giovedì 2 ottobre 2014

IL DEF DI RENZI E PADOAN UCCIDE L'ECONOMIA



Più soldi in busta paga? Rilancio dei consumi? A quanto pare, l’“annuncite” di cui è accusato il premier Matteo Renzi verrebbe confermata anche dai numeri messi nero su bianco dal suo ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, alla nota di aggiornamento del Def, il Documento economico e finanziario del governo, che smentisce la promessa del premier di non aumentare le tasse. Se da un lato, l’esecutivo italiano chiede alla Commissione europea di rinviare al 2017 il raggiungimento del pareggio di bilancio, a causa dell’andamento dell’economia italiana “peggiore degli anni della Grande Depressione”, dall’altro si guarda bene dall’irritare i nuovi commissari di Bruxelles e per rassicurarli, ha inserito una clausola di salvaguardia di ben 51 miliardi di euro nel triennio 2016-2018, riguardanti l’aumento dell’IVA e di altre imposte indirette minori (accise su carburante e tabacchi, ex IMU, etc).
Nel dettaglio, l’Italia si è impegnata a un aggiustamento di bilancio pari a 12,4 miliardi nel 2016, a 17,8 miliardi nel 2017 e a 21,4 miliardi nel 2018. Il totale fa 51,6 miliardi. Nel caso in cui il governo non fosse in grado di raggiungere l’obiettivo con misure di risparmio, entrerebbero automaticamente in vigore gli aumenti delle aliquote IVA e di altre imposte, ipotesi inizialmente negata dal ministro Padoan, ma che circola da diverse settimane tra i palazzi della politica.
Ipotesi di stangata
Ora, tenendo presente che un punto di IVA in più equivale grosso modo a 4,2 miliardi di euro, un aumento di una cinquantina di miliardi tra IVA e altre imposte implicherebbe una stangata di una decina di punti percentuali sull’imposta che grava sui consumi. Considerando che le aliquote IVA sono 3 e che quella più alta è già al 22%, è molto probabile che il colpo durissimo ai consumi sarà inferto con l’aliquota del 10%, che potrebbe salire fino al 15%, ad esempio, mentre sarebbe soppressa l’aliquota agevolata del 4%, oggi applicata sui beni agricoli e sui libri, tra gli altri. Quest’ultima potrebbe essere sostituita da una nuova aliquota al 7-8%, mentre il resto del gettito sarebbe ottenuto eliminando le diverse agevolazioni fiscali previste sempre per l’IVA.
Il governo stesso ipotizza effetti recessivi per lo 0,7% del pil (ottimismo allo stato puro!) alla fine del periodo, frutto di una contrazione dei consumi e degli investimenti per l’1,3%.
I rischi da clausola
Ovviamente, il fatto che l’Italia s’impegni a raggiungere l’obiettivo del pareggio con la clausola di salvaguardia non implica necessariamente che essa sarà esercitata o che sarà usata per intero. Formalmente, si tratta di un espediente, a cui i governi italiani stanno facendo sempre più ricorso negli ultimi anni, sia per rassicurare l’Europa sul mantenimento degli impegni, sia per “legarsi le mani” sul fronte politico ed evitare così che i target siano messi in discussione. E’ il caso, ad esempio, anche della cosiddetta tecnica che tagli lineari automatici, che scattano quando non si è in grado di attuare risparmi specifici.
Tuttavia, l’impegno di Renzi e Padoan preoccupa nella misura e nella qualità. 51,6 miliardi equivalgono a oltre 3 punti percentuali di pil. Vincolarsi per una somma così rilevante è semplicemente rischioso, perché la politica italiana ha già dimostrato proprio sull’IVA di non essere in grado di evitare che scatti la clausola, paralizzata da veti interni alle maggioranze. Il fatto, poi, che ancora una volta si prenda di mira l’IVA è sintomatico di un ragionamento tecnico-politico, per cui non si comprende che proprio l’elevata pressione fiscale sui consumi, oltre che sui redditi, ha messo in crisi le vendite al dettaglio e ha fatto piombare l’Italia nella terza recessione in meno di 6 anni.
Infine, esporre commercianti, imprese e famiglie alla spada di Damocle di una clausola di salvaguardia così potenzialmente devastante allontana ancora di più gli investimenti dall’Italia e alimenta aspettative negative, quando servirebbe una ventata di ottimismo dalle basi solide. Sarà un pò più difficile stavolta per il premier-rottamatore e comunicatore giustificare quanto scritto sul Def.  (source)

I sondaggi danno in costante aumento la fiducia della popolazione italiana nel parolaio di Firenze. L'ultima boutade, il TFR in busta paga (che penalizzerebbe lavoratori e imprese) non è stata interpretata per quello che è: propaganda politica con i soldi dei cittadini. E allora non ci lamentiamo più di tanto: abbiamo il premier che ci meritiamo.