mercoledì 17 aprile 2013

DALLA DECRESCITA FELICE ALLA MISERIA INFELICE



Beppe Grillo ha fatto di tutto per alimentare la suggestione per cui meno lavoro potrebbe significare più felicità, nonché la convinzione, diffusa tra i militanti del M5S, che la questione della crescita sia molto più semplice di ciò che sembra.

In una intervista andata in onda su Servizio Pubblico due settimane fa, l’ex comico ha dichiarato:

“Questo paese è fallito. Facendo a modo nostro saremo più poveri per i prossimi 4-5 anni, ma senza dubbio più contenti e più felici”. Prima delle elezioni, Grillo aveva spiegato più esplicitamente il suo pensiero sulla crescita a una tv svedese: “La crescita non va aiutata, la crescita non porta posti di lavoro ... non porta ricchezza, perché crea divario tra chi ha e chi non ha, e questa è la crescita”.

È senz’altro vero che una crescita che si accompagni all’inasprimento delle disuguaglianze aumenta ben poco il benessere di un paese, e che l’eventuale aumento della produttività può mitigare, nel breve periodo, le conseguenze positive sull’occupazione.

Ma quella che Grillo ha esaltato a Servizio Pubblico, sostenendo che con le ricette M5S (non è chiaro quali) nei prossimi anni saremo forse più poveri ma almeno più felici, non è decrescita. Si chiama recessione e la conosciamo già fin troppo bene. E se non è affatto certo che la decrescita possa produrre felicità, ci sono pochi dubbi sul fatto che la recessione che stiamo attraversando sia causa di una infelicità sempre più drammatica e diffusa. Ne sono testimonianza tragedie come quella di Civitanova Marche ,che dovrebbero indurre chi ha responsabilità pubbliche a un uso più attento e consapevole delle parole.

Nell’intervista alla tv svedese c’è un passaggio che riteniamo emblematico di come il rifiuto ostinato della complessità da parte di Grillo e i suoi contribuisca ad alimentare, su temi complessi, ogni sorta di equivoco, con conseguenze a volte pericolose (basti pensare, in proposito, alle ciarlatanerie sull’Aids diffuse dal portavoce del M5S al Senato e dallo stesso Grillo in alcuni suoi spettacoli).

"Io sono un facilitatore. facilito i concetti astrusi e complicati della politica. La complicazione è la forza dell'oppressione della politica sui cittadini ... La rete ha migliaia di progetti. Ci scrivono quattro premi Nobel sul blog mio. Abbiamo contatti con le migliori menti ... Stiglitz che è un premio Nobel ... abbiamo le idee delle menti più belle che ci sono oggi: loro fanno delle proposte, poi in rete risponde l'elettricista, l'idraulico, quelli che fanno i lavori, che dicono: "guarda che sbaglia, nobel, perché non si può applicare questo sistema energetico". uno vale uno, il Nobel vale come l'elettricista sulla rete ... i progetti verranno messi dentro, e ci seguiranno i nostri ... da me, essendo un comico, non accettano certe teorie economiche, che non sono mie ma sono di premi Nobel”.

E ancora: “A me, essendo un comico, non accettano certe teorie economiche, che non sono mie ma sono di premi nobel. Io sono un curioso, ho girato il mondo, sono andato nei centri tecnici, per esempio negli istituti svizzeri, nei politecnici di Zurigo a vedere come progettavano le cose, sono stato a far la spesa in un supermercato tedesco, allora ho visto la differenza, ho visto come uno yogurt al mirtillo, che faceva seimila chilometri in un camion, mi sono aperto la vista e ho visto che la politica è dietro le cose più innocenti ... il mercato racconta delle balle, una lattina dovrebbe costare un milione di euro, per i danni che fa ... un milione di litri di latte materno che viene prodotto dalle mamme non vale nulla, un litro di latte della Nestlè vale quattro euro” (l’intervista completa può essere vista qui).

La convinzione, a più riprese sbandierata, che uno valga uno e che il vincitore di un premio Nobel, sulla rete, valga come l’elettricista, è una sciocchezza pericolosa, che nega ogni principio di meritocrazia e soprattutto alimenta l’incapacità di relazionarsi alla complessità. Non sempre uno vale uno. Il talento, la preparazione e l’esperienza contano, e non meritano di essere svilite dalle arroganti semplificazioni grilline.

Se una delle “migliori menti” invocate da Grillo avesse qualche interesse ad ascoltare le castronerie economiche proferite dal guru, lo ammonirebbe sugli effetti distruttivi di benessere che avrebbero “4-5 anni di povertà”. Perché la relazione tra reddito e felicità è, appunto, complessa e non lineare, e se è giusto e saggio arricchire l’analisi economica con una maggiore attenzione per le varie dimensioni del benessere (ed è proprio di questo che si occupano i due autori di questo articolo), la lotta alla povertà e alla disoccupazione devono essere una priorità di qualsiasi governo, e con un tasso di crescita negativo tutto diventa drammaticamente più difficile.

Questo non significa che non si deve studiare la teoria della decrescita, di per sé ricca di spunti interessanti, e capire se e come è possibile implementare alcune sue implicazioni di politica economica nell’azione pubblica. Ma è necessario essere consapevoli che, nel breve periodo, ogni riduzione della produzione si riflette essenzialmente nella riduzione dell’occupazione e ha costi sociali molto elevati (altroché riforma Fornero). Un conto è declinare con più petali la rosa del segno “più”. E un altro è farla appassire, sicuri che da quello “meno” possano sbocciare felicità e progresso sociale.
Luciano Canova e Fabio Sabatini per Micromega