martedì 19 novembre 2013

ANCORA ECONOMIA, SENZA BUGIE



La divisione, la distanza tra paese reale e mondo dei politicanti si fa sempre più vasta, assume i contorni di un fossato non valicabile. Con il patetico ministro Saccomanni in testa, impegnato a raccontare bufale dalla mattina alla sera, con don Letta “palle d’acciaio” che parla del nulla al nulla, ad una platea inesistente che non ascolta più i soliloqui di un presidente del consiglio che predica al deserto. Non deve stupire una simile, totale, generale, disaffezione del mondo reale nei confronti della casta parlamentare. I deputati e i senatori della Repubblica non sono stati eletti dagli italiani ma sono stati scelti dai capibastone dei partiti, secondo il principio fondante della porcata di una legge elettorale che i notabili dei partiti non hanno nessuna intenzione di cambiare. L’economia e la finanza sono i territori nei quali alligna il più alto grado di ignoranza possibile, sia da parte dei parlamentari che, ahinoi, da parte della grande maggioranza del pubblico. Diremo anzitutto di non dare il minimo credito a quello che si legge sulla carta stampata e soprattutto si dice nei telegiornali e nei talk show. Solo qualche sito indipendente su internet vi dirà le cose come realmente stanno. Ma anche sulla rete occorre saper scegliere. Il cavallo di battaglia di Saccomanni è la ripresa che vede in fondo al tunnel nel 2014. Non ci sarà nessuna ripresa, né nel 2014, né nel 2020. Per nove trimestri consecutivi l’Italia è in recessione, ha cioè il segno meno davanti al valore del PIL. Ma non è questo il segnale più preoccupante: l’indicatore fondamentale è costituito dal debito pubblico che ha raggiunto la ragguardevole cifra di 2028 miliardi di euro: non solo, il bello è che tende continuamente ad aumentare. Il governo di don Letta “palle d’acciaio” ha aumentato la spesa pubblica, invece di diminuirla, ed ora, come ci sta suggerendo l’OCSE, ci dobbiamo preparare ad una nuova manovra finanziaria d’autunno. La chiamano in vari modi: manutenzione dei conti, spending review, legge di stabilità, e via dicendo. Si chiama, in lingua italiana, manovra finanziaria, e si fa in due soli modi, in questo disgraziato paese: aumentando la pressione fiscale e tagliando linearmente la spesa pubblica. Dal momento che un ministro dell’economia ed uno squadrone di tecnici del tesoro non bastavano, si è chiamato un commissario straordinario, tale Cottarelli, ex funzionario, pensate un po’, del Fondo Monetario Internazionale. Cottarelli, profumatamente pagato dai contribuenti, farà l’unica cosa che gli hanno insegnato al FMI: tagliare, risparmiare, deprimere l’economia. In Italia si sta verificando un fenomeno pericolosissimo per qualsiasi economia: l’inflazione comincia a decrescere, nonostante l’aumento di un punto di IVA, si materializza lo spettro della deflazione. La Grecia si trova già in questa situazione, ha un’inflazione del -2%. La deflazione comporta l’arresto della produzione da parte delle poche aziende rimaste, ed il conseguente blocco dei consumi. E’ l’anticamera della stagnazione economica. In questo senso, il futuro dell’Italia non è costituito da una crescita, per quanto timida: l’economia può solo ristagnare, il paese si ferma, la stretta creditizia delle banche si accentua sino alla cessazione della concessioni di mutui, prestiti e fidi, la povertà guadagna terreno divorando quello che resta della classe media. Il sistema bancario collassa insieme al Tesoro dello stato, i cui titoli si trovano in gran parte nel ventre dei nostri istituti di credito. Ci si avvita sul debito, il Tesoro non può più fronteggiare i pagamenti di pensioni, stipendi e interessi sui titoli di stato, è il default. Se “palle d0acciaio” fosse davvero tale dovrebbe fare alla signora Merkel un discorsetto semplice semplice: “o si cambia politica, si dota la banca centrale europea di poteri tipici delle banche centrali, si inverte la rotta e si smette di inseguire rigore ed austerità oppure lo sai che c’è? Che noi ce ne andiamo dall’Euro.” Di fronte a questi argomenti la Germania sarebbe obbligata a fare un passo indietro, ben sapendo che è stata l’unica nazione veramente miracolata dall’euro. Ed un euro senza Italia non potrebbe continuare ad esistere. Ora, cerchiamo di prevedere i possibili scenari.
1.     Vengono indetti referendum popolari in tutti i paesi dell’eurozona per stabilire se continuare a tenere in vita la moneta unica o meno. Prevarrebbe sicuramente l’uscita composta e ordinata dall’euro, e questa sarebbe l’eventualità più favorevole all’Italia: uscire dalla camicia di forza dell’euro e tornare ordinatamente alla valuta nazionale insieme agli altri paesi. Ma questo è lo scenario meno probabile.
2.     Si crea un euro a due velocità, uno per i paesi “virtuosi” del nord, e un euro2 per l’Europa meridionale.  Non sarebbe, in linea di principio, una idea sbagliata, i paesi del nord Europa hanno esigenze ed obiettivi completamente diversi dall’Europa del sud, e due monete potrebbero rivelarsi utili ad entrambi gli schieramenti. Ma anche questo è uno scenario improbabile, perché una sola banca centrale difficilmente potrebbe gestire due monete.
3.     L’uscita unilaterale dell’Italia dalla moneta unica. Si produrrebbe, come effetto immediato una svalutazione inflattiva, con una perdita di valore dei nostri risparmi ed una impennata dell’inflazione. Il tasso di conversione tra euro e nuova lira non sarebbe più di 1936,27 lire per 1 euro, ma, grosso modo, sarebbe raddoppiato. Il cittadino medio guadagnerebbe 4.000.000 di lire, che sembrano tanti, ma se quando fai la spesa ne spendi 500.000, allora ti rendi conto che in tasca hai della carta straccia. Quello che la nuova Banca d’Italia dovrebbe attuare sarebbe una politica monetaria tale da far accrescere il più possibile il potere di acquisto della nuova moneta, ancorandola magari al dollaro. Non è importante il tasso di svalutazione, quello che conta di più è la capacità di acquisto. Bisognerebbe rinegoziare il debito pubblico con i paesi che detengono ancora l’euro (un 30% del debito italiano è in mani tedesche e francesi), ma, una volta usciti dall’euro, i paesi stranieri si dovrebbero accontentare delle nuove lire. O così o niente. Le esportazioni ripartirebbero alla grande e allo stesso modo le aziende e le fabbriche dismesse potrebbero, almeno in parte, riaprire i battenti e riassumere personale. Questo scenario, fra quelli possibili, è probabilmente quello da preferire. Sarà doloroso, per i primi tempi, ma alla distanza potrebbe dare i primi frutti. L’euro è una gabbia dalla quale uscire al più presto.
Non abbiamo di fronte a noi un futuro rosa. Non esiste nessuna luce in fondo al tunnel, se non usciamo dall’euro ci attende una stagnazione lunga decenni interi. Ed un paese che non regredisce ma neppure progredisce è destinato a morire. L’Italia è già un paese deindustrializzato, grazie alle politiche restrittive e depressive della Troika, Germania in testa. E’ proprio la perdita della nostra sovranità che ci ha condotto a questo punto. Tutti hanno capito che l’agenda politico economica dell’Italia è scritta a Bruxelles e Francoforte, non a Roma. Ma con i politicanti che ci ritroviamo e il discredito che ci ha cucito addosso un ventennio berlusconiano non è facile davvero essere ottimisti.