lunedì 30 agosto 2010

L'AUTONOMIA POSSIBILE

Ci si domanda spesso, anche sulle pagine di “comedonchisciotte”, (lo hanno fatto autorevoli autori), nell’ambito dell’attuale (e futuro) quadro socioeconomico, quale piega, quale direzione potrebbe prendere la contestazione, segnatamente quella giovanile o studentesca, a fronte degli scenari non certo rosei che si prospettano all’orizzonte. E’ una domanda pertinente, se non altro perché, in questa come in molte altre materie, è difficilissima una previsione. E’ infatti pur vero che una delle possibilità che si intravedono è quella che non succeda un bel nulla. L’unico luogo dove appare convogliata la carica di aggressività e di violenza, soprattutto giovanile è, per il momento, lo stadio. Insomma, è concreta la possibilità che lo sposare una ideologia, il contestare, l’opporsi allo status quo e via discorrendo, non produca in realtà alcun movimento giovanile o meno, ma che, viceversa, ci si abbandoni ad una cupa rassegnazione, si segua stancamente il corso degli eventi, ci si rinchiuda nel proprio piccolo mondo, angusto ma rassicurante. Questo per il venir meno delle grandi ideologie del Novecento, dal materialismo storico del marxismo, degenerato nello stalinismo, ai nazionalsocialismi trasformati e adeguati alla realtà della politica dal nazismo. Non si profila, allo stato attuale, un complesso ideologico o filosofico che possa in qualche modo soppiantare gli analoghi del Novecento, e che possa validamente contrastare un capitalismo giunto comunque al punto di rottura, ad una crisi probabilmente irreversibile, che sta, in ogni caso, esaurendo il proprio ciclo storico. Non si tratta, si badi bene, della ricerca di una “terza via” che possa sostituirsi al liberismo, l’attuale sistema economico finanziario, che è destinato, con gli opportuni cambiamenti, a restare in vita ancora per un pezzo, se non altro per la gestione ed il mantenimento dell’attuale stato di crisi, ma del sorgere, almeno a livello ancora embrionale, di un movimento che a questo sistema neoliberista, a questa politica corrotta ed inetta, sappia opporre un diverso modo di amministrare la cosa pubblica e di soppiantare un capitalismo distrutto dalle proprie contraddizioni, con un sistema più equilibrato ed umano. Le attuali forze politiche, almeno in Europa, tutte, dalla sinistra estrema alla destra super conservatrice, non appaiono neppure lontanamente in grado di operare questa innovazione. Si dibattono, si agitano e confliggono per questioni superficiali e risibili, chiusi dentro il recinto del loro interesse particolare, non si sforzano neppure di concepire un modello alternativo.
Potrebbe però farsi strada una seconda ipotesi, che deriverebbe da forze fresche e depositarie di una formidabile carica innovativa (per questo facevo riferimento ai giovani studenti) e che, in luogo di sposare una causa ancora di là da venire, potrebbero fondere tra di loro le code degli ultimi barlumi del movimento degli anni settanta e (in parte) ottanta, almeno prima del loro definitivo scioglimento. Sarebbe un po’ come riprendere un sentiero interrotto, azzardando una sinergia tra alcune componenti che, almeno negli anni prima della fine, avevano tentato un improbabile accostamento, o, quantomeno, una presa di contatto.
Occorre, a questo punto, fare riferimento al discorso quando si interruppe. Per chi, come chi scrive, ha vissuto in prima persona l’ultimo scorcio degli anni settanta, è ancora vivo il ricordo di un grande fermento di idee, un florilegio di slanci rivoluzionari, più o meno velleitari, di grandi entusiasmi afinalistici, di illusioni e disinganni, ma anche di confusione, disorientamento, contraddizione. Dopo i primi anni settanta, costellati da episodi violenti, da una tragica rotta di collisione tra estremisti di destra e di sinistra, dal 1975/76 in poi, una possibile tregua inizia a prefigurarsi. Chi militava nelle file dell’Autonomia Operaia sapeva che gli ideologi del movimento, Toni Negri, Franco Piperno, Oreste Scalzone, ma anche Emilio Vesce e Luciano Ferrari Bravo, avevano avuto dei contatti, degli abboccamenti, con una delle ali fondamentali del movimento di estrema destra. I contatti avvennero anche attraverso le riviste, le pubblicazioni che allora conoscevano una certa diffusione, e divennero il forum della discussione su di una eventuale dialettica tra opposti estremismi. Si trattava, per la destra, di Ordine Nuovo e di Terza Posizione, della rivista “Linea” e per l’Autonomia parteciparono al dibattito soprattutto “Rosso”, “I Volsci” e “Controinformazione”. Non si trattò di un dibattito aperto, cristallino, condotto alla luce del sole, ma chi, nell’Autonomia, si occupava di critica politica piuttosto che di menare le mani durante le operazioni di guerriglia urbana o nei cortei, era consapevole che qualcosa si stava muovendo nella direzione di una possibile, per quanto paradossale, intesa. Era, in un certo senso, come se il cerchio si dovesse chiudere: gli estremi si potevano toccare e una parte di Ordine Nuovo avrebbe potuto riversarsi nell’Autonomia, e viceversa. Non a caso si trattava dei due movimenti più radicali e quindi più atipici nel panorama della sinistra e destra extraparlamentari. Dopo Ordine Nuovo c’erano le trame nere del terrorismo, dopo l’Autonomia, la scelta irrevocabile delle Brigate Rosse. In diverse occasioni, anzi, l’area occupata dall’Autonomia Operaia fu oggetto di accuse di osmosi con le colonne brigatiste. Questo non corrisponde esattamente al vero. Trattandosi di un’area di pensiero, più che di una vera organizzazione inquadrata come un partito, nell’Autonomia capitava un po’ di tutto, dal fine analista politico, al gaglioffo frustrato che veicolava la propria personale aggressività. In questo senso era possibile il reclutamento, valutando caso per caso, da parte di esponenti delle Brigate Rosse e di Prima Linea. Ma tornando ai possibili denominatori comuni, diremo che i più eminenti “cattivi maestri” dell’Autonomia, Toni Negri in primo luogo, celarono, neppure troppo bene, dietro un marxismo rivisitato e di maniera, una matrice ideale che assomigliava molto da vicino a quella di Pino Rauti, di Julius Evola, di René Guenon. Negri, sopra a tutti, aveva un modo di scrivere ampolloso e forbito, da stile dannunziano, qua e là emergevano delle retroidee di sapore niciano o wagneriano. Il culto del “bel gesto” rivoluzionario, come l’esproprio proletario, il volantinaggio, la scritta murale, la disobbedienza organizzata, il sabotaggio, finanche le operazione di “fiancheggiamento”, sono compiute dall’”avanguardia della rivoluzione”, una specie di super uomo che indica alle masse la via da seguire. La distinzione tra “operaio massa” e “operaio sociale” è, a questo proposito, emblematica. Praticamente tutti gli ideologi di Autonomia erano di estrazione borghese o alto borghese, molti dei quadri dirigenti sul territorio erano rampolli di buone famiglie. Ma tutti potevano rientrare, al di là del censo, nella categoria di “operaio sociale”. I saggi pubblicati all’epoca, considerati l’anima ideologica dell’Autonomia, “Proletari e Stato”, “La forma Stato” e “Il dominio e il sabotaggio” sono assolutamente, se letti in filigrana, paradigmatici: percorre queste opere un sottile disprezzo per la classe operaia (che era, ovviamente, lontanissima dai sottili sofismi di Negri e compagni) ed una esaltazione del gesto individuale che diventa modello comportamentale, esempio per le “masse” che esistevano solo a livello immaginario. Allo stesso modo, dall’altra parte l’ala più critica al conservatorismo di destra, quella imbevuta degli scritti di Rauti ed Evola, osservava con una certa empatia taluni aspetti del movimento di Autonomia. L’aspetto più propriamente “nazionalsocialista” di quel movimento, il riferimento culturale ai primi proclami fascisti di San Sepolcro, un certo “corporativismo” mai realizzato, la cosiddetta Carta di Verona, il modello statale appena abbozzato dalla Repubblica Sociale, erano motivi di accostamento al movimento di estrema sinistra. Altri punti di condivisione erano il comune, profondo, incrollabile odio per il capitalismo, il liberismo, l’avversione di entrambi i movimenti per Israele a favore della lotta di emancipazione palestinese e per quella parte dell’ebraismo che detiene le leve del potere economico finanziario mondiale. Il dibattito, che ricordiamo comunque essere al solo livello embrionale e non formulato apertamente, fu bruscamente interrotto dalla scelta sciagurata della Brigate Rosse di assassinare Aldo Moro, cui, fisiologicamente, corrispose lo sgretolamento e lo smantellamento dei movimenti extraparlamentari. Le Brigate Rosse continuarono ancora per qualche anno la loro disperata e dissennata corsa verso l’annientamento, i “cattivi maestri” si ritirarono in buon ordine, o fuggirono all’estero. Rauti, più realisticamente, rientrò nelle fila di una destra costituzionale. Questo per chiudere il breve excursus su quegli anni. Ma oggi? Cosa potrebbe prospettarsi? Sia chiaro che non conosco il Sig. Evangelisti, né la sua opera, ho letto il suo articolo, correttamente rimosso dal sito “comedonchisciotte”, senza capire alcunchè, confuso e contraddittorio com’era. Non sto vaneggiando infatti di eventuali “camicie rosso-brune”, ipotesi quantomeno stravagante, ma, tornando alle righe iniziali, mi domando dove potrebbe rivolgersi, come un fuoco che cova sotto le ceneri, quel patrimonio rivoluzionario, quello slancio innovativo, di protesta e di contestazione, tipico degli animi giovanili. In assenza di una dottrina filosofica o politica che soppianti comunismo e nazismo, per quanto riguarda il nostro paese, si potrebbero riannodare quelle fila del discorso interrotto. La famosa “terza via “ al marxismo ed al nazionalsocialismo potrebbe essere una fusione degli ideali abbracciati dai due movimenti più estremi della nostra storia politica recente. Una fusione a freddo, certo, nel senso che entrambi gli schieramenti accoglievano valori, o disvalori, della illegalità e della violenza che oggi potrebbero suscitare solo ripugnanza. Una operazione difficile anche perché talune posizioni sarebbero in ogni caso troppo lontane, inconciliabili, anche se il mutato scenario mondiale, con la globalizzazione ed i flussi immigratori, e la recente, sempre più drammatica crisi economico finanziaria potrebbero facilitare una operazione del genere. Si tratta solo di una ipotesi, che avrebbe comunque in ordine tempi lunghissimi, considerata l’attuale apatia (che a volte sfiora la catalessi politica) del mondo giovanile. Però, se non diamo retta alla stampa ufficiale, man mano che ci si addentrerà nella stagnazione e nella recessione economica, sarà giocoforza passare all’azione diretta, o almeno, considerare seriamente l’idea della costituzione di movimenti antagonisti l’attuale assetto politico amministrativo. Sotto le insegne della sola “Autonomia”, priva dell’aggettivazione “operaia” ormai completamente fuori luogo, potrebbe riprendere il sentiero interrotto dalla violenza mortale delle Brigate Rosse, e sarebbe possibile trovare consensi anche da parte di persone allevate sotto ideali della destra storica. Una Autonomia svuotata, nella sostanza, del contenuto schiettamente marxista, e più aperta alle spinte ecologiste, antiglobalizzazione (ma prescindendo sempre dalla violenza dei black blockers) anti neoliberista e preparata ad una dialettica con l’economia di mercato, con la quale, almeno per un certo tempo, dovremo ancora fare i conti.
Ho volutamente escluso, aprioristicamente, la possibilità che si sviluppi, a livello nazionale, un movimento giovanile dai connotati razzisti. Un movimento che catalizzi la propria attenzione sul consueto “capro espiatorio” costituito, in questo caso, dallo straniero. Nel nostro paese, checchè ne dica la retorica dei mezzi di comunicazione e i cosiddetti “politologi”, non esiste né una cultura razzista, né i presupposti per la formazione di un movimento nel quale alberghi questo sentimento. A differenza di altri paesi europei, nei quali esiste un certo seguito per partiti dichiaratamente xenofobi, in Italia, l’unica formazione politica che si può teoricamente accostare a questo tipo di prassi è la Lega Nord. Ma, a parte il radicamento territoriale limitato ad una sola parte del paese, questa formazione politica, più che la xenofobia accarezza dalla nascita un solo sogno, un solo fine, mai esplicitamente dichiarato: la secessione. Prendendo ad esempio paesi come la Spagna con la Catalogna o i Paesi Baschi, e il Belgio con la divisione tra fiamminghi e valloni, la Lega Nord, con una politica che esclude comunque la violenza, vuole progressivamente arrivare alla costituzione di una repubblica della cosiddetta “Padania”. Le “ronde” per il controllo del territorio, non a caso, si sono rivelate un fiasco clamoroso, hanno abortito ancor prima di nascere. Solo in teoria, dunque, i flussi immigratori incontrollati e non regolamentati, potrebbero catalizzare e veicolare la carica aggressiva della popolazione: chi scrive vive a Genova, dove un intero quartiere, al pari di altre città, è stato letteralmente invaso da una popolazione sudamericana. L’unica vera reazione che si è verificata, è stata il progressivo abbandono del quartiere da parte della componente italiana, affetta da una sindrome da “accerchiamento” e divenuta straniera a casa propria. L’alternativa all’azione appare allora, allo stato attuale, solo quella di una deriva rassegnata ed involontariamente complice di una classe politica sempre più distante ed inconsapevole. Non si confonda, infine, l’Autonomia di allora con i cosiddetti “autonomi” che popolano gli odierni centri sociali: nulla hanno a che fare con una realtà che non conoscono neppure. Il loro è un ribellismo confuso e senza scopo, la loro cultura politica è praticamente azzerata. Non so se sia auspicabile un risveglio delle coscienze che si faccia latore di istanze concretamente di opposizione e di proposizione: il pericolo sempre in agguato, in questi casi, è imbrigliare e governare la carica di violenza che siffatti movimenti recano inevitabilmente con sé. Si può auspicare invece che qualche “maestro”, meno cattivo dei precedenti, propugnatori del famoso “armiamoci e partite”, concepisca un disegno politicamente forte, svincolato dalla componente violenta, e, soprattutto, che contenga proposte sensate ed attuabili, delle linee di partenza che possano finalmente arrivare e scuotere in modo salutare i palazzi della politica.
Agosto 2010 Roberto Tacchino