Più soldi in busta paga?
Rilancio dei consumi? A quanto pare, l’“annuncite”
di cui è accusato il premier Matteo
Renzi verrebbe confermata anche dai numeri messi nero su bianco
dal suo ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, alla nota di aggiornamento
del Def, il Documento economico e finanziario del governo, che smentisce la
promessa del premier di non aumentare le tasse. Se da un lato, l’esecutivo
italiano chiede alla Commissione europea di rinviare al 2017 il raggiungimento
del pareggio di bilancio, a causa dell’andamento dell’economia italiana
“peggiore degli anni della Grande Depressione”, dall’altro si guarda bene
dall’irritare i nuovi commissari di Bruxelles e per rassicurarli, ha inserito
una clausola di salvaguardia di ben 51 miliardi di euro nel triennio 2016-2018,
riguardanti l’aumento dell’IVA e di altre imposte indirette minori (accise su
carburante e tabacchi, ex IMU, etc).
Nel dettaglio, l’Italia si è
impegnata a un aggiustamento di bilancio pari a 12,4 miliardi nel 2016, a 17,8
miliardi nel 2017 e a 21,4 miliardi nel 2018. Il totale fa 51,6 miliardi. Nel
caso in cui il governo non fosse in grado di raggiungere l’obiettivo con misure
di risparmio, entrerebbero automaticamente in vigore gli aumenti delle aliquote
IVA e di altre imposte, ipotesi inizialmente negata dal ministro Padoan, ma che
circola da diverse settimane tra i palazzi della politica.
Ipotesi di
stangata
Ora, tenendo presente che un punto di IVA in più equivale grosso modo a 4,2
miliardi di euro, un aumento di una cinquantina di miliardi tra IVA e altre
imposte implicherebbe una stangata di una decina di punti percentuali
sull’imposta che grava sui consumi. Considerando che le aliquote IVA
sono 3 e che quella più alta è già al 22%, è molto probabile che il colpo
durissimo ai consumi sarà inferto con l’aliquota del 10%, che potrebbe salire
fino al 15%, ad esempio, mentre sarebbe soppressa l’aliquota agevolata del 4%,
oggi applicata sui beni agricoli e sui libri, tra gli altri.
Quest’ultima potrebbe essere sostituita da una nuova aliquota al 7-8%, mentre
il resto del gettito sarebbe ottenuto eliminando le diverse agevolazioni
fiscali previste sempre per l’IVA.
Il governo stesso ipotizza effetti recessivi per lo 0,7% del pil (ottimismo
allo stato puro!) alla fine del periodo, frutto di una contrazione dei consumi
e degli investimenti per l’1,3%.
I rischi da clausola
Ovviamente, il fatto che l’Italia s’impegni a raggiungere l’obiettivo del
pareggio con la clausola di salvaguardia non implica necessariamente che essa
sarà esercitata o che sarà usata per intero. Formalmente, si tratta di un
espediente, a cui i governi italiani stanno facendo sempre più ricorso negli
ultimi anni, sia per rassicurare l’Europa sul mantenimento degli impegni, sia
per “legarsi le mani” sul fronte politico ed evitare così che i target siano
messi in discussione. E’ il caso, ad esempio, anche della cosiddetta tecnica
che tagli lineari automatici, che scattano quando non si è in grado di
attuare risparmi specifici.
Tuttavia, l’impegno di Renzi e
Padoan preoccupa nella misura e nella qualità. 51,6 miliardi equivalgono a
oltre 3 punti percentuali di pil. Vincolarsi per una somma così rilevante è
semplicemente rischioso, perché la politica italiana ha già dimostrato proprio
sull’IVA di non essere in grado di evitare che scatti la clausola, paralizzata
da veti interni alle maggioranze. Il fatto, poi, che ancora una volta si prenda
di mira l’IVA è sintomatico di un ragionamento tecnico-politico, per cui non si
comprende che proprio l’elevata pressione fiscale sui consumi, oltre che sui
redditi, ha messo in crisi le vendite al dettaglio e ha fatto piombare l’Italia
nella terza recessione in meno di 6 anni.Infine, esporre commercianti, imprese e famiglie alla spada di Damocle di una clausola di salvaguardia così potenzialmente devastante allontana ancora di più gli investimenti dall’Italia e alimenta aspettative negative, quando servirebbe una ventata di ottimismo dalle basi solide. Sarà un pò più difficile stavolta per il premier-rottamatore e comunicatore giustificare quanto scritto sul Def. (source)
I sondaggi danno in costante aumento la fiducia della popolazione italiana nel parolaio di Firenze. L'ultima boutade, il TFR in busta paga (che penalizzerebbe lavoratori e imprese) non è stata interpretata per quello che è: propaganda politica con i soldi dei cittadini. E allora non ci lamentiamo più di tanto: abbiamo il premier che ci meritiamo.