lunedì 12 settembre 2016

FESTIVAL DI VENEZIA: PERCHE’ ATTRIBUIRE IL LEONE D’ORO AD UN FILM CHE NON VEDRA’ NESSUNO? (NEPPURE I CRITICI?)



Il Palmarès della Mostra numero 73 è piuttosto comico. Il termine "Palmarès" indica, a Cannes, l'insieme dei premi. Loro hanno le Palme, noi abbiamo i Leoni. Però, guarda caso, non esiste in Italia un'espressione equivalente. Prevale quella francese, come prevale, sul Lido, il Festival della Croisette. A Cannes quest'anno ha vinto Ken Loach, con un film semplice, sociale, emozionante, che tra l'altro sta per uscire da noi. A Venezia ha vinto "The woman who left", film filippino del cinquantottenne Lav Diaz, 226 minuti, cioè quasi quattro ore, in bianco e nero, una storia narrata per lunghi quadri a camera fissa. Sarà un problema distribuirlo e vederlo. Sono sincero: sono uscito dopo un'ora e mezzo. Come me, tanti. Ma non ho avuto la minima tentazione, a premiazione ultimata, di recuperare le due ore e mezzo residue. Sono, e ci tengo a restare, uno spettatore normale. E non mi sembra giusto pretendere che chi va al cinema si voti al martirio.
Lav Diaz è un cineasta di nicchia, per cinefili integralisti. E pazienti. Il film che lo ha 'rivelato'a Venezia nel 2007 durava 9 ore. Ma la Giuria di Sam Mendes ha spensieratamente dato il Leone d'Argento del Gran Premio a un'opera che è giusto agli antipodi, "Nocturnal Animals"di Tom Ford, ottimo prodotto da sala ma ben lontano dal suo primo "A single man", che dal Lido ripartì a mani vuote. Domanda: che criterio di giudizio hanno seguito? Un po' snob e un po' no? Vorrei poter dire che sono d'accordo almeno con l'ex aequo per la Regia al Konchalowski di "Paradise"e al messicano Escalante di "La Regiòn Salvaje". Ma il primo mi è sembrato una rivisitazione retorica dei lager e delle kapò, mentre la piovra stuprante a mezzo di tentacoli-pene del secondo ha costernato l'universo compatto dei critici.
Lo sconforto dei più si è fatto palpabile quando hanno liquidato il sublime amarcord in musical di "La La Land"con la Coppa Volpi a Emma Stone. E quando hanno sistemato "Jackie"di Pablo Larraìn col Premio per la Sceneggiatura. (Da notare che i premiati non c'erano, sono rimasti a Toronto perché è là, mica al Lido, che si fa il vero business del cinema. A Cannes non succede). Il vero scandalo però è l'esclusione di "Une vie"di Stéphane Brizé, uno dei cinque film ( cinque su venti è pochino) che di questa Mostra bisogna proprio vedere. "Une vie" reinventa, letteralmente, il modo di traslocare la letteratura sullo schermo, cimentandosi con il romanzo omonimo di Maupassant. Brizé è un cineasta miracoloso che sperimenta linguaggi sempre diversi, ma tra i giurati forse soltanto Chiara Mastroianni aveva visto il suo precedente "La Loi du Marché". Ancora una volta, cosa guardano, e come ? Cosa guardano se si fanno imbrogliare da una modesta epigona di Tarantino come Ana Lily Amirpour? Hanno sfornato un Premio Speciale per il suo "The Bad Batch", che rubacchia da Carpenter ("1997 Fuga da New York") e da "Mad Max". Con sanguinari cannibali in più. Un bluff pretenzioso, parola di una che stravede per il genere horror.
Quando è salito sul palco, Sam Mendes (che i suoi 007 si guarda bene dal farli durare quattro ore) ha citato Orwell : "tutti i film sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri". Usando la scala gerarchica de"La fattoria degli animali", i nostri tre italiani sono rimasti sul gradino più basso, "meno uguali"degli altri. Meno per colpa loro che di chi li ha messi in concorso, esponendoli a un pernicioso "effetto boomerang". Inutile baloccarsi con lamentele e scomuniche. A "Orizzonti"ha vinto "Liberami", documentario sugli esorcisti di Federica Di Giacomo. Alla vetrina panamericana di Toronto, da Venezia hanno voluto solo "Indivisibili". I premi a latere, come il Pasinetti, sono andati sempre al film di De Angelis e a "La ragazza del mondo". Tutti e due snobbati dalla "serie A"e recuperati dalle periferiche"Giornate degli Autori". Non è che siamo incapaci. Si può fare. Ricominciamo da tre.