lunedì 4 novembre 2013

L'ABITUDINE AL MALE



A far data, almeno, dall’inizio della crisi, cinque anni fa, si sta facendo sempre più strada, nei cittadini, nelle istituzioni, tra noi tutti, un sentimento di indifferenza, di chiusura al mondo esterno, di ripiegamento su noi stessi. E’ fatale, è una legge di natura, nei periodi difficili, specie se prolungati oltremisura, è normale un certo allontanamento dal mondo, dagli altri, un crescente sentimento di egoismo che ci isola, almeno parzialmente, da tutto il resto. E’ un sintomo di difesa, di ricerca di auto protezione da eventi esterni vissuti come potenzialmente pericolosi o dannosi. Ma c’è qualcosa di più. Il disvalore aggiunto della crisi è l’indifferenza al male, l’abitudine ad esso. Niente ci fa più seriamente indignare, nulla ci scompone davvero, ci fa infuriare, ci fa vergognare, suscita in noi un sentimento di concreta ribellione. Possiamo fare molti esempi: dalla madre che, ai Parioli, fa prostituire la figlia quindicenne con un’amica e partecipa ai proventi, ad un ministro delle Repubblica che telefona ad una persona arrestata ed incarcerata per chiederle se ha bisogno di qualcosa e che farà di tutto per tirarla fuori, al rumeno ubriaco che fa una strage al volante di una potente auto, al terrorista assassino Cesare Battisti che fa una conferenza in una Università brasiliana, ai due fucilieri della Marina che sono da quasi due anni in India, non essendo colpevoli, e nessuno fa qualcosa per tirarli fuori da una situazione che si trascinerà per anni, ad un pregiudicato, un vecchio miliardario, che siede ancora in Parlamento, quando dovrebbe esserne fuori dall’indomani del verdetto del tribunale, ad una classe politica, infine, talmente inetta e corrotta che andrebbe fatta oggetto, quantomeno, di un lancio di ortaggi e verdure. Una classe politica, si badi bene, totalmente incapace di intendere e volere, buona solo a raddoppiare le tasse, utilizzando denominazioni diverse, tagliare la spesa pubblica attraverso i consueti, facili, tagli lineari, impotente davanti ad una crisi che ci si divora vivi, non in grado di compiere il benché minimo provvedimento per stimolare una crescita che si allontana, a questo punto, indefinitamente. Ma non ce la possiamo prendere neppure con loro. Non sono che lo specchio pauroso di quello che siamo anche noi: sono il nostro ritratto di Dorian Gray. I politici italiani sono solo la proiezione delle nostre malefatte, dei nostri cattivi pensieri, della nostra cupidigia, del nostro egoismo, della nostra, soprattutto, incapacità di agire, di impegnarci in qualcosa di serio e di costruttivo, di scrollarci di dosso questa apatia rassegnata, questa abitudine al male. Qualche giorno fa, nell’ambito di una trasmissione pomeridiana sulla terza rete, un giovanotto dalla parola facile e dallo sguardo spento, ci voleva persuadere, con tanto di “esperti” del caso, invitati a dargli man forte, che è una cosa assolutamente “normale” dimenticarsi il proprio figlio, in tenera età, in auto, per poi lasciarcelo per delle ore, mettendo seriamente a repentaglio la sua vita. E’ colpa dello “stress” (quante stupidaggini sono scusate in nome dello “stress”), dei ritmi della vita moderna, dei tempi serrati, della fretta che ci attanaglia ecc. Ma quale stress? Ma quali ritmi della vita moderna? Ma se ci muoviamo come tanti automi, indifferenti a tutto e tutti! Ecco, se arriviamo a giustificare un atto criminale come dimenticarsi un figlio in macchina allora vuol dire che siamo arrivati. Che nulla ci fa più indignare, che va bene tutto, accettiamo tutto, dopo un primo, lieve sussulto della nostra coscienza, andiamo avanti come se niente fosse. E’ fin troppo ovvio che una persona che dimentica il proprio figlio in macchina andrebbe arrestata, messa in galera e lasciata in una cella per qualche tempo, a riflettere su come sia possibile un simile misfatto. Se arriviamo a giustificare atti del genere siamo come quel giovanotto che faceva il conduttore: dei simulacri d’uomo privi di risonanze emotive. Sia chiaro: questa tendenza all’assuefazione e alla tolleranza del male era qualcosa che si faceva già strada, dopo la vicenda di “mani pulite”, da qualche tempo, ancor prima dell’esplosione della crisi. La contrazione economica non ha fatto altro che accelerare dei tempi già in atto, che portare a compimento una condizione umana che già preesisteva dentro di noi. Il fatto stesso che, pur essendo consapevoli di essere governati da incapaci arroganti, nessuno, o quasi, abbia la forza o la volontà di scendere in piazza a gridare tutto il nostro disprezzo, la dice lunga. Come il popolo greco, trattato come un punching ball e abituato a qualsiasi privazione, anche noi abbiamo la propensione ad abituarci a tutto, ad accettare qualunque provvedimento, come se una nemesi storica si fosse abbattuta sulle nostre teste e sul nostro paese. Se in Grecia dovessero abbattere le pensioni minime a 100 euro al mese, posiamo stare certi che nessuno muoverà un dito. Quel popolo, e presto anche noi, è stato annientato, annullato, anestetizzato, narcotizzato non dalla crisi, come sarebbe facile supporre, ma dalla Troika. Da quell’associazione a delinquere che è composta da Commissione  Europea, BCE e Fondo Monetario Internazionale, che come missione ha scelto quella di azzerare le popolazioni che non rientrano nei parametri dei trattati europei. Non importa un accidente alla Troika se ci saranno vittime e morti lungo il ciglio della strada, bisogna andare avanti con il “risanamento”, a colpi di rigore e di austerity: alla crescita ci penseranno, se ne avranno la forza, le generazioni a venire. Ora, in nome del rigore tedesco, dobbiamo crepare tutti. L’abitudine al male, per tornare a noi, è qualcosa che si è già verificata, e più volte, nella storia dell’umanità progredita. E’ uno dei segni più tangibili di una crisi, ancor prima che economica e materiale, dei costumi e delle coscienze. Ha fatto la sua spettrale comparsa in ogni situazione terminale della storia: nella caduta dell’impero romano, nel declino lento e inesorabile di quello bizantino, nelle stanze della curia vaticana poco prima della calata dei barbari e della riforma protestante. Viviamo gli ultimi decenni del sistema capitalistico dell’economia, un’altra epoca terminale che durerà (i tempi della storia sono sempre lunghi) ancora parecchi decenni, ma è fatalmente destinata a far posto a qualcos’altro che ancora non siamo in grado di capire. La finanza svincolata dall’economia reale è la miglior prova del fallimento e della crisi irreversibile del liberismo. Siamo in piena decadenza, di costumi e, soprattutto di morale, non importa se laica o religiosa. Cerchiamo, nel nostro piccolo, di provare ancora, di fronte a certi avvenimenti, un barlume di indignazione, una scintilla di vergogna. E, soprattutto, per quel poco o tanto che possiamo fare, cerchiamo di agire, di combattere anche, perchè la stirpe dei giovanotti come quello che giustificava l’abbandono in auto dei propri figli, vengano spazzati via, da persone serie, motivate, consapevoli, in una parola, da esseri umani degni di questo nome.