lunedì 12 ottobre 2015

UNIVERSITA': I FUORI SEDE DALLE UOVA D'ORO



Sostegno pubblico quasi inesistente, affitti cari con picchi a Milano e Roma, pochi benefici fiscali e locazioni senza regole.
Studiare e vivere fuori sede diventa sempre più difficile.
METÀ AFFITTI IN NERO. Nel 50% dei casi il contratto di affitto è totalmente in nero, mentre nel 25% risulta registrato per una cifra inferiore a quella realmente pagata.
Proibitivo optare per una facoltà scientifica dell’ateneo di una grande città: la scelta potrebbe portare una famiglia residente nel Sud o nelle Isole a dover impegnare oltre la metà del proprio reddito.
AIUTI PER ORIENTARSI. È quanto è emerso da uno studio dell’Ufficio Politiche abitative della Cgil nazionale che, in collaborazione con il Sunia (Sindacato unitario nazionale inquilini e assegnatari) e l’Udu (Unione universitari), ha elaborato un vademecum per aiutare gli studenti a orientarsi tra norme, sanzioni e agevolazioni fiscali.
Casa: la spesa incide fino all'80% del budget
Sono circa 600 mila gli universitari che si stabiliscono in altre città affrontando spese che incidono pesantemente sui redditi delle famiglie, tanto che in questo momento di crisi economica essere fuori sede rischia di diventare una condizione riservata a sempre meno studenti.
L’accesso allo studio è strettamente legato alla capacità di sostenere soprattutto i costi abitativi, di un posto letto, una stanza singola o un monolocale quando la capacità economica è maggiore.
Questa spesa incide fino all’80% del budget di ogni ragazzo.
CONFRONTO UE IMPIETOSO. Impietoso il confronto con altri Paesi europei: il sistema di diritto allo studio universitario italiano offre posti letto in strutture organizzate solo per il 2% degli studenti fuori sede, contro il 10% di Francia e Germania e il 20% di Danimarca e Svezia.
NETTO CALO DI ISCRIZIONI. Secondo le elaborazioni della Cgil su dati Istat dopo l’aumento delle immatricolazioni dal 2000 al 2003 (+19%), negli ultimi anni si è registrato un vistoso calo delle iscrizioni all’università: dal 2003, anno del massimo storico di 338 mila, al 2013 con 270 mila, il calo è stato del 20% ed è l’effetto combinato di più fattori.
NEGLI ALTRI PAESE SEGNO +. Con la crisi la propensione a intraprendere gli studi universitari si è ridotta, soprattutto nel meridione, a differenza dei principali Paesi Ocse, dove sono al contrario aumentati, almeno fino al 2010.
Il calo ha riguardato tutte le aree disciplinari (in quella scientifica la flessione è molto lieve) e soprattutto gli atenei più grandi.
Tasse: retta universitaria lievitata del 5% in un anno
Secondo quanto calcolato da Cgil, Sunia e Udu la voce di spesa che segue quella dell’affitto comprende tasse e contributi universitari (quantificati in base al proprio indicatore Isee), a cui bisogna aggiungere la tassa regionale per il diritto allo studio.
Oltre ai costi delle rette universitarie, lievitati del 5% solo nell’ultimo anno (l’incremento maggiore degli ultimi 5), gli studenti devono acquistare libri e materiali didattici.
IN 10 ANNI AUMENTI DEL 50%. Poi ci sono le spese per le utenze, i pasti e i trasporti.
Dal 2005 le università italiane hanno deliberato aumenti di oltre il 50%, passando da una tassazione media di 736,91 euro a 1.112,35.
L'Italia è al terzo posto in Europa per entità di contributi studenteschi, come certificato dall’Ocse.
LE PIÙ CARE? MILANO E ROMA. Molto dipende dalla città dove si sceglie di studiare (le più care sono Milano e Roma) e dalla facoltà (le più costose sono Medicina, Ingegneria e Architettura).
Secondo i dati forniti dallo studio, mediamente le spese essenziali per uno studente fuori sede incidono per il 23,8% sui bilanci delle famiglie, variando da un minimo del 21,44% al Nord-Ovest al 31% delle isole.
Per le condizioni più onerose (città e facoltà più costose) le incidenze variano da un minimo del 39,81% nel Nord-Ovest a un massimo del 57,59% delle isole.
AL SUD SI BRUCIA METÀ REDDITO. Per una famiglia residente nel Sud o nelle isole, quindi, la scelta di far studiare il proprio figlio in una facoltà scientifica di ateneo di una grande città, porterebbe a dover impegnare oltre la metà del proprio reddito.
Paragrafo a parte per gli studenti stranieri: in questo caso un monitoraggio effettuato nelle principali città sedi di Università ha rilevato un aumento dei canoni del 25-30% in più rispetto a quelli dei contratti stipulati a studenti italiani.
Vademecum: sugli affitti fate rispettare la Legge 431/98
Cgil, Sunia e Udu hanno elaborato un vademecum con le indicazioni su come comportarsi.
Esiste una normativa che disciplina i contratti per gli universitari, è la Legge 431/98, che va rispettata «soprattutto perché», ricorda la Cgil, «nell’irregolarità gli studenti si vedono negate opportunità e benefici che possono avere solo se il contratto è sottoscritto e registrato».
CANONI 'CALMIERATI'. La legge prevede per gli universitari il diritto a canoni d'affitto “calmierati” e stabiliti da un accordo tra le associazioni di categoria e i Comuni.
Ogni città ha una tabella in cui vengono riportate, zona per zona, il canone minimo e il canone massimo che il proprietario può esigere.
Oltre a dover attestare il proprio status di studente, l'altra condizione per avere diritto a una tariffa inferiore al prezzo di mercato è che il contratto abbia una durata minima di 6 mesi e una massima di 36 mesi.
«CHIEDETE AI PROPRIETARI». Ed ecco l’appello agli studenti: «Chi sta cercando casa, deve chiedere sempre in modo esplicito al proprietario il rispetto della legge 431. È possibile rivolgersi ad agenzie create e controllate dagli enti locali e dalle associazioni di categoria e, in alternativa c'è sempre il numero verde della Guardia di finanza, il 117, per evitare di vedersi negati i propri diritti».