lunedì 20 settembre 2010

PROTESTANTI SENZA SAPERLO (cattolici immaginari)



Stando alle statistiche, la maggioranza dei cristiani nel mondo professa il cattolicesimo della Chiesa Romana. Il protestantesimo, diviso nelle sue più disparate confessioni, è distanziato di diverse lunghezze. Sempre per le statistiche, per quanto riguarda il nostro paese, una maggioranza vicina al 100% della popolazione che non si considera atea, professa il cattolicesimo. Questo dato è inesatto nel modo più assoluto. Vediamo perché. Siamo stati battezzati, abbiamo, chi più chi meno, seguito il catechismo per essere pronti ad accogliere il corpo di Cristo e, successivamente, con la Cresima, diventare “soldati di Cristo”. Trascorso questo periodo, che arriva al massimo alla fanciullezza, nella grande maggioranza, l’italiano si dimentica della religione, non frequenta la Chiesa, non è praticante, alla domanda “Lei crede in Dio? Si considera cattolico?” quasi regolarmente risponde: “Sì, credo in un Dio che non è esattamente quello della Chiesa, mi considero cattolico, ma prego e mi raccolgo a modo mio, nella mia camera, non frequento la parrocchia”. Ora, questi milioni di sedicenti cattolici non sono tali. Nessuno si prende la briga di approfondire temi cha appartengono alla teologia o alla filosofia, considerate discipline accademiche, per iniziati, e tira diritto, con le quattro nozioni che sono sopravissute dal catechismo in un angolo della propria memoria. Cercherò di riassumere, nel modo più chiaro possibile le differenze fondamentali tra la chiesa cattolica romana e le chiese riformate.
Cominciamo dai due soli dogmi che accomunano le due chiese: in assenza di questi dogmi (verità rivelate dalle Scritture, non dimostrabili razionalmente e per questo oggetto di fede) non si può parlare di cristianesimo. Il primo è l’Incarnazione di Dio in Cristo, la sua passione e la sua Resurrezione. Il secondo è l’unità e la trinità di Dio, costituito di Padre, Figlio e Spirito Santo, che i Concili di Nicea e Costantinopoli hanno stabilito come tre persone consustanziali, partecipanti cioè della stessa sostanza ed aventi pari dignità. Per tutto il resto, cattolicesimo e protestantesimo si differenziano profondamente. Il Pontefice non è il vicario di Cristo, il rappresentante di Dio sulla terra, per la semplice ragione che nessun essere umano può assumere una simile funzione. Il Papa è una persona qualsiasi, eletto da un concistoro di altri esseri umani che, al suo pari, non rappresentano che se stessi. E questo vale per la cosiddetta “infallibilità” papale. Non è che quando il Pontefice parla “ex cathedra” è ispirato direttamente da Dio e quindi la sua parola diviene paragonabile alla Sacra Scrittura, divenendo Legge di Dio. Non esiste sul fronte protestante nessun riconoscimento dell’autorità papale. Per questa ragione le confessioni riformate più “radicali” definiscono ancora oggi i cattolici come “papisti”. Per i protestanti solo il Concilio può prendere decisioni o assumere posizioni che un solo uomo non è in grado di prendere, fallibile e fragile come qualsiasi essere umano. Seconda questione: esiste, per il credente, il monoteismo assoluto, un dio solo, per quanto trinitario, null’altro. La pletora dei Santi e il culto della Madonna sono considerate dai protestanti delle forme di idolatria paganeggiante. In effetti il culto dei santi deriva dall’Olimpo degli dei ellenici, e il culto della Madonna, per secoli considerato da una parte della chiesa a rischio di eresia, rasentando l’”iperdulia”, è stato elaborato dalla chiesa romana per raccogliere consensi presso il pubblico femminile, per molti secoli considerato non degno di menzione, privo persino di un’anima spirituale. La donna, esclusa per qualche misterioso motivo dal sacerdozio, si doveva accontentare di partecipare della natura di Maria Vergine, la madre di Cristo, per questo concepita senza peccato originale (secondo il discutibilissimo dogma dell’immacolata concezione) e avendo partorito miracolisticamente Gesù Cristo con l’ausilio dello Spirito Santo. Secondo la maggior parte delle chiese protestanti, che ammettono ovviamente non solo il sacerdozio femminile, ma che hanno esteso questo concetto, allargandolo al cosiddetto “sacerdozio universale dei fedeli”, Maria era una donna come tutte le altre, ha partorito Cristo come qualunque altra donna, e non ha meriti particolari se non quello del rispetto dovuto alla madre del Cristo. L’intercessione dei santi, le indulgenze plenarie, tuttora concesse dal sommo pontefice in occasioni particolari come il giubileo o l’anno santo, sono un retaggio del periodo precristiano, intrise di superstizione e credulità popolare, e appartengono ad una maniera di pensare umana, troppo umana.
C’è poi, non secondaria, la concezione del divario esistente tra sacerdozio e laicato. Mentre per il protestantesimo esiste il “sacerdozio universale dei fedeli”, ognuno è sacerdote a se stesso, la differenza tra fedele e Pastore, nelle comunità riformate è solo di funzione, non di grado (il Pastore è semplicemente una guida spirituale, un divulgatore della Parola di dio), nel cattolicesimo la differenza è soprattutto di grado. Il  prete cattolico possiede prerogative che un laico non può neppure immaginare: amministra i sacramenti, celebra la messa, consacra l’ostia , con l’elevazione, conservata nel tabernacolo, oltre che distribuirla ai fedeli, conserva, insomma, un’aureola di “sacralità” che è completamente fuori tempo e fuori luogo. I protestanti fanno la comunione sotto le due specie, i fedeli, a turno, somministrano il pane e il vino; ai preti cattolici spetta il privilegio di bere il vino, ai fedeli solo quello di nutrirsi misticamente del pane di Dio. E a proposito di sacramenti, le confessioni evangeliche ne riconoscono solo due, i soli istituiti direttamente da Cristo secondo le Scritture: la Santa Cena (la messa dei papisti) e il battesimo. La chiesa romana ha aggiunto, con il trascorrere dei secoli e con la tradizione e la documentazione patristica e scolastica, la Cresima, l’Ordine sacro, la confessione dei peccati, l’estrema unzione, addirittura il matrimonio. Ora, se per sacramento, in teologia, si intende un veicolo della Grazia di Dio, una donazione diretta tra il Padre e le sue creature, è difficile spiegare come la confessione dei propri peccati ad un altro uomo peccatore, fragile e debole quanto noi, si possa considerare un sacramento. O come il matrimonio, la promessa, poche volte mantenuta per la verità, di unirsi ad un'altra persona, possa essere elevata al rango di “sacramento”. La confessione è un semplice atto, volontario s’intende, che il fedele compie in preparazione all’eucarestia, il matrimonio in chiesa non è altro che una promessa formulata dagli sposi, in perfetta buona fede, al cospetto di Dio, null’altro. L’Ordine sacro, come già visto non ha motivo di esistere dal momento che un pastore, per esercitare quella che si definisce “cura d’anime” non ha bisogno di alcun sigillo o mandato divino, è un comune mortale come i fedeli, solo più preparato nelle questioni religiose e spirituali in genere. Non parliamo poi della cresima, neppure degna di nota, con essa i papisti rasentano il ridicolo, o dell’estrema unzione, al massimo un “viatico” per l’aldilà, non certo un sacramento. Quanto alle Scritture, sappiamo che i libri entrati nel Canone cattolico non coincidono pienamente con quelli accolti dalla grande maggioranza dei protestanti: ci sono molti dubbi su alcune epistole, considerate eterodosse,  ma accolte dal magistero cattolico perché più favorevoli ad una gestione della chiesa di tipo apostolico romano. Ma soprattutto quello che differenzia le due confessioni è la possibilità, per i protestanti, di interpretar liberamente (il cosiddetto libero esame) le sacre scritture, che rimangono viceversa, nella chiesa cattolica, di esclusiva pertinenza e discrezionalità dei vertici vaticani. I testi che si occupano di ermeneutica o esegesi delle scritture possono essere pubblicati, ancora oggi, solo se recanti l’”imprimatur” e il “nihil obstat” della Curia romana. E’ forse per questa ragione che, non a caso, la teologia del secolo scorso, con qualche rarissima eccezione, è stata esclusivamente protestante, i teologi che hanno scritto e divulgato non appartengono alla chiesa di Roma, ma sono i Barth, i Bonhoffer, i Cullman, i Bultmann ecc. A rigore l’unico teologo autorizzato a pubblicare in ambito cattolico è il Papa. Tutti gli altri sono dei semplici catechisti, anche se si fregiano del titolo di “teologo”. Emblematico il caso di Hans Kung, appartenente solo formalmente ancora al cattolicesimo, una delle poche voci fuori dal coro papista: gli è stato tolto l’insegnamento di teologia alla facoltà di Tubinga. A casa nostra, il giovane e brillante teologo Mancuso, uscirà molto presto dai ranghi della chiesa cattolica. Altra vexata quaestio tra cattolici e protestanti è rappresentata dalla dottrina del fondamentale sacramento per i cristiani: l’Eucarestia. Può apparire una questione d poco conto, adatta ai sofisti ed ai filosofi accademici, e invece ha delle ricadute fondamentali. Per i cattolici nel tabernacolo, una volta consacrata, è “realmente”  presente il corpo e il sangue di Cristo. Al di là degli accidenti del pane e del vino (che sono solo le sembianze esteriori delle due sostanze) nell’ostia avviene una trasfigurazione e trasformazione mistica che fa sì che il Cristo sia presente concretamente. E’ la cosiddetta “transustanziazione”. Lutero stesso, influenzato dal moderato Melantone, accettò la discutibile formula della “consustanziazione”, una via di mezzo che asserisce che insieme alle sostanze del pane e del vino è presente anche il corpo ed il sangue del redentore. Più sbrigativamente, e realisticamente, Zwingli, che ha fondato ed influenzato l’intera chiesa riformata di tipo calvinista, sostenne che nell’ostia il Cristo è rappresentato solo simbolicamente, spiritualmente, che ogni volta che si officia la santa cena e ci si ciba del pane e del vino non si fa altro che  celebrare il memoriale della morte sulla croce del redentore. La differenza, non di poco conto, risiede nella concezione “magico-esoterica” tipica della teologia cattolica, pregna dello spiritualismo decadente ellenico, e dei suoi influssi magico animistici tipici dello zoroastrismo e dei culti egizi. Altro capitolo scottante e di non facile comprensione è rappresentato dalla “giustificazione”. In che modo l’uomo può meritare al cospetto di Dio la salvezza? Quali sono i mezzi a sua disposizione, che cosa può fare per collaborare con la grazia di Dio, o, ancora, è nel potere dell’uomo fare qualcosa per modificare il decreto di Dio su di lui?. Sono le domande fondamentali, le questioni sulle quali teologi e filosofi dibattono da sempre, e per le quali è, ovviamente impossibile una parola definitiva. La posizione cattolica, in estrema sintesi, sostiene che la natura umana, solo parzialmente corrotta dal peccato originale, non è completamente degradata, possiede viceversa una scintilla divina che la mette in grado di cooperare con la Grazia di Dio. E’ la famosa questione della “meritorietà delle opere”. L’uomo, collaborante con la grazia divina, nel corso della propria esistenza, accumula un tesoro di opere meritorie che, alla fine del percorso terreno, gli meritano il consenso del Padre, ed il premio della vita eterna. Ora, Dio non è il gran Ragioniere dell’Universo, che alla fine della nostra esistenza compila un bilancio del nostro persorso e formula un conto profitti e perdite della nostra vita, restituendoci in termini di vita eterna o di pena eterna quanto abbiamo compiuto, nel bene e nel male, nella nostra vita terrena. Ai meritevoli assegna il Paradiso, ai reprobi l’inferno. Per quelli che si sono comportati non troppo bene ma neppure troppo male, esiste il Purgatorio, inventato di sana pianta dai cattolici (non ne esiste la benché minima traccia nella Scritture). Una permanenza di qualche secolo, che può essere abbreviata dall’intercessione della preghiera dei mortali, soprattutto delle donne consacrate all’esilio dal mondo nei monasteri di clausura, ed ecco che, mondi da ogni residuo di peccato, possono fare ingresso nel paradiso dei santi. Questa è l’epica religiosa cattolica. Una serie di miti, alcuni puramente favolistici e immaginifici, che, nel corso dei secoli, ha costituito un vero e proprio patrimonio mitologico, un’epica, appunto, cui attingere alla bisogna. La visione protestante, come sempre più razionale, è più articolata e complessa. Dio ha stabilito, per suo decreto imperscrutabile, da sempre, dall’eternità, la sorte delle sue creature. Come un tenero Padre tutte le accoglie nel suo grembo, alla fine del cammino terreno. Non ci sono né Paradisi e tantomeno inferni o purgatori. L’uomo, possedendo un’anima spirituale, è una emanazione di dio stesso, e alla fine del percorso terreno, ritornerà, sarà riassunto nell’essenza del Padre. Diciamo che si annienterà in Lui, come in una sorta di Nirvana. Per i protestanti esiste la predestinazione assoluta, per cattolici quella relativa. Non è una differenza da poco. Per gli uni l’anima umana, dal peccato di origine, considerato comunque alla stregua di mito precristiano,  è irrimediabilmente e totalmente corrotta. Non è cioè in grado compiere alcun atto che possa meritare il compiacimento del creatore. Per i cattolici, come già detto, l’uomo non ha completamente perduto la capacità di compiere il bene, solo così può collaborare con l’opera del Padre. E’ la famosa disputa tra Lutero ed Erasmo da Rotterdam sul “libero arbitrio ed il servo arbitrio”. Per Lutero il servo arbitrio significa che l’uomo è in grado di compiere liberamente delle scelte solo dopo che gli eventi o le circostanze lo hanno posto in una determinata situazione. In parole diverse: Dio ha stabilito da sempre l’”ordine naturale delle cose”, una successione di eventi, di avvenimenti e circostanze che non vuole e non può modificare. Se lo facesse, dovrebbe ogni volta intervenire “miracolisticamente” nella vita dell’uomo. Può essere utile il paragone con il Fato e Zeus per i greci: il Fato era qualcosa che faceva parte di Zeus, pur sovrastandolo, e lo stesso Zeus non aveva il potere di modificare i decreti del Fato. Non deve apparire troppo pessimistica la concezione della predestinazione assoluta e dell’incapacità del’uomo di compiere opere meritorie: ricordiamoci che la motivazione più vera che ci spinge ad un certa azione è anche la più nascosta. E la più vera è quella egoistica. Anche nelle azioni più altruiste, anche nel donarsi completamente al nostro prossimo, l’essere umano, nella sua imperfezione, rincorre una causa egocentrica: bilanciare una colpa nascosta, meritarsi l’ammirazione degli altri uomini, meritare un tornaconto, per quanto spirituale, al cospetto di Dio. L’egoismo è la più vera e allo stesso tempo la più nascosta delle motivazioni del nostro agire. La posizione protestante nei confronti del compiere il bene, è quella filosofica di Kant per il quale il bene va compiuto in quanto “imperativo categorico”, di per se stesso, universalmente, per il solo fatto che è giusto, non in vista di un ritorno spirituale. Ricordo, inoltre, che Dio, nella sua bontà di Padre, non respinge nessuno dei suoi figli, tutti gli esseri umani torneranno nella sua essenza. Ma c’è il problema del male, qualcuno dirà. A noi creature appare indicibilmente ingiusto che alle persone malvagie, ai criminali terreni, agli assassini possa essere riservato un trattamento paragonabile a chi si è ben portato in questa vita. Ma, prescindendo dal fatto che solo Dio può leggere nel cuore e nelle coscienze di ciascuno di noi, (che non siamo di conseguenza in grado di giudicare un nostro simile), è pensabile che nell’aldilà, abitato solo dall’infinità di Dio, tutto quello che da questa parte è imperfetto sarà portato a perfezione, tutto quello che è incompiuto sarà portato a compimento. La sola cosa che il Padre ci richiede è di avere fede in Lui, di abbandonarci alla sua grazia, compiendo il bene per il solo fatto che è giusto e in conseguenza della nostra fede in lui. Ecco, sommariamente, cosa si intende per “salvezza per mezzo della fede”. Cristo sulla croce ha “vicariato” la funzione umana, ha sostituito, con il suo sacrificio la natura umana, che in lui si è completamente redenta, glorificandosi con il sangue della croce. Teniamo a mente, quando pensiamo che molti altri esseri umani sono morti ed hanno patito per qualche causa terrena, che sulla croce, in quel lontano giorno (e questa è materia di sola fede) non è morto un semplice essere umano, è morto per la salvezza dell’uomo un dio. Non possiamo neppure immaginare con le nostre forze che cosa significhi la morte di un dio. E’ qualcosa di imperscrutabile e allo stesso modo di terribile.
Mi fermo qui. Abbiamo sommariamente esaminato le sole questioni “dottrinali”. Non è questo il luogo, ci si dilungherebbe troppo, per parlare di quelle etiche. Qui le differenze divengono a dir poco abissali. Si veda il tema dell’eutanasia, che vede sostanzialmente favorevoli i protestanti e fermamente contrari i cattolici, che sostengono addirittura, ancora oggi, il divieto alla contraccezione! Per Ratzinger il rimedio al dilagare dell’AIDS nell’Africa sub sahariana è la semplice astensione. A questo punto è inutile persino discutere. Ci sono, nel costume cattolico, degli aspetti che rasentano il ridicolo. Come la posizione della chiesa nei confronti dei divorziati. E sì che il Tribunale della Sacra Rota lavora tutto l’anno a pieno ritmo per annullare previo lauto compenso matrimoni altrimenti non annullabili. Pur tuttavia, al divorziato che, sebbene macchiato dell’onta dell’infrazione del sacramento del matrimonio, voglia comunque accostarsi ai sacramenti, concede una possibilità: il divorziato può comunicarsi solo se ha fatto voto solenne di astenersi da qualsiasi rapporto sessuale (sic!). Siamo quasi al grottesco.
La considerazione finale consiste nell’esaminare, per quanto possibile, gli aspetti, direi psicologici dell’appartenenza a due confessioni, che, come abbiamo visto, sono totalmente inconciliabili.
Il cattolico, per semplificare, è un bimbo nella fede, laddove il protestante possiede una fede adulta. Per il cattolico la Chiesa è una tenera madre consolatrice che accoglie tutti i suoi figli. Monda le coscienze nel lavacro purificatore della confessione e prepara alla comunione con Dio, riacquisendo ogni volta che ci si pente, la sua grazia. Poi ogni volta si torna a peccare, per poi tornare a mondarsi e così via, fino alla morte (ma c’è pur sempre l’ultima chance dell’estrema unzione!). Il protestante porta il peso della propria condizione di peccatore e di essere imperfetto e lacunoso completamente sulle proprie spalle, non ci sono facili assoluzioni, né scappatoie, non ci sono morgane, non trabocchetti e vie di fuga. Ognuno resta solo, col peso dei propri peccati, o delle proprie malefatte, è responsabile fino all’ultimo di ciò che ha compiuto, ma ancora più forte in lui è la fede, le vera fede che ti fa pensare che, nonostante tutto, nonostante la mia totale imperfezione ed il mio degrado, il mio egoismo e la mia indifferenza al dolore altrui, esiste un Padre, dal quale provengo, che mi ama come nessuna creatura al mondo può amarmi, spassionatamente e disinteressatamente, al di là del bene e del male, e che mi ama a tal punto da accettarmi per quello che sono, nella mia spaventosa nudità e povertà, mi ama a tal punto dall’essere morto per me sulla croce, e a alla fine della mia esistenza terrena mi accoglierà in se stesso uccidendo il vitello più grasso ed io, dopo tanto vagabondare, dopo tanto aver girato a vuoto, illudendomi di aver costruito qualcosa, di aver lasciato traccia a quelli che restano, mi scioglierò nell’unico abbraccio che conta, piangerò le lacrime più vere e cocenti, solo allora sinceramente pentito di quella poca cosa che sono stato sulla terra, che dà solo onori e piaceri effimeri e fatui, e solo in quell’istante comprenderò tutto quello che in tanti anni di studi ricerche non ho compreso, perché inafferrabile, capirò finalmente il senso della vita, quella vera, quella eterna, il senso del bene e del male, tornerò finalmente, dopo tanta fatica, ad appropriarmi di quello che la vita mi ha offuscato se non nascosto: la mia anima, la sua essenza. Ma tutto questo un cattolico romano non può capirlo, chiuso com’è nei suoi vuoti rituali e nelle sue aride giaculatorie: hanno fatto di una fede viva un insieme di norme morte, hanno resuscitato il fariseismo del Sinedrio, guardando solo le apparenze e le forme, si sono rinchiusi nella cittadella inespugnabile delle loro rigide regole ereditate non dalla Scrittura, ma dalla tradizione patristica e scolastica, hanno obbedito a papi, esseri fragili e peccatori quanto e più di noi, si sono fatti abbacinare non da una fede che non deve confliggere con la ragione, ma da un coacervo di miti e leggende che li hanno resi ciechi e sordi al richiamo del vero Dio e del vero perdono.

Settembre 2010                                                                  Roberto Tacchino