La spending review prevedeva dall’inizio corposi tagli alla spesa e anche ai costi della politica ma non è riuscita a produrre i suoi frutti. Mancando questi, invece che i bonus, l’italiano si troverà a pagare altri 72 miliardi di tasse. Che si vanno ad aggiungere a quel +115% di aumento delle tasse sulla casa e al +130% di aumento, dal 2011 ad oggi, di tasse su conti correnti e investimenti. Amen. Pressione fiscale esorbitante? Non mettiamo limiti alla Provvidenza, c’è sempre la possibilità di aumentare la cifra del tassato qualora non si potrà più aumentare la varietà. Semplice. Cosa significa questo? Che se tutto ormai è soggetto a prelievo fiscale in maniera più o meno diretta, non significa che non si possa aumentare la quantità della cifra prelevata.
L'allarme
A lanciare l’allarme è la Corte dei Conti che ha fatto notare come gli
ultimi provvedimenti del governo Renzi su Irap e Irpef potrebbero essere a
rischio a causa della mancanza di una adeguata copertura economica la quale, a
sua volta, avrebbe dovuto arrivare dalla Spending Review (a proposito, qualcuno
sa che fine ha fatto l’agenda di Cottarelli? Dio Lui direttamente è inutile
chiedere visto che ha immediatamente capito ciò che in realtà già sapeva e cioè
che pretendere che la politica autolimiti i suoi privilegi è pura utopia. Per
questo motivo ha preferito dimettersi, ritenendo il suo incarico, soprattutto
dopo i paletti che Renzi stesso gli ha imposto, assolutamente una perdita di
tempo. Naturalmente il tutto non è stato mai ufficializzato, perché in
politica, come spesso nella vita reale, non si può mai dire ciò che si pensa,
per convenienza, per viltà per necessità, per educazione. o fosse anche solo
per ipocrisia, la stessa arma che si rivela sempre più necessaria per chi è
costretto a vivere nell’umano consorzio e non ha il coraggio (o la mentalità)
per farine a meno il più possibile. Al che verrebbe facilmente rispondere ”No,
grazie, preferisco gli animali”. E senza avere torto.
Spending review
Pochissima spending review, per
giunta con vari iter a loro volta poco chiari, che non garantiscono adeguati
capitali per tagli all’Irap o anche solo per i famoso bonus il quale, alla luce
di quanto detto, e per voce della stessa Corte dei Conti può essere vanificato
se considerato non come elemento aggiuntivo permanente del reddito, ma come
elemento compensativo di un aumento di pressione fiscale
Una spesa che non sarà tagliata se non in futuro (sperando che…) e sulla
quale, mancando dettagli certi, non si possono certo basare le scelte future di
una nazione. Non solo, ma la nebulosa dei tagli potrebbe anche inficiare sulla
qualità dei servizi (già da adesso non certo efficienti) con aumento delle
imposte necessarie per riuscire a sanare la situazione.
Situazione che a questo punto chiama in causa una conseguenza che è tra le
peggiori in assoluto: se la revisione di spesa non sarà più concreta,
applicabile, affidabile, sarà necessario ormai chiamare in causa le clausole di
stabilità ovvero quelle misure di emergenza che autorizzano l’aumento della tassazione
per reperire capitali in modo da rientrare nei parametri fissati dall’Unione
Europea.
I dati della Confcommercio
E qui entra in campo anche uno studio di Confcommercio-Cer secondo cui le
suddette clausole di salvaguardia arriverebbero a toccare la cifra di 72
miliardi ddi euro spalmati del triennio 2016-2018.
Necessario perciò un breve riepilogo: la spending review che fu adottata da
Cottarelli e che prevedeva dall’inizio corposi tagli alla spesa e anche ai
costi della politica e delle amministrazioni, non è riuscita a produrre i suoi
frutti. Mancando questi, invece che i tagli e i bonus, l’italiano si troverà a
pagare altri 72 miliardi di tasse. E che si vanno ad aggiungere a quel +115% di
aumento delle tasse sulla casa oltre al 130% di aumento, dal 2011 ad oggi, di
tasse su conti correnti e investimenti. Amen. (source)