domenica 26 giugno 2016

E ORA CHE SUCCEDE?



Purtroppo non possiamo farci molte illusioni. Il terremoto scatenato dalla Brexit venerdì 24 giugno è stato il peggiore di sempre, almeno per Piazza Affari. Le principali banche italiane hanno perso in una sola giornata un quarto della propria capitalizzazione. In un solo giorno. Scozzesi e Irlandesi del nord sono pronti a trattare una permanenza nella UE, ma la questione è tecnicamente complicata: occorrerebbe indire due ulteriori referendum per disintegrare il Regno Unito, che perderebbe sia la Scozia che l’Irlanda del Nord. Ma si tratta di una strada difficilmente praticabile. Si potrebbe ripetere il referendum se la petizione partita da Londra dai fautori del “remain” raggiungesse parecchi milioni di aderenti. Teoricamente è possibile, per la legge inglese ripetere una consultazione popolare se milioni di cittadini lo richiedono e vi sia una giusta causa è una motivazione sufficiente. Vedremo. Ma, intanto,  stando così le cose, non possiamo che attenderci lo scenario che segue:
1) I mercati mondiali si allontaneranno dall’eurozona, non considerata più sicura e irreversibile, rivolgendo la propria attenzione ad altre piazze, come quella asiatica, americana e sudamericana. Il tempo contemplato dai trattati UE non ci aiuta, perché l’uscita di un paese necessita di anni di negoziati, un tempo talmente lungo da rendere sempre più probabile il break up dell’euro e la dissoluzione dell’Unione. Le più bersagliate dalla speculazione e dagli investitori, soprattutto istituzionali (e quindi più potenti), sono proprio le nostre banche, considerate da sempre l’anello debole della catena finanziaria italiana. Sono troppo esposte in titoli di stato, in derivati e, soprattutto in NPL (Non performing loans), quei crediti inesigibili, quelle sofferenze che rendono un istituto di credito estremamente vulnerabile. La conseguenza di tutto questo è che, per cercare di evitare il default, le banche chiuderanno il rubinetto del credito, alle imprese e alle famiglie. Senza credito il mercato immobiliare si ferma del tutto e la produzione industriale rallenta di parecchio. Si ritorna in deflazione: si abbassano i prezzi, le industrie cercano di svendere quello che hanno in magazzino, ma il consumatore attende che i prezzi scendano ulteriormente, alimentando un circolo vizioso. Quando le aziende hanno venduto sottocosto quello che era stoccato, si ferma la produzione, e con esse l’economia di un paese. Con produzione e consumi ridotti al lumicino, l’Italia entra nuovamente in recessione.
2) Le banche meno capitalizzate o con requisiti patrimoniali non adatti a reggere un simile shock dei mercati, sono destinate a fallire. Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Monte dei Paschi e Carige saranno le prime ad arrendersi. Si scateneranno corse forsennate agli sportelli per cercare di salvare il salvabile, ma il meccanismo del “bail in” si attiverà ugualmente. Centinaia di migliaia di cittadini vedranno andare in fumo i loro risparmi: dapprima gli incauti azionisti, poi gli obbligazionisti subordinati, quindi i senior, e, alla fine, dovranno essere intaccati gli stessi depositi. Ci sarà un effetto domino, le banche più vulnerabili faranno saltare il banco, ma questo non vuol dire che saranno messe tutte in liquidazione. I maggiori istituti, quelli sistemici, quelli troppo grandi per fallire, (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Popolare, Ubi Banca)dovranno ridimensionare fortemente la loro presenza sul territorio e privarsi di buona parte del personale, chiudendo molte filiali, anche all’estero. Diventeranno, in una parola, delle banche di media grandezza, con la conseguenza di non rappresentare più un porto sicuro dove il risparmiatore può approdare. Il materasso tornerà in gran auge, per chi non possiede coronarie di ferro.
3) La scossa che i premier europei dicono di voler imprimere all’Unione dopo lo schock della Brexit è una stupidaggine senza limiti. Non cambierà un bel nulla nelle politiche monetarie e finanziarie del continente europeo. Gli egoismi, soprattutto della Germania, sono destinati a durare, e ognuno cercherà di cavarsela come può, senza comprendere che il segnale della Brexit è una occasione unica per modificare l’atteggiamento fin qui perseguito. Il rigore nei conti è servito solo ad emarginare sempre più proprio quelle persone, quelle fasce di reddito che hanno votato, in Gran Bretagna, per l’uscita. Il famoso rapporto deficit/PIL non considera il risparmio privato ma solo il Prodotto interno Lordo. E’ un grave errore, l’Italia sarebbe ai primi posti, con Francia e Germania se venisse conteggiato questo importante indicatore. Ma all’Europa dei nazionalismi questo ed altro non interessa. I singoli stati non saranno in grado di guardare al di là del loro limitato orizzonte e continueranno a farsi la guerra invece di consolidare  ancor più l’eurozona, dividendo equamente sacrifici e benefici, facendo della solidarietà la cifra comune dell’Europa.
In conclusione, a meno che non si ripeta il referendum britannico, gli anni che ci attendono saranno peggiori di questi ultimi otto (dal crack della Lehman Brothers in poi), e saranno peggiori perché i burocrati di Bruxelles non riusciranno mai a mettersi d’accordo su nulla, continueranno, al di là dei proclami ufficiali, a farsi una guerra tra poveri, provocando o accelerando l’implosione dell’euro e la fine dell’Unione. Tanto varrebbe, con i movimenti populisti anti euro in costante crescita, uscire ordinatamente dalla moneta unica, uno per uno, in fila indiana, cercando di limitare così gli scossoni inevitabili causati da un ritorno alle valute nazionali. Ma, statene certi, l’establishment di Bruxelles non sarà in grado neppure di fare una cosa così semplice. Si sbraneranno come cani rabbiosi, e a rimetterci, come sempre, saranno le fasce più deboli della popolazioni, che, con l’aggravarsi della recessione, vedranno le proprie fila ingrossarsi da quello che una tempo, tanti anni fa, era il ceto medio. (R.T.)