martedì 4 giugno 2013

FINANZIAMENTO PUBBLICO AI PARTITI: CREDONO CHE SIAMO FESSI



E’ ormai più di un lustro, dalla pubblicazione del successo editoriale del duo Rizzo e Stella La Casta, che non passa giorno in cui non si parli di costi della politica, di sprechi, di finanziamento pubblico ai partiti. Un tema che, oltre a fare le fortune economiche dei due noti editorialisti del Corriere della Sera, ha determinato non poche fortune politiche.
Ma siamo sicuri che tutto questo gran parlare di tagli ai costi della politica sia utile alla democrazia e, soprattutto, siamo certi che coloro i quali gridano allo scandalo sulla pubblica piazza abbiano tutta questa voglia di rimettere le cose a posto? In un sistema in cui ogni forma di finanziamento pubblico è cancellato, i partiti politici fanno gli interessi dei cittadini elettori oppure delle lobby economiche? Ma, soprattutto, v’è da chiedersi: in questi anni, nonostante il tema dei costi della partitocrazia sia stato tanto dibattuto, è cambiato qualcosa, in meglio, nei comportamenti della classe politica oppure sono aumentati gli scandali? Sicuramente si è toccato il fondo, come dimostrano i casi che hanno coinvolto i consigli regionali, il disciolto partito della Margherita e persino la forcaiola Lega.
Insomma, si predica bene e si razzola male, si fa tanta demagogia ma non si interviene affatto per operare le modifiche davvero necessarie a correggere le distorsioni del sistema. Sembra quasi che il mondo politico si stia specializzando nel gioco delle tre carte con gli elettori. L’ultimo a cimentarsi in questo sport è il governo in carica che il 31 maggio scorso ha approvato un disegno di legge, comunicato con un tweet agli italiani dal premier Letta, dall’altisonante (quanto ingannevole) denominazione: Disposizioni per l’abolizione del finanziamento pubblico e la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici“.
Tale abolizione, però, se mai vi sarà, scatterà a partire dal 2017. Ciononostante, fin dall’art. 1 il testo recita: “E’ abolito il finanziamento pubblico dei partiti” e, poi, “I partiti e i movimenti politici sono beneficiari di forme di contribuzione volontaria privata”.
Ma è proprio cosi? Si può parlare di contribuzione volontaria erga omnes se chi decide di finanziare i partiti gode di sostanziose agevolazioni (dal 52% al 26% e fino a 20.000 euro) a carico della fiscalità generale e, quindi, anche di chi non intende versare contributi ad alcun soggetto politico?  O ancora, quale volontarietà si può rinvenire in un meccanismo che è in tutto analogo a quello del 8 per mille alle varie confessioni religiose e che verrà esteso alle forze politiche? Quale democrazia è quella che eroga i predetti contributi alle sole forze politiche e ai movimenti che abbiano dei rappresentanti eletti in Parlamento o nei Consigli regionali? Forse quella della conservazione della specie?
Basterà una semplice domanda dei tesorieri di queste forze politiche per accedere al 2 per mille, risorse ben più elevate dei circa 60 milioni dell’attuale finanziamento pubblico, senza che essi debbano documentare in alcun modo le spese realmente sostenute. Anche la quota del 2 per mille dei contribuenti che non hanno optato finirà nelle casse dei partiti, rispettando le proporzioni delle opzioni espresse e ciò in quanto il ddl governativo prevede che:”In caso di scelte non espresse, la quota di risorse disponibili… è destinata ai partiti ovvero all’erario in  proporzione alle scelte espresse”.
Il disegno di legge si premura pure di finanziare e tenere in vita le scuole di partito. A decorrere dal 2014, sarà detraibile dall’imposta lorda sul reddito il 52 per cento delle spese sostenute dalle persone fisiche per l’iscrizione a scuole o corsi di formazione politica con un tetto di spesa di 500 euro l’anno. Come se non bastassero gli ingenti patrimoni immobiliari già in possesso dei partiti politici, “L’Agenzia del demanio, anche attraverso la stipula di apposite convenzioni con enti territoriali ed altre amministrazioni pubbliche, assicura, in favore dei partiti e dei movimenti politici … la disponibilità, in almeno ciascun capoluogo di provincia, di idonei locali per lo svolgimento delle attività politiche, nonché per la tenuta di riunioni, assemblee e manifestazioni pubbliche”. Con un regolamento si provvederà alla “definizione di canoni di locazione e tariffari agevolati anche in relazione alle  spese di manutenzione e di funzionamento dei locali utilizzati”. Un milione di euro, inoltre, sarà destinato annualmente per la comunicazione televisiva, che si tradurrà in spot di un minuto riservati ai partiti che hanno eletti in Parlamento. Per ottenere tutto ciò i partiti  “sono tenuti a dotarsi di uno statuto”. Una vera e propria provocazione è stata giudicata dal popolo grillino, che rifiuta di dotarsi di uno statuto.
Apparentemente la proposta di legge sembra tracciare un percorso atto a garantire una gestione trasparente delle forze politiche, mediante la realizzazione di siti internet ad elevata accessibilità da cui si possano evincere tutte le informazioni su democrazia interna e corretta gestione delle risorse economiche. Ogni partito dovrà pubblicare “il rendiconto di esercizio, anche in formato open data, corredato dalla relazione sulla gestione e dalla nota integrativa, la relazione della società di revisione, nonché il verbale di approvazione del rendiconto di esercizio da parte del competente organo del partito o movimento politico”. Da quando la certificazione dei bilanci da parte di società di revisione è garanzia assoluta di veridicità dei bilanci? La trasparenza, infatti, si può realizzare solo attraverso la documentazione capillare delle spese.
In tempi in cui impera il qualunquismo, i più si diranno soddisfatti da questa proposta e penseranno, sbagliando, che con essa la democrazia farà passi avanti. Purtroppo sembra essere esattamente il contrario. Qualora il disegno di legge divenisse legge senza che sia stato posto un limite ragionevole al finanziamento privato ai partiti, la democrazia sarà davvero sepolta. Gli interessi dei ricchi finanziatori saranno i soli tutelati. Le istituzioni parlamentari e locali daranno risposte soltanto ai poteri forti. I risparmi dell’erario non vi saranno affatto e i costi sociali, in termini di crescente ineguaglianza, saranno insostenibili.
Adriana Spera su “il Foglietto Usi-Ricerca”