopo il fatidico “stai sereno” a palle d’acciaio Letta, in un men che
non si dica è arrivato a Palazzo Chigi. Fedele al suo motto ”presto che è tardi”,
ha bruciato tutti i tempi e le tappe possibili: dopo aver pugnalato nella schiena
Enrico Letta, facendo ricorso ai consueti giochetti di Palazzo tanto cari a Re
Giorgio I, si è fatto conferire l’incarico, con la benedizione di Silvio Berlusconi.
Qui non si tratta di democrazia allentata o bloccata: qui la democrazia non c’entra
proprio: un pregiudicato ed un extraparlamentare si incontrano, si mettono d’accordo
non solo sulla legge elettorale, ma sicuramente anche su di un’altra serie di
punti nodali, dopo di che il “rocket man” di Valdarno può partire con il suo
colpettino piccolo piccolo di stato, con il placet del monarca regnante. Renzie
piace a Berlusconi perché gli assomiglia: stessa verve, stessa voglia smisurata
di emergere e di mettersi in luce, sotto i riflettori, stesso pragmatismo incoerente e opportunista, nessuna idea di sinistra,
anzi, stessa ricerca del potere, nel caso del cavaliere per confezionarsi le
leggi ad personam, nel caso di Renzie per appagare il suo smisurato narcisismo.
E Renzie, in effetti, con la sinistra non ha più nulla a che vedere: è un trasversalista
funambolo, capace di qualunque acrobazia per restare in sella. Ha messo
insieme, in quattro e quattro otto una squadra di ministri che assomiglia ad
una accozzaglia di incapaci totali: persone senza esperienza e senza spessore,
non in grado, ed è quello che conta, di fare ombra al grande dittatore. Renzie
non ci piace, non lo nascondiamo, in primo luogo perché la politica non è una
pagliacciata e, crediamo, lui l’affronta come un gioco, come una buffonata. La
politica è una cosa seria e deve essere gestita da persone serie, non da guitti
in cerca di facili successi e di ulteriore celebrità. Renzie non ha in testa
una sola idea chiara: le sue sono solo vaghe dichiarazioni di intenti, annunci
di provvedimenti che non vedranno mai la luce, perché quello che vuole fare in
quattro mesi, ci vogliono quattro anni per farlo. Il suo entusiasmo da
sbruffone sarà presto smorzato alla prima prova dei fatti: i rapporti con l’unione
europea e con le altre istituzioni internazionali. Si renderà conto che l’Italia
ha già dovuto cedere parte della propria sovranità per restare nell’euro e per
continuare a galleggiare nella stagnazione economica nella quale ci troviamo:
dovrà ob torto collo, eseguire, come i suoi predecessori, anzitutto quello che
sarà contenuto nei pizzini che perverranno da Bruxelles, e poi dovrà piegare il
capo dinanzi alle decine di lobbies, cosche e consorterie del nostro paese: i
grandi professionisti, le banche, i boiardi di stato. Del suo programma
iniziale, fatto solo di slogan e populismo a buon mercato, resterà , alla fine,
ben poco. Padoan, una persona che non si
capisce bene cosa ci faccia in una simile compagine, non potrà fare altro che
seguitare il percorso già tracciato per lui da Saccomanni, percorso che si può
agevolmente riassumere in poche parole: tagli alla spesa pubblica e
inasprimento delle pressione fiscale. Il neo ministro dell’economia dice di
voler allentare il cuneo fiscale delle imprese: per poter raggiungere questo
obiettivo occorre drenare soldi da qualche altra partita, per esempio
istituendo una bella patrimoniale sulle rendite finanziarie. Ma c’è un però. I
grandi capitali sono già fuggiti all’estero, e i pochi rimasti, dopo l’insediamento
di Renzie sono in via di fuga oltre confine. Allora si tratterà di tassare il risparmio. Non le rendite finanziarie
dei più ricchi, che non sono più raggiungibili, ma le piccole modeste rendite
di chi, con sacrifici sovrumani è riuscito a mettere qualcosa da parte per
investirlo. Questo non significa tassare i patrimoni, ma il risparmio. Sono due
cose molto diverse. La tassazione del risparmio dà luogo ad un gettito sicuro,
quella dei patrimoni, molto più aleatorio. Se questi cono i presupposti, era
meglio tenersi palle d’acciaio Letta. Di Renzie infastidisce il suo “twittare”,
il suo continuo giocare con le “nuove tecnologie”, corrive ed infantili: la
politica non è fatta di chat o di ashtag, ma di continui ed estenuanti
compromessi, di accorta diplomazia, di cambiamenti graduali e il più possibile
indolori. Con la fretta non si va da nessuna parte e neppure con l’ossessione
degli Ipad e degli Iphone. Che delizia assistere alla compiacenza, alla
piaggeria, alla benevolenza con le quali questo Fonzie dei poveri è stato
trattato da tutti i media, nessuno escluso, tutti incantati dal suo sterile
vigore, dal suo inutile girare a vuoto. Se Renzie fallisce, visto che ci ha
messola faccia, ha giurato di scomparire, ma è una ben magra consolazione, perché
se abbiamo, anzi se gli uomini del palazzo hanno consegnato il potere a questo
bullo, in caso di fallimento è l’Italia intera che finisce commissariata dalla Troika.
E non sarebbe una gran bella fine. Non avevamo bisogno di arrampicatori
arrivisti e narcisisti, ma di uomini assennati e capaci, magari eletti dalla
popolazione, che non fa mai male. Ci ritroviamo con questo personaggio,
auguriamoci per tutti che combini qualcosa, anche se una sola parte dei suoi impossibili
programmi: è sempre meglio che andare a sbattere contro un muro.