La divisione, la distanza tra
paese reale e mondo dei politicanti si fa sempre più vasta, assume i contorni
di un fossato non valicabile. Con il patetico ministro Saccomanni in testa,
impegnato a raccontare bufale dalla mattina alla sera, con don Letta “palle d’acciaio”
che parla del nulla al nulla, ad una platea inesistente che non ascolta più i
soliloqui di un presidente del consiglio che predica al deserto. Non deve
stupire una simile, totale, generale, disaffezione del mondo reale nei
confronti della casta parlamentare. I deputati e i senatori della Repubblica
non sono stati eletti dagli italiani ma sono stati scelti dai capibastone dei
partiti, secondo il principio fondante della porcata di una legge elettorale
che i notabili dei partiti non hanno nessuna intenzione di cambiare. L’economia
e la finanza sono i territori nei quali alligna il più alto grado di ignoranza
possibile, sia da parte dei parlamentari che, ahinoi, da parte della grande
maggioranza del pubblico. Diremo anzitutto di non dare il minimo credito a
quello che si legge sulla carta stampata e soprattutto si dice nei telegiornali
e nei talk show. Solo qualche sito indipendente su internet vi dirà le cose
come realmente stanno. Ma anche sulla rete occorre saper scegliere. Il cavallo
di battaglia di Saccomanni è la ripresa che vede in fondo al tunnel nel 2014.
Non ci sarà nessuna ripresa, né nel 2014, né nel 2020. Per nove trimestri
consecutivi l’Italia è in recessione, ha cioè il segno meno davanti al valore
del PIL. Ma non è questo il segnale più preoccupante: l’indicatore fondamentale
è costituito dal debito pubblico che ha raggiunto la ragguardevole cifra di
2028 miliardi di euro: non solo, il bello è che tende continuamente ad
aumentare. Il governo di don Letta “palle d’acciaio” ha aumentato la spesa
pubblica, invece di diminuirla, ed ora, come ci sta suggerendo l’OCSE, ci
dobbiamo preparare ad una nuova manovra finanziaria d’autunno. La chiamano in
vari modi: manutenzione dei conti, spending review, legge di stabilità, e via
dicendo. Si chiama, in lingua italiana, manovra finanziaria, e si fa in due
soli modi, in questo disgraziato paese: aumentando la pressione fiscale e
tagliando linearmente la spesa pubblica. Dal momento che un ministro dell’economia
ed uno squadrone di tecnici del tesoro non bastavano, si è chiamato un
commissario straordinario, tale Cottarelli, ex funzionario, pensate un po’, del
Fondo Monetario Internazionale. Cottarelli, profumatamente pagato dai
contribuenti, farà l’unica cosa che gli hanno insegnato al FMI: tagliare, risparmiare,
deprimere l’economia. In Italia si sta verificando un fenomeno pericolosissimo
per qualsiasi economia: l’inflazione comincia a decrescere, nonostante l’aumento
di un punto di IVA, si materializza lo spettro della deflazione. La Grecia si
trova già in questa situazione, ha un’inflazione del -2%. La deflazione
comporta l’arresto della produzione da parte delle poche aziende rimaste, ed il
conseguente blocco dei consumi. E’ l’anticamera della stagnazione economica. In
questo senso, il futuro dell’Italia non è costituito da una crescita, per quanto
timida: l’economia può solo ristagnare, il paese si ferma, la stretta
creditizia delle banche si accentua sino alla cessazione della concessioni di
mutui, prestiti e fidi, la povertà guadagna terreno divorando quello che resta
della classe media. Il sistema bancario collassa insieme al Tesoro dello stato,
i cui titoli si trovano in gran parte nel ventre dei nostri istituti di
credito. Ci si avvita sul debito, il Tesoro non può più fronteggiare i
pagamenti di pensioni, stipendi e interessi sui titoli di stato, è il default. Se
“palle d0acciaio” fosse davvero tale dovrebbe fare alla signora Merkel un
discorsetto semplice semplice: “o si cambia politica, si dota la banca centrale
europea di poteri tipici delle banche centrali, si inverte la rotta e si smette
di inseguire rigore ed austerità oppure lo sai che c’è? Che noi ce ne andiamo
dall’Euro.” Di fronte a questi argomenti la Germania sarebbe obbligata a fare
un passo indietro, ben sapendo che è stata l’unica nazione veramente miracolata
dall’euro. Ed un euro senza Italia non potrebbe continuare ad esistere. Ora,
cerchiamo di prevedere i possibili scenari.
1. Vengono
indetti referendum popolari in tutti i paesi dell’eurozona per stabilire se
continuare a tenere in vita la moneta unica o meno. Prevarrebbe sicuramente l’uscita
composta e ordinata dall’euro, e questa sarebbe l’eventualità più favorevole
all’Italia: uscire dalla camicia di forza dell’euro e tornare ordinatamente alla
valuta nazionale insieme agli altri paesi. Ma questo è lo scenario meno
probabile.
2. Si
crea un euro a due velocità, uno per i paesi “virtuosi” del nord, e un euro2
per l’Europa meridionale. Non sarebbe,
in linea di principio, una idea sbagliata, i paesi del nord Europa hanno
esigenze ed obiettivi completamente diversi dall’Europa del sud, e due monete
potrebbero rivelarsi utili ad entrambi gli schieramenti. Ma anche questo è uno
scenario improbabile, perché una sola banca centrale difficilmente potrebbe
gestire due monete.
3. L’uscita
unilaterale dell’Italia dalla moneta unica. Si produrrebbe, come effetto
immediato una svalutazione inflattiva, con una perdita di valore dei nostri risparmi
ed una impennata dell’inflazione. Il tasso di conversione tra euro e nuova lira
non sarebbe più di 1936,27 lire per 1 euro, ma, grosso modo, sarebbe
raddoppiato. Il cittadino medio guadagnerebbe 4.000.000 di lire, che sembrano
tanti, ma se quando fai la spesa ne spendi 500.000, allora ti rendi conto che
in tasca hai della carta straccia. Quello che la nuova Banca d’Italia dovrebbe
attuare sarebbe una politica monetaria tale da far accrescere il più possibile
il potere di acquisto della nuova moneta, ancorandola magari al dollaro. Non è
importante il tasso di svalutazione, quello che conta di più è la capacità di
acquisto. Bisognerebbe rinegoziare il debito pubblico con i paesi che detengono
ancora l’euro (un 30% del debito italiano è in mani tedesche e francesi), ma,
una volta usciti dall’euro, i paesi stranieri si dovrebbero accontentare delle
nuove lire. O così o niente. Le esportazioni ripartirebbero alla grande e allo
stesso modo le aziende e le fabbriche dismesse potrebbero, almeno in parte,
riaprire i battenti e riassumere personale. Questo scenario, fra quelli
possibili, è probabilmente quello da preferire. Sarà doloroso, per i primi
tempi, ma alla distanza potrebbe dare i primi frutti. L’euro è una gabbia dalla
quale uscire al più presto.
Non abbiamo di fronte a noi un
futuro rosa. Non esiste nessuna luce in fondo al tunnel, se non usciamo dall’euro
ci attende una stagnazione lunga decenni interi. Ed un paese che non regredisce
ma neppure progredisce è destinato a morire. L’Italia è già un paese
deindustrializzato, grazie alle politiche restrittive e depressive della
Troika, Germania in testa. E’ proprio la perdita della nostra sovranità che ci
ha condotto a questo punto. Tutti hanno capito che l’agenda politico economica
dell’Italia è scritta a Bruxelles e Francoforte, non a Roma. Ma con i
politicanti che ci ritroviamo e il discredito che ci ha cucito addosso un
ventennio berlusconiano non è facile davvero essere ottimisti.