Si fa un gran parlare,
soprattutto da parte del movimento 5 stelle, ma non solo, della “democrazia
della rete”, che da strumento diventa un fine, che da mezzo diventa un
obiettivo. Gli argomenti li conosciamo tutti a menadito: occorre stare al passo
con i tempi, la tecnologia si evolve, è alla portata di tutti, ormai
smartphone, Iphone, tablet e notebook sono noti a tutti, è cambiato il
modo di comunicare, la comunicazione si globalizza, diventa più veloce, persino
il Vaticano si avvale di Facebook o Twitter, i social network hanno cambiato
fisionomia alla società e alle reti di relazioni che si stabiliscono tra
cittadino e istituzioni e via discorrendo. Ora, tutta questa serie di
imbecillità è diventato un tormento quotidiano. Si tratta di luoghi comuni, di
frasi fatte di una banalità sconcertante, che sarebbero innocue se
pretendessero solo di fotografare una condizione comunicativa, diventano
pericolose se utilizzate in campo sociologico o, peggio, politico. Può darsi
che prima o poi si arrivi anche da noi all’agognata meta di un uomo, una
macchina, ma per adesso siamo molto lontani. Solo un paese remoto e di 350.000
abitanti come l’Islanda si avvicina a queste proporzioni, ma in quella landa
desolata comunicare è più di una necessità.
Noi siamo un paese di oltre 60 milioni di abitanti, in cui la dimensione
dell’analfabetismo informatico è ancora elevata e con una popolazione di
anziani di parecchi milioni. Ora, se l’analfabetismo alligna anche tra non
pochi quarantenni, figuriamoci se una persona di ottanta anni ha voglia di
rimettersi a studiare le basi informatiche indispensabili per avvalersi
correttamente di questo mezzo. A loro basta saper usare il telefono cellulare
per chiamare il figlio in caso di necessità e, al massimo, inviare qualche SMS.
Non possiamo biasimarli. Il primo limite, quindi, della “democrazia della rete,
è il numero. Vengono tagliati via diversi milioni di italiani che non posseggono
un computer, non capiscono nulla di informatica (il leitmotiv è “ah, io di
queste cose non capisco niente, in casa fa tutto mio figlio…”), e altri milioni
di pensionati che non hanno voglia di tornare a scuola di informatica di base.
Ma c’è dell’altro. Quello che vediamo e che apprendiamo dal web non è,
ovviamente, la realtà. E’ solo una sua rappresentazione filtrata e distorta
dalle nostre opinioni personali. Se si prescinde dai soli siti delle agenzie di
stampa (Ansa, Adn Kronos ecc.) tutti gli altri vi daranno la loro versione
della realtà, che è cosa ben diversa dalla realtà stessa. Lo stesso non accade
in televisione, dove il dibattito tra più persone con ideologie e visioni del
mondo differenti, garantisce un minimo di imparzialità. Sulla rete si trovano
blog o siti internet che fanno capo a singoli o a organizzazioni, movimenti di
parte che forniranno, commentandola, una visione della realtà completamente
faziosa e mai obiettiva. Se ci colleghiamo con il sito dei grillini, non
possiamo pretendere che ci fornisca un quadro esauriente delle cose che
avvengono nel mondo politico e sociale. Troveremo un certo numero di post,
regolarmente tendenziosi, diffamanti, insolenti, arroganti, zeppi di volgarità
e ingiurie per tutto e tutti. Ma anche collegandosi ad altri siti che
dovrebbero garantire una maggiore trasparenza, troveremo la stessa rappresentazione
della realtà poco fedele e poco imparziale. E’ normale che sia così: il web è
uno strumento che non deve, come dicevamo, essere confuso con il suo fine. Non
fa informazione, è un veicolo di opinioni, di pareri, di tendenze ben
determinate e circoscritte. L’informazione sul web ha questo di caratteristico:
non ha contraddittorio, l’autore che scrive il pezzo può dire quello che vuole,
anche una serie di asinerie (come spesso fa Grillo) e nessuno può contraddirlo
se non sul suo sito internet personale. E non mi venite a parlare di
Twitter o Facebook: chi posta qualche
tweet, come si dice oggi, non è detto che non venga censurato da chi ospita il
forum. Grillo stesso non pubblica tutte le critiche che arrivano nei suoi
confronti, a volte perché sono solo stupide o volgari, altre volte perché non
gli conviene essere sommerso da pareri contrari alla sua linea. Per questo
abbiamo più volte rilevato che l’assenza imposta agli iscritti al movimento 5
stelle da qualsiasi talk show televisivo è la cosa più antidemocratica che
esista. Una regola fondamentale del sistema democratico è il confronto, se
tutti i dibattiti si svolgono senza un esponente del terzo polo scaturito dalle
elezioni politiche, è ovvio che l’informazione risulterà monca e parziale. La
televisione, con tutto il male che se ne possa dire, ha il pregio di arrivare,
lei sì, proprio da tutti i cittadini, nessuno escluso, e il metodo del
dibattito televisivo con il conseguente confronto di idee rende l’informazione
più completa ed ha il pregio di essere accessibile a tutti, senza distinzione
di classe sociale o culturale. Il mondo
informatico di Grillo è affascinate ma non è realistico perché taglia fuori
milioni di persone, perchè è autoreferenziale, e perché cade inevitabilmente nella propaganda politica di
una sola parte, la sua. Può darsi che tra qualche decennio ognuno di noi avrà
la propria appendice informatica, ma fino ad allora la democrazia si esercita
non solo sul web, ma anche sui giornali e sulla televisione, con buona pace dei
grillini. Se il mondo fosse come lo pensano loro ci sarebbe una sorta di
“aristocrazia della rete”, che escluderebbe coloro che non ne fanno uso, e
questo, con ogni probabilità, è proprio il sogno, neppure troppo nascosto, di
un dittatore occulto come Beppe Grillo.