E’
ormai più di un lustro, dalla pubblicazione del successo editoriale del duo
Rizzo e Stella La Casta,
che non passa giorno in cui non si parli di costi della politica, di sprechi,
di finanziamento pubblico ai partiti. Un tema che, oltre a fare le fortune
economiche dei due noti editorialisti del Corriere
della Sera, ha determinato non poche fortune politiche.
Ma
siamo sicuri che tutto questo gran parlare di tagli ai costi della politica sia
utile alla democrazia e, soprattutto, siamo certi che coloro i quali gridano
allo scandalo sulla pubblica piazza abbiano tutta questa voglia di rimettere le
cose a posto? In un sistema in cui ogni forma di finanziamento pubblico è
cancellato, i partiti politici fanno gli interessi dei cittadini elettori oppure
delle lobby
economiche? Ma, soprattutto, v’è da chiedersi: in questi anni, nonostante il
tema dei costi della partitocrazia sia stato tanto dibattuto, è cambiato
qualcosa, in meglio, nei comportamenti della classe politica oppure sono
aumentati gli scandali? Sicuramente si è toccato il fondo, come dimostrano i
casi che hanno coinvolto i consigli regionali, il disciolto partito della
Margherita e persino la forcaiola Lega.
Insomma,
si predica bene e si razzola male, si fa tanta demagogia ma non si interviene
affatto per operare le modifiche davvero necessarie a correggere le distorsioni
del sistema. Sembra quasi che il mondo politico si stia specializzando nel
gioco delle tre carte con gli elettori. L’ultimo a cimentarsi in questo sport è
il governo in carica che il 31 maggio scorso ha approvato un disegno di legge,
comunicato con un tweet agli italiani dal premier Letta, dall’altisonante
(quanto ingannevole) denominazione: “Disposizioni per l’abolizione del finanziamento pubblico e la
regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici“.
Tale
abolizione, però, se mai vi sarà, scatterà a partire dal 2017. Ciononostante,
fin dall’art. 1 il testo recita: “E’ abolito il finanziamento pubblico dei
partiti” e, poi, “I partiti e i movimenti politici sono beneficiari di forme di
contribuzione volontaria privata”.
Ma
è proprio cosi? Si può parlare di contribuzione volontaria erga omnes se chi decide
di finanziare i partiti gode di sostanziose agevolazioni (dal 52% al 26% e fino
a 20.000 euro) a carico della fiscalità generale e, quindi, anche di chi non
intende versare contributi ad alcun soggetto politico? O ancora, quale
volontarietà si può rinvenire in un meccanismo che è in tutto analogo a quello
del 8 per mille alle varie confessioni religiose e che verrà esteso alle forze
politiche? Quale democrazia è quella che eroga i predetti contributi alle sole
forze politiche e ai movimenti che abbiano dei rappresentanti eletti in
Parlamento o nei Consigli regionali? Forse quella della conservazione della
specie?
Basterà
una semplice domanda dei tesorieri di queste forze politiche per accedere al 2
per mille, risorse ben più elevate dei circa 60 milioni dell’attuale
finanziamento pubblico, senza che essi debbano documentare in alcun modo le
spese realmente sostenute. Anche la quota del 2 per mille dei contribuenti che
non hanno optato finirà nelle casse dei partiti, rispettando le proporzioni
delle opzioni espresse e ciò in quanto il ddl governativo prevede che:”In caso
di scelte non espresse, la quota di risorse disponibili… è destinata ai partiti
ovvero all’erario in proporzione alle scelte espresse”.
Il
disegno di legge si premura pure di finanziare e tenere in vita le scuole di
partito. A decorrere dal 2014, sarà detraibile dall’imposta lorda sul reddito
il 52 per cento delle spese sostenute dalle persone fisiche per l’iscrizione a
scuole o corsi di formazione politica con un tetto di spesa di 500 euro l’anno.
Come se non bastassero gli ingenti patrimoni immobiliari già in possesso dei
partiti politici, “L’Agenzia del demanio, anche attraverso la stipula di
apposite convenzioni con enti territoriali ed altre amministrazioni pubbliche,
assicura, in favore dei partiti e dei movimenti politici … la disponibilità, in
almeno ciascun capoluogo di provincia, di idonei locali per lo svolgimento
delle attività politiche, nonché per la tenuta di riunioni, assemblee e
manifestazioni pubbliche”. Con un regolamento si provvederà alla “definizione
di canoni di locazione e tariffari agevolati anche in relazione alle
spese di manutenzione e di funzionamento dei locali utilizzati”. Un milione di
euro, inoltre, sarà destinato annualmente per la comunicazione televisiva, che
si tradurrà in spot di un minuto riservati ai partiti che hanno eletti in
Parlamento. Per ottenere tutto ciò i partiti “sono tenuti a dotarsi di
uno statuto”. Una vera e propria provocazione è stata giudicata dal popolo grillino,
che rifiuta di dotarsi di uno statuto.
Apparentemente
la proposta di legge sembra tracciare un percorso atto a garantire una gestione
trasparente delle forze politiche, mediante la realizzazione di siti internet
ad elevata accessibilità da cui si possano evincere tutte le informazioni su
democrazia interna e corretta gestione delle risorse economiche. Ogni partito
dovrà pubblicare “il rendiconto di esercizio, anche in formato open data,
corredato dalla relazione sulla gestione e dalla nota integrativa, la relazione
della società di revisione, nonché il verbale di approvazione del rendiconto di
esercizio da parte del competente organo del partito o movimento politico”. Da
quando la certificazione dei bilanci da parte di società di revisione è garanzia
assoluta di veridicità dei bilanci? La trasparenza, infatti, si può realizzare
solo attraverso la documentazione capillare delle spese.
In
tempi in cui impera il qualunquismo, i più si diranno soddisfatti da questa
proposta e penseranno, sbagliando, che con essa la democrazia farà passi
avanti. Purtroppo sembra essere esattamente il contrario. Qualora il disegno di
legge divenisse legge senza che sia stato posto un limite ragionevole al
finanziamento privato ai partiti, la democrazia sarà davvero sepolta. Gli
interessi dei ricchi finanziatori saranno i soli tutelati. Le istituzioni
parlamentari e locali daranno risposte soltanto ai poteri forti. I risparmi
dell’erario non vi saranno affatto e i costi sociali, in termini di crescente
ineguaglianza, saranno insostenibili.
Adriana Spera su “il
Foglietto Usi-Ricerca”